Il processo artistico che si accende nell’incontro con un maestro o una maestra è qualcosa che afferisce più a percezioni sottili che a metodologie o didattiche strettamente intese. La questione della trasmissione, cioè, implica un’operazione su più livelli, che hanno a che fare tanto con il corpo e la corporeità quanto con la creazione di una vocabolario coreutico condiviso di gesti e di “informazioni” sensibili, i quali a loro volta vengono costantemente rinegoziati e “ri-tradotti” attraverso le specificità di chi li riceve e apprende.
La trasmissione del gesto con il suo portato e il suo “evocato”, indagato nelle precedenti uscite grazie all’intreccio di voci di Aline Nari, Annamaria Ajmone, Barbara Binelli, Doriana Crema e Stefania Tansini, giunge nel mondo, incontra il pubblico e lo sguardo dello spettatore attraverso la forma spettacolare. Che cosa resta dunque di tutto il processo che singolarmente è stato vissuto, toccato, sentito? Quale il suo lascito più politico nelle pieghe di ciò che accade in scena? Leggiamo qui di seguito le parole delle cinque artiste che con le loro testimonianze sapranno condurci nel vivo delle questioni.
Questa inchiesta esce a ridosso del convegno “Danze (non) perdute” a cura di Elena Cervellati e Elena Randi per La Soffitta 2025 programmato per il 16 e 17 ottobre e dello spettacolo Tu non mi perderai mai in scena all’Arena del Sole il 18 e 19 ottobre.
VIVERE PRESENTI, ENTRARE NEL MONDO
Come mettere in dialogo e in relazione un corpo sempre in divenire con una scrittura coreografica fissata? come far entrare il caos della vita dentro a un’opera codificata? come può un danzatore, una danzatrice negoziare in continuazione tra definizione e indefinito? Quali sono gli strumenti che si possono mettere in campo?
Doriana Crema: Dopo aver lavorato tanto sulle tecniche di danza, ho incontrato la danza sensibile di Claude Coldy il cui ascolto sottile la avvicina quasi a un orizzonte terapeutico. Grazie a Raffaella ho avuto la possibilità di far confluire le due prospettive intrecciando l’esperienza interiore maturata nella danza sensibile a quello di una costruzione finalizzata alla creazione artistica. È stato bellissimo entrare nel mondo, raccoglierne le sue parti, per ricomporle e metterle in forma di azioni sceniche. Ho sempre sentito di non essere intrappolata nell’azione scenica anche se Quore era uno spettacolo molto definito dove tutto era codificato (apparentemente non lo sembrava affatto).
Tuttavia all’interno di quella sua struttura, si riusciva sempre ad aprire dei varchi, dei mondi. Questo è per me un grandissimo dono che ho ricevuto e che ho cercato di trasferire al mio percorso. Un’altra condizione peculiare nella creazione con Raffaella era quella che si andava incontro al caos, provando solo successivamente a orientarlo in una forma che però sapeva mantenere dentro le sfumature, sapeva cioè regalare alla forma una qualità al tempo stesso definita e sfumata che era capace anche di arrivare al pubblico perchè lasciava a chi guardava la possibilità di entrare attraverso i suoi mondi interni.
Nella mia attività legata alla formazione mi è servito tenere lo sguardo aperto, uno sguardo allargato che lavora sulla trasformazione perchè non si arrende, non si ferma alla prima parola, al primo sguardo ma è capace di attraversare l’impatto: per me nella didattica è fondamentale attraversare i diversi strati, cercando la profondità.
Un altro elemento incontrato nel mio lavoro con Raffa è stato il rischio: Quore ha rotto gli schemi incurante di “perdere la faccia” e questo è stato molto coraggioso da parte di Raffaella.
Stefania Tansini: L’incontro con Raffaella, e l’avvicinamento alla sua scrittura ha inciso su diversi livelli. Da quello più concreto, più vicino al corpo e alla danza, a quello più personale. Tutto ciò che riguardava la ricerca, la sensibilità del gesto e della presenza in scena, il suo modo di affrontare le tematiche quali l’apertura, l’ascolto, l’estrema concretezza, il peso, la forma….tutto ciò che riguardava un modo di avvicinarsi al corpo e alla danza, oltre che piacermi, sentivo che mi apparteneva.
Ricercare uno ‘stare’ del corpo spogliato da tutto ciò che non va verso un tentativo di verità, di essenzialità, uno ‘stare là dove si è’, immergersi nelle prove in questi territori così effimeri eppure così vitali, è stato veramente prezioso. E Raffaella è stata molto generosa. È molto generosa, senza limiti. Questa condivisione senza sforzo penso abbia permesso anche al nostro incontro di essere vero, pulito e senza grinze. Ha permesso un’accordatura reale e aderente ai fatti.
Aline Nari: Nel quartetto mi è sembrato evidente il rapporto tra un corpo sempre in divenire (parlo di corpo in senso fenomenologico: un corpo-presenza, un corpo-relazione, corpo-anima, mente, spirito, non solamente quindi una fisicità) e una scrittura fissata meticolosamente e maniacalmente precisa.
Questo equilibrio dinamico, difficilissimo, ha a che fare con la devozione, con una dinamica quasi meditativa che ti fa accettare il divenire del proprio corpo ma al contempo ti chiede di stare nel divenire del gesto. Questa prospettiva ti chiede di non eseguire semplicemente una partitura ma rivendica una misura speciale.
Annamaria Ajmone: Il lavoro sulla presenza e sullo “stare”, la possibilità di connessione e ascolto, lavorare sulla porosità della propria pelle sono tutte questioni che mi avvicinano molto al lavoro di Raffaella che fa entrare il mondo esterno per poi trasformarlo grazie alla creazione di uno “spazio di relazione atmosferica” con la danza che va a creare grazie al gesto d’arte. Raffella, come artista, sa essere rigorosa nei confronti della sua arte e della sua ricerca: non dobbiamo conquistare chi ci guarda, non dobbiamo compiacere, non dobbiamo dimostrare nulla che sia distante dalla nostra essenza, non dobbiamo riempire spazi nella relazione che ci lega allo spettatore, alla spettatrice. Ho molta stima di lei come artista perché è riuscita a sottrarsi alle situazioni di coolness, è riuscita sempre a fare ciò che voleva, è un essere a sé: è Raffaella Giordano e non ha bisogno di appartenere a nessuna tendenza. A questo orizzonte torno sempre quando mi spavento perchè mi dà fiducia in me stessa, fiducia in quello che mi piace e mi interessa senza farmi spaventare troppo quando sento che il mondo va da tutt’altra parte, anche questo è un suo grosso insegnamento. Ho molto rispetto nei confronti di quegli insegnanti che non ti dicono come devi essere o cosa devi fare ma che ti aiutano a trovare la tua possibilità, la tua strada.

GESTO POLITICO
Il portato vitale di un gesto non si esaurisce nel compiersi dell’azione ma risiede nella traccia che lascia del suo passaggio in chi lo compie e nell’ambiente che lo riceve. Le azioni, mai neutre, mai indifferenti, incidono profondamente nelle nostre relazioni “agendo un cambiamento”. In questo senso, artisti e artiste, immaginando grammatiche gestuali immaginano modi e mondi nuovi. In questo senso compiono gesti politici. Anche solo trovandosi di fronte alle opere di Raffaella Giordano, spettatori e spettatrici, sono costretti a un lavoro di ascolto sottile e totale che ci allena alla possibilità di una cittadinanza capace di stare a contatto con una delicatezza autentica e spoglia di sovrastrutture.
Doriana Crema: Le sue opere non sono strettamente definibili come politiche ma sicuramente il suo lavoro all’interno dei processi lo è. Incontrare questa sua particolare sensibilità mi ha aiutato a guardare le cose in altro modo, a leggere le cose che avevo attorno, il mio quotidiano, la mia famiglia, la città dove vivo, la politica culturale che viene fatta nella città di Torino, in maniera più densa, profonda.
A Torino lavoro anche per delle Istituzioni della città e il mio entrare dentro con la mia sensibilità, con il mio corpo, con una scelta di parole, mi rendo conto muove la modalità con cui le persone stanno nei contesti. Entro per portare un movimento o una pausa dai flussi, in questi momenti sento di fare politica perchè percepisco che le persone che lavorano insieme tutti i giorni, tutto il giorno, entrano in relazione per davvero tra di loro, si sorridono, a volte ridono, come se di colpo si sgretolassero le sovrastrutture che albergano dentro alle istituzioni, eppure non faccio discorsi politici ma il mio gesto è politico. Sarebbe molto bello se gli artisti fossero consapevoli del potere che hanno di portare una diversa qualità nel mondo, di cambiare il modo di stare dentro ai contesti, con perseveranza e pazienza, agendo così un cambiamento importante.
Barbara Binelli: Penso che il lavoro di Raffaella possa avere una valenza politica poiché prima ha una valenza esistenziale. Sicuramente in lei e nel suo modo di trasmettere c’è una presa di posizione forte, una richiesta di integrità che è lontana dalla logica dei compromessi, dal mondo orientato al profitto, all’emozione facile, al linguaggio che esibisce successo e valorizza la performance. Quando sei fuori dalle logiche dominanti e scardini logiche convenzionali, forse risulti anche poco comprensibile. Educare a uno sguardo e a un sentire più delicato, meno ostentato, autentico e complesso può sicuramente essere un’azione politica e pedagogica. Immagino che tornare a una certa semplicità, a quell’assenza di maschere che viene evocata dal lavoro di Raffaella possa aiutarci a tornare ad essere cittadini del mondo, spogli di tutto ciò che è artificiale o eccessivamente sovrastrutturato.
La nudità può essere un’azione politica, una spoliazione che è simile ad una preghiera in cui rendere omaggio alla vita nelle sue luci e ombre, nella fragilità, nell’incertezza, nell’assunzione del dubbio che non ha risposte facili e subitanee. I suoi lavori sono eventi ponte, esperienze che ci mettono in contatto con forze superiori, come ad esempio in Celeste, dove la sua azione poetica genera risonanza con la grandezza, la forza e l’immensità della natura, attraverso un atto di ascolto totale, dentro il quale lei si fa veicolo della potenza del naturale.
Stefania Tansini: Per quanto mi riguarda, l’eredità di Raffaella ha un grande valore nella storia della danza contemporanea italiana e ha la forza di tracciare linee di danza future che possono, anche in altre forme, proseguire, approfondire e trasformare questa modalità di indagine corporea.
L’incontro con Raffaella è, a maggior ragione, ancor più prezioso. Permette di estrarre delle essenze per il presente e il futuro. È una radice forte e solida che può e dovrebbe affondare, dal mio punto di vista, anche nell’insegnamento più vicino ad una tradizione, proprio perchè pur attingendo al linguaggio della danza, lo apre alla dimensione percettiva e sensibile, proiettando quindi il gesto in una dimensione ampia, che abbraccia il corpo tutto, la presenza tutta, senza negare né il movimento preciso, né l’unicità della persona. Non nega le capacità corporee, ma pone l’attenzione anche alla persona che quel gesto lo fa. Raffaella, vedendomi in scena con un lavoro autoriale, ha percepito ‘dei dati’ – dice – , una vicinanza, un’affinità, che le ha restituito una possibilità di dialogo attraverso la coreografia di Tu non mi perderai mai. C’erano delle somiglianze pur nella diversità.
Da questa intuizione, è iniziato il percorso che ci ha viste, su vari fronti, sempre in dialogo. Anche nei momenti di crisi, in cui la scrittura si faceva soffocante, o nei momenti in cui la paura di rendere pubblico questo processo fino a quel momento segreto è arrivata senza preavviso.
È stata – ed è tuttora – un’esperienza vera, e quindi c’è dentro tutto.

IL RIGORE MILLIMETRICO, LO SPAZIO, LA CURA: L’UMANITÀ
Elementi rintracciabili tanto nella pedagogia di Giordano quanto nell’attività di creazione e composizione fino ad approdare all’arte scenica si rincorrono e svelano una precisa postura nei confronti del mondo. Un rigore monacale, l’attenzione ai dettagli, ci parlano di una visione di mondo: dove l’irrilevante qualcosa dice, il trascurabile viene interrogato, il marginale alberga con fierezza. Ne esce un’indagine sull’essere umano che grazie alla coreografia si mette in dialogo e in cammino nel mondo.
Doriana Crema: Dal punto di vista umano il lavoro con Raffaella mi ha aiutata a rompere una mia “quadratura”. Erano anni in cui avevo un’idea molto precisa di come ero e come dovevo essere, di cosa bisognava fare e lei a volte in maniera accogliente, altre in maniera più brusca, mi ha aiutato a scardinare alcuni paletti e a smorzare il mio approccio mentale che si basava su schemi cristallizzati. Di questo le sono molto grata anche se ho dovuto attraversare momenti duri, ma sono sicuramente stati per me trasformativi, mi ha aiutata a rinnovarmi come persona.
Per quel che concerne la creazione invece, lavorare con Raffaella mi ha aiutata a posare lo sguardo sull’importanza da dare allo spazio, al dettaglio, l’attenzione al minuto, al piccolo. Una cura rigorosissima, millimetrica, agli spostamenti in scena, alle azioni e alla relazione dei performer con gli oggetti: un’esperienza quasi monacale, soprattutto se ripenso a Senza Titolo. Riconosco in lei un senso del rigore strettamente connesso a forze spirituali, qualità che ho ritrovato solo successivamente durante i ritiri in monastero. Per stare di fronte a uno spettacolo di Raffaella, stando in relazione con ciò che accade sul palco in quel presente, non bisogna essere pronti o preparati, ma avere il desiderio di schiudersi, di aprire spazi di ascolto interni.
Aline Nari: Credo nell’ “interprete totale”, nella centralità dell’umano e del corpo come dono. Il mio interesse non è stato tanto sulla scrittura coreutica in sé ma sulle condizioni che portano a una scrittura, il mio interesse è stato rivolto alla centralità della danza nel percorso di indagine sull’umano.Credo che il mio percorso possa testimoniare, al di là di questioni estetico-poetiche, la necessità di sottolineare la capacità della danza di dialogare con l’essere umano, riconoscere l’umano e sostenerlo. Che in fin dei conti rappresenta il fulcro della poetica di Raffaella e di Sosta Palmizi. (…) C’era poi una dimensione della dedizione e della cura in quello che si faceva che è parte integrante del lavoro con Raffaella: per esempio ci dedicava una classe di un’ora e un quarto tanto nei giorni di prova dello spettacolo che in quelli in cui si andava in scena, un particolare riguardo nei confronti del processo e di noi che ne facevamo parte.
Inoltre ci è stata consegnata da Raffaella una speciale cura meticolosa per gli oggetti di scena: ne La notte trasfigurata ogni interprete curava la propria parrucca, spazzolandola prima di andare in scena, una pratica quasi meditativa che svolgevamo con grande attenzione. All’inizio io ero un pò superficiale, solo successivamente ho compreso, guardando l’amore che le altre devolvevano a questa azione, il senso profondo di questa azione. Parimenti ognuna di noi vigilava sulle cuciture dei nostri abiti di scena. Questa cura per le cose, riverberava poi nella sostanza delle relazioni in scena e nell’essenza del lavoro. Ho imparato tantissimo standole accanto, sentendola respirare, osservandola. Mentre provava il solo Il canto della colomba le guardavo moltissimo le caviglie, sbirciavo quando si sedeva nelle platee dei teatri ad ascoltare i volumi della traccia sonora per assicurarsi che la resa fosse quella desiderata oppure quando misuravamo il palcoscenico con il metro avvolgibile per trovare ogni volta la diagonale perfetta: diceva sempre “un “pelino” più qui, un pelino più in là”.
Leggi gli altri due contributi dell’inchiesta a cura di Agnese Doria:
Il passo invisibile: la trasmissione del gesto in Raffaella Giordano. Un’inchiesta #1
Il passo invisibile: la trasmissione del gesto in Raffaella Giordano. Un’inchiesta #2
Biografie delle intervistate
Doriana Crema è formatrice, coreografa, counselor ad orientamento psicosintetico. Unisce le sue competenze verso una visione evolutiva dell’essere umano. Si forma come danzatrice presso il Teatro Nuovo di Torino con Carla Perotti, come operatore nel campo dell’espressione corporea con Anna Sagna presso la scuola di danza Bella Hutter, approfondisce la sua formazione in danza contemporanea con Raffaella Giordano, segue il processo di formazione in danza sensibile con Claude Coldy. Per vent’anni è formatrice nei laboratori di espressione corporea con bambini e insegnanti presso diverse direzioni didattiche nella città di Torino e Strasburgo. Crea insieme a Rita Fabris, nel 2016 il percorso di formazione Danzatori di Comunità. Accompagna artisti singoli e compagnie di danza nei processi creativi.
Annamaria Ajmone è danzatrice e coreografa. Laureata in Lettere Moderne presso l’Università Statale di Milano, si diploma come danzatrice presso la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano. Conclusasi la sua formazione alla Paolo Grassi, attorno ai 24/25 anni ha proseguito la traiettoria della formazione andando a cercare in luoghi “resistenti” ciò che non sapeva di cercare e trovando nell’incontro con Raffaella Giordano alla Fratta Santa Caterina (Cortona, AR), una “formazione ribelle” che è riuscita a convocarla e a far risuonare parti di lei che ancora oggi si scongelano e affiorano nella sua autorialità e non solo.
Aline Nari artista della danza e studiosa, lavora nella danza contemporanea, nell’opera lirica e nella prosa in Italia e all’estero dal 1993. Danza per diverse compagnie e tra il 1998 e il 2007 per Sosta Palmizi: con Raffaella Giordano ne La notte trasfigurata; con Giorgio Rossi ne Gli Scordati, E d’accanto mi passano femmine, Lolita, La notte di Federico. Dal 2000 al 2024 firma diversi spettacoli per il pubblico adulto e per le nuove generazioni, caratterizzati da un segno intimo e visionario e dal desiderio di conciliare ricerca e tradizione. PhD in Italianistica, ha insegnato Storia della danza presso l’Università di Pisa, è autrice di pubblicazioni su drammaturgia e danza del XVIII e XX secolo per volumi collettanei e riviste specialistiche. Lavora come formatrice nell’ambito della danza contemporanea e dell’opera lirica in Italia e all’estero. È membro di AIRDanza (Associazione Italiana per la Ricerca sulla Danza) ed ideatrice di Danza in Silenzio, azione di contemplazione danzata.
Barbara Binelli consegue una Laurea in Filosofia Estetica con una tesi a indirizzo fenomenologico rivolta a esplorare la forma di conoscenza cui accediamo attraverso l’esperienza e la percezione dell’opera d’arte. Esperta di sviluppo degli adulti, si forma con il metodo psico-socio-analitico. Gestalt counsellor, coach, collabora con individui, organizzazioni e imprenditori per facilitare l’evoluzione trasformativa del sistema verso modelli di relazione e di azione più consapevoli, funzionali a generare benessere e bellezza. Integra gli studi filosofici con un Master in Neuroscienze, Mindfulness e pratiche contemplative. Ha incontrato la Danza sensibile® con Claude Coldy, divenendo insegnante, e il lavoro con Raffaella Giordano negli anni che vanno dal 2011 al 2017 alla Fratta Santa Caterina (Cortona, AR).
Stefania Tansini è fra le danzatrici e coreografe più stimate della danza contemporanea italiana degli ultimi anni. Vincitrice di diversi premi tra cui il Premio Ubu 2022 come Miglior performer Under35, sviluppa la sua ricerca coreografica da un’indagine materiale e sensoriale sul corpo, quale luogo di trasfigurazione e tensione, tra forma e disfacimento, tra controllo e abbandono, in dialogo costante tra pieno e vuoto. I suoi lavori sono stati presentati in numerosi festival. È sostenuta dalla Fondazione Teatro Grande di Brescia per il triennio 2022-2024 e da Mosaico-Danza/Interplay nel 2024-2026. Collabora con Cindy Van Acker, Motus, Silvia Rampelli e Raffaella Giordano
L'autore
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Classe 78, veneta di nascita e bolognese d’adozione, si laurea in lettere e filosofia al Dams Teatro e per alcuni anni insegna nelle scuole d'infanzia di Bologna e provincia e lavora a Milano nella redazione di Ubulibri diretta da Franco Quadri. Dal 2007 è giornalista iscritta all’ordine dell’Emilia-Romagna. Ha collaborato con La Repubblica Bologna e l’Unità Emilia-Romagna scrivendo di teatro e con radio Città del Capo.


