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Un’irresistibile caduta di Kepler-452 ovvero un’altra ipotesi di spettacolo

di Altre Velocità

La tana. È la storia di una creatura metà umana e metà animale che costruisce un complesso sistema di cunicoli e corridoi per la propria abitazione, nella quale vivrà per il resto dei suoi giorni isolato dal mondo. Egli vive inquieto per l’imminente e presunto arrivo di un nemico. «C’era…c’era…una una…volta.» Le pagine del racconto sono ripercorse dall’anziana maldestramente su quel palco, con una voce rauca, impacciata, confusa ed esitante. L’ascoltatore pende dalle sue labbra e la sua voce nasconde un segreto e il suo parlare è simile a un mormorio seducente e poi a un fremito. Non sappiamo nulla di quel racconto, della disfatta privata di quell’uomo mezzo animale e mezzo uomo. Ci toccherà ascoltare. Intanto alcune pattuglie tentano di fare un’irruzione nel teatro, fermare quella rappresentazione, tanto stupida e sterile. Ma come? La recita deve ancora finire. Adesso l’anziana ha finito di leggere quel racconto e si cosparge le membra di colore rosso. È lo stesso colore che scaturirà dal suo corpo non appena i militari faranno irruzione nel teatro e la uccideranno. È un colore acido e gelido e sui corpi dei due protagonisti crea, insieme alle rughe, delle crepe nette e friabili. Chi sono quei due? Finalmente i militari prorompono sulla platea e vogliono sparare senza riserve sugli anziani. Chi sono quei due? Ancora prima degli spari quei due sul palco ci appaiono come degli appestati, dei miserabili, degli esclusi, dei peccatori o degli assediati. Con tutto quell’inchiostro rosso con cui hanno rivestito la loro pelle sembrano già dei cadaveri. Le armi prendono la mira per segnare la fine di questa messa in scena. Dal palco si avvertono dei rantoli provenienti dalla voce della donna e poi distinguiamo l’anziano con la barba indicare un punto indefinito dello spazio e subito dopo la sua voce: «Quella, la vedi quella? Viviamo in una città che ti addormenta.» Subito dopo soltanto spari e il silenzio di quella platea, costituita da spettatori già morti e militari assetati e illuminata ancora con quelle brutte e industriali luci al neon penzolanti dal soffitto. Fuori il silenzio della città di B. Dovevo raccontare uno spettacolo, visto qualche settimana fa a teatro, e ne ho immaginato un altro. Ho immaginato un’altra narrazione, differente da quella elaborata dalla compagnia Kepler-452 per il loro ultimo lavoro Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso presentato all’Arena del Sole di Bologna lo scorso marzo. Credo che il teatro, una tra le arti in grado di costituire un tentativo di volo verso universi lontani, sfocati e oscuri, debba allontanarsi dal reale, compiere un giro largo e lungo attorno ai contenuti che vuole portare sulla scena, adoperare perfino dei meccanismi truccati e alterati sulla scena e sviluppare una meditazione allargata e mai conciliatoria con il nostro tempo. Forse soltanto in questo modo la narrazione si rivelerà quanto mai vicina e stretta a quella reale. In questo articolo sono andato fuori tema, ma mi sembra che ci sia un’altra terra vicino alla nostra dove le cose sono più o meno simili a quelle che accadono qui. Solo che bisognava andare un po’ fuori strada per scorgerla.

Damiano Pellegrino

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