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Francesco Perrone, ricostruire l’urgenza politica del teatro

di Giuseppe Di Lorenzo

Francesco Perrone è il Presidente e Co-direttore progettuale dell’associazione di promozione sociale Straligut, co-fondata nel 2004, con la direzione artistica di Fabrizio Trisciani. È curatore e coordina le attività di comunicazione e marketing di numerosi progetti, tra cui dal 2008 In-Box assieme a Trisciani. In-Box è una rete nazionale di teatri, festival e soggetti istituzionali a sostegno della circuitazione delle compagnie. Il bando del progetto si è poi declinato in In-Box Verde (dedicato alle giovani compagnie) e In-Box dal Vivo (fase finale dove le giurie si confrontano dopo aver visionato gli spettacoli dal vivo e occasione per gli artisti di entrare in contatto col tessuto produttivo del teatro italiano). Perrone negli anni si è occupato, tra le altre cose, di diverse residenze artistiche nel territorio toscano, come “Up!” e “Dentro la scatola”. In questa intervista ci parlerà della funzione dei bandi, dei premi e di nuove prassi emergenti.

Quest’anno In-Box cambia formula: in cosa si differenzia il bando di quest’anno in confronto alle scorse edizioni e perché siete arrivati a questa scelta?

Più che cambiare per noi c’è una diretta continuità concettuale nell’idea di estendere l’azione di In-Box su 24 mesi, ed è in linea con la nascita di In-Box Verde e In-Box dal Vivo, ovvero di rendere più efficace l’azione del progetto. Non era e non è nostra intenzione definire un percorso biennale, semplicemente alterneremo i bandi dandogli più respiro, così che ogni anno sia più vissuto e immersivo. Essenzialmente ci eravamo resi conto che avevamo bisogno di ottimizzare le nostre potenzialità, in particolare le risorse umane che si dedicano al progetto, premiando un approccio più riflessivo e lucido. Volevamo anche fare un passo di lato: è un dato di fatto che dopo la crisi pandemica c’è stata di risposta una grande frenesia nel tornare alle nostre programmazioni, saturando di eventi il calendario e lasciando poco tempo per cogliere le riflessioni maturate. Nel nostro caso specifico siamo voluti andare in controtendenza dando più tempo alla giuria di elaborare le visioni e costruire un dialogo interno, e al contempo permettere agli artisti di lavorare con meno pressione alle candidature. Mi preme sottolineare che tutti i partner di In-Box svolgono il loro compito, anche quello di giurati, in maniera volontaria, anche se sarebbe meglio dire onerosa, dato che ognuno loro contribuisce con una quota che partecipa del nostro autofinanziamento (c’è da sommare anche il contributo ministeriale di 50.000€, ma siamo ben lungi dalle cifre di cui avremmo realmente bisogno). Il lavoro della giuria è un lavoro intellettuale ma anche logistico e pratico che si aggiunge all’ordinaria amministrazione di tutti noi, e c’era il rischio di inflazionarne l’esperienza, mentre vorremmo mantenere intatto quell’entusiasmo che ha scandito gli anni passati.

L’edizione di quest’anno farà in realtà da ponte, quando entreremo a pieno regime con In-Box Verde del 2025 terremo aperto il bando per tre mesi (uscirà a giugno 2024), così che l’opera di selezione della giuria potrà stendersi per sei mesi, quasi il doppio di quello attuale. Sappiamo che per gli artisti è già molto complicato stare dietro l’incredibile mole di progetti similari al nostro per poter cogliere l’occasione ideale, se a questo si aggiunge che spesso a un bando corrisponde una nuova produzione diventa ancora più stressante. In-Box questo lo ha sempre fatto: non abbiamo mai chiesto per partecipare ai nostri bandi di presentare dei debutti, anzi preferiamo chiedere alla compagnia di prendere in considerazione quale parte del repertorio degli ultimi anni preferiscono presentare. Dare più tempo a artisti e giurati credo comporterà un miglioramento della qualità media delle proposte. Metteremo in palio 91 repliche in confronto alle 64 del 2023, anche se nei nostri desideri c’è quello di aumentarlo questo numero sperando di invitare ancora più compagnie. Quest’anno saranno 8 ma l’auspicio per le prossime edizioni è di arrivare a 10 o perfino 12. In-Box è un modo per inserirsi e fare conoscenza del mondo degli operatori teatrali, oltre al bando in sé c’è una dimensione di fiera dove costruire relazioni che per noi è centrale nell’ideazione di nuove progettualità. In futuro vorremmo aggiungere azioni collaterali di aiuto alle compagnie e distendere e dare più respiro anche a In-Box dal Vivo. Siamo in una fase sperimentale che speriamo migliorerà moltissimo il progetto e quindi il sostegno agli artisti.

Ha ancora senso oggi il meccanismo competitivo dietro progetti come In-Box? Sono diversi gli artisti under30 che mettono in discussioni le dinamiche del giudizio e della competizione (alcune di queste considerazioni sono state raccolte in un articolo di Gianluca Poggi e Valentina Mancini sulla rivista dedicata al decennale di Direction Under 30 A cercare nel cielo, curata da Altre Velocità). Che ne pensi?

Sono d’accordo che la modalità competitiva non sia sempre utile. Al momento anche per noi le regole sono quelle della competizione, con dei finalisti e un vincitore. Facendo una riflessione strettamente personale non mi dispiacerebbe che invece di definire dei vincitori e degli sconfitti la nostra fosse “la selezione degli spettacoli In-Box di quest’anno”. Tra il primo e il secondo classificato ci sono 2 repliche di differenza, il primo ne ha 20 e il secondo 18, non credo che alla fine ci sia tutta questa differenza, ma sarebbe bello fosse ancora più distribuito questo meccanismo. C’è anche da dire che tra gli operatori che vengono a vedere gli spettacoli ce ne sono molti che per programmare un lavoro considerano anche lo spazio scenico e il numero degli attori, prima ancora che l’essere arrivati terzi o quarti. Ovviamente partecipare per arrivare sesti non è il massimo della gratificazione, ma se già metti in prospettiva che sei sesto su 350 altri potenziali lavori visionati, ti rendi conto che un percorso lo hai fatto. Noi ci proviamo comunque a stemperare il clima competitivo, concentrandoci sull’esperienza e sulla costruzione di relazioni. Fare come facciamo noi, cioè concentrarci sulla circuitazione piuttosto che sulla produzione, significa anche non chiedere sforzi economici alle compagnie. Il nostro non è un bando a pagamento e non lo sarà mai. Non chiediamo neanche video ad hoc, ovviamente li stimoliamo a mandarci il loro materiale migliore, ma non di produrne di nuovo, così come per gli spettacoli. Ci è di aiuto in questo anche la nostra piattaforma, Sonar, che per il processo di candidatura evita alle compagnie passaggi burocratici altrimenti molto frustranti e chiudendo l’intera pratica in meno di venti minuti. A oggi sono tanti i bandi che si appoggiamo all’infrastruttura informatica di Sonar per azzerare alcune spese, e per noi questo è motivo di un certo orgoglio.

C’è anche però una certa sofferenza verso il sistema delle repliche, poco pagate quando non del tutto gratuite, usate come moneta di scambio per entrare nei circuiti che contano. Questo sistema ha fatto emergere nel tempo nuove tendenze, come quella dell’autobiografismo, dove in scena troviamo al massimo due attori o solo uno recitare o danzare lunghi monologhi che hanno una maggiore sostenibilità economica, scelta che nel tempo si sta mutando in una vera e propria prassi (lo abbiamo evidenziato anche durante l’ultimo Premio Scenario)…

Tutte le repliche di In-Box dal vivo hanno un cachet, e anche se non è tantissimo è un fattore che attira molte compagnie. Nel 2010 pagavamo 800 € a replica, oggi abbiamo tre fasce di prezzo che sono 1000 €, 1200 €, 1400 €, a seconda di quante persone vanno in scena, mentre In-Box sono 1000 €. Ovviamente questi restano dei minimali, per un gruppo di sei persone che da Napoli devono andare a Milano già una cifra del genere non può coprire tutte le spese. Però negli anni ’10 non erano tanti i progetti che davano quel tipo di compenso, è stata una pratica che invece per noi è sempre stata fondamentale. Ci stiamo comunque pensando a aumentare le soglie minime. Per me è ovviamente un problema di risorse, ciò non toglie che ci rendiamo perfettamente conto che i cachet proposti dovrebbero essere più alti. Al momento è il massimo che riusciamo a fare e abbiamo in cantiere di migliorare. È vero però che la mancanza di risorse incide sui linguaggi e sulla parte estetica del lavoro degli artisti. Basti pensare ai mestieri del teatro che stanno scomparendo, accentrando per questioni economiche la figura del regista, scenografo, illuminista, costumista in una sola persona. Ed è anche difficile trovarle queste figure, in provincia di Siena ci saranno che conosco forse due scenografi. C’è una mancanza di ricambio, anche tra i tecnici. Sono tutti fattori che incidono e che tendono a portare l’artista a ripiegare su quello che ha a disposizione, ovvero se stesso, il suo corpo, la sua cameretta. Devo dire però che sta emergendo una tendenza a prendere il proprio ripiegamento, dalle dinamiche familiari alla precarietà lavorativa, passando per la salute mentale e le questioni di genere o le questioni climatiche, e riconnetterle alla comunità, politicizzandole. Il lavoro di Niccolò Fettarappa può essere un esempio di quanto detto, ma sempre pensando al 2023 anche Still Alive di Caterina Marino (Scenario Segnalazione Speciale 2021, In-Box Finalista 2023), giocava su questo tipo di dinamica che mi sembra assolutamente positivo. Tempo fa si diceva “Il Personale è Politico”, questa non è autoreferenzialità ma bensì partire dalla propria esperienza per creare un contatto con gli altri.

Però rischia di essere un cane che si morde la coda: è vero che esistono pochi mestieranti, ma è anche controproducente intraprendere queste professioni che non sono più normalmente retribuite…

È un problema però non solo del teatro, viviamo un momento storico complesso. Finché il teatro non viene riconosciuto come fondamentale nella vita sociale, non ci saranno nuove persone che vogliono formarsi e neanche specializzarsi in figure come il costumista o il dramaturg. Forse dico una banalità: ma se non si entra nell’età della formazione a teatro è più difficile avvicinarsi dopo. Mi pare evidente che il teatro non rientri nelle urgenze della politica, forse anche a causa della frammentazione del comparto culturale che ci rende meno efficaci di altri settori, come quello cinematografico, che è sostenuto anche dall’essere un’industria piuttosto riconosciuta. Ovviamente esistono e fanno il loro lavoro le associazioni di categoria, ma molti giovani non conosco questi strumenti e di conseguenza gli stessi s’impoveriscono della nuova linfa che potrebbe dare nuovo slancio alle nostre battaglie. Per fortuna ci sono festival e teatri che perfino di fronte a queste difficoltà fanno un lavoro straordinario sul territorio per creare delle comunità, che poi è quello che credo sia lo scopo del teatro. Noi speriamo di essere in tal senso una buona pratica, cercando di spostare un po’ più in là i nostri limiti e aprendoci sempre a nuove possibili convergenze.

Non è una caratterista solo del teatro quello di chiudersi in cameretta, sono sempre di più le micro produzioni cinematografiche dal basso fatte col cellulare, oppure fenomeni musicali emergenti come il “bedroom pop”, “bedroom rock”, “bedroom shoegaze” e via dicendo, perfino nel florido mercato videoludico non sono poche le produzioni che vedono un solo autore dietro l’intero processo di lavoro…

C’è di certo una tendenza, ma per quanto in estrema difficoltà, nel comparto musicale c’è comunque un maggior dinamismo che in quello teatrale. Per me è miracoloso che nel 2023 ci siano una ragazza o un ragazzo che abbiano voglia di scrivere un testo di teatro. Già solo per il fatto che questo accada ancora segna la presenza di una vitalità pulsante e irrequieta. Bisogna però intercettarli, non possiamo criticarli perché scrivono dalla prospettiva della loro “cameretta” se attorno a loro hanno solo il deserto. Manca un sistema che sostenga questa scintilla miracolosa, che nonostante tutto esiste e si ripropone di volta in volta uguale a se stessa ma diversa da prima.

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