Il Grande Teatro di Lido Adriano, progetto di teatro comunitario nato al CISIM in collaborazione con il Ravenna Festival, presenta il suo terzo lavoro oggi, primo giugno, con repliche 2,6,7 e 8 giugno. Per la prima volta in Occidente, verrà affrontato un testo sacro dell’induismo, il Bhagavadgita parte del più ampio poema epico: Mahabharata. A rappresentarlo, dietro la riscrittura di Tahar Lamri e la regia di Luigi Dadina, facilitata da Camilla Berardi, Marco Montanari e Marco Saccomandi (Spazio A), ci sarà un coro di circa 120 persone, dai 4 agli 80 anni. Impresa che verrà, più che accompagnata, costruita, insieme alle musiche di Francesco Giampaoli e le parole – oltre che la co-direzione artistica – di Lanfranco (Moder) Vicari.
Spesso, quando si scrive di teatro, si dimenticano i “crediti”. Dimenticanza che riflette una misconoscenza della stratificazione lavorativa che sta dietro al lavoro teatrale e culturale – anche se si può fare il medesimo discorso per la più ampia area del lavoro cognitivo. A volte, per eccesso di zelo, ci si trova addirittura a ringraziare, dopo “spettacoloni” come Sanremo, madri, padri, gatti e pure i tecnici. A teatro ho sempre apprezzato che, almeno, durante gli applausi (che tanto più richiamano i teatranti sul palco, tanto meno lo spettacolo ci ha fatto pena) chi è sul palco indichi con la mano i tecnici del suono o chi sta alla regia, che spesso raggiungono il palco per godersi un po’ di gloria e rendere visibile che il lavoro teatrale è anche e soprattutto lavoro osceno – oltre che per stare fuori dalla scena, a volte purtroppo anche per paga e tutela.
Eppure, passando per il CISIM, non si può non notare una tendenza radicalmente opposta di – azzarderei – orizzontalità tra tutte le figure che gravitano attorno allo spazio e al progetto del Grande Teatro di Lido Adriano. Per questo, di seguito proverò a dare spazio a tante delle voci (individuali e collettive) che ho avuto il piacere di ascoltare rubandole, per un momento, al loro continuo fare corale.
Le origini del CISIM e del Grande Teatro di Lido Adriano
Prima dei due giorni di permanenza a Lido Adriano per le prove di Bhagavadgītā, il 21 e 22 maggio 2025, mi sono trovata a chiedermi più e più volte cosa si intendesse con “teatro di comunità”. Non ho trovato una risposta, ma l’esperienza delle persone che abitano la realtà del Grande Teatro e del CISIM ci va sicuramente molto vicino.
L’ho chiesto a Luigi Dadina pensatore e co-fondatore del Grande Teatro di Lido Adriano, ma anche, molti anni prima, “attore-autore” del Teatro delle Albe. Dadina comincia a pensare al teatro comunitario quando, durante un viaggio in Argentina, assiste a un spettacolo del gruppo Catalinas Sur, El Fulgore Argentino, «vidi questo teatro fatto in un quartiere, il barrio de la Boca, con un centinaio di persone in scena, che portava persone anche dalla metropoli intorno a vedere cosa accadeva lì. Da quel momento ho sognato di creare un teatro comunitario popolare in cui potesse venire chiunque, di qualunque età». Si uniscono così due interessi: il teatro comunitario e le regioni orientali. Desiderava – continua – «guardare a altro luogo in un altro modo. Così siamo incappati nel primo spettacolo del Grande Teatro di Lido Adriano, Il Verbo degli Uccelli. E da lì, passando per la favola del Panchatantra, al Bhagavadgita siamo ancora con lo sguardo a Oriente, anche se non escludiamo, un giorno, di cambiare direzione». Racconta: «quando ho pensato a questa avventura qui a Lido era la seconda metà degli anni Novanta e conobbi un giovanissimo rapper, Lanfi [Lanfranco Moder Vicari], che mi presentava il rap. Il viaggio era lungo, ma molti incontrati allora poi sono ancora qui, penso a Fefe [Federica Francesca Vicari] o a Francesco Giampaoli, musicista e Jessica [Doccioli], una ragazza ipovedente che ha cominciato le attività con noi nel 2002 circa, e che ancora adesso canta con noi».
Il Teatro nasce – continua Dadina – su radici bel consolidate da parte dei ragazzi del Lato Oscuro del Costa, che hanno reso Lido Adriano un centro importante anche per Ravenna, facendo concerti, teatro, presentazioni di libri e così via. «Hanno reso possibile l’incontro del locale con l’Oriente», di locale e globale.
Ho chiesto, poi, anche al drammaturgo e co-fondatore del Grande Teatro, Tahar Lamri, cosa pensasse del teatro comunitario. Quello di Lido Adriano è un teatro di comunità non basato su una scrittura comunitaria – spiega Tahar – «perché teatro di comunità vuol dire anche fare memoria del luogo in cui si è e noi non facciamo questo: noi non siamo Lido Adriano, noi siamo a Lido Adriano e, oserei dire, ne siamo ospiti». Anche perché, mi spiega, gli abitanti di Lido Adriano sono quasi tutti tra i bambini e gli adolescenti, ma solo 5 o 6 adulti sono di lì. Lo specifica perché conveniamo che il concetto di “comunità”, il “fare comunità”, è ultimamente abbastanza inflazionato, va di moda. «Non siamo qui per lavorare sulla periferia, il nostro teatro di comunità è qualcosa di diverso dall’esperienza argentina, dal Teatro Nucleo di Ferrara… È qualcosa che costruiamo man mano e non sappiamo dove ci porterà».

Il ruolo del CISIM, però, sta anche tanto nel posto che occupa: con i suoi laboratori di rap per ragazzi e ragazze del posto ed essendo centro culturale in periferia, si presenta come un progetto locale e che fa da collante comunitario all’interno della frazione ravennate.
Sofia, che dentro al CISIM ci è cresciuta, ne è testimone attivissima: ha cominciato a frequentare un corso di hip hop quando aveva 6 anni e da quel momento in poi non se n’è più andata. Da un paio di anni frequenta il corso di rap e fa parte del Grande Teatro, infatti la vedrete in scena in duplice veste: nel Coro e dando un bell’assist rap a Moder. Le chiedo com’è avvenuto l’incontro con il rap: «mi sono buttata nel corso di rap, come in quello di teatro, perché, anche se non sapevo come mi sarei trovata, comunque passo tutte le giornate qui e piuttosto che stare sul divano ho trovato una cosa che mi piace fare».
Mi parla del suo rapporto con questo genere di musica: «Se prima mi trovavo in difficoltà a scrivere un pezzo perché magari non sapevo di cosa parlare, quindi parlavo di cosa facevo in una giornata, adesso riesco ad andare dentro e anche ad analizzarmi e capirmi tramite il rap». Aggiunge che adesso anche nell’ascolto è più attenta: «Ascolto le parole e cerco di immedesimarmi nella persona che ha scritto il testo per cercare di sentire le stesse cose». Sofia ha fatto amicizia qui, ma ha anche portato molti suoi amici al CISIM, alcuni dei quali si sono appassionati e sono rimasti. Infine le chiedo se le piacerebbe un giorno entrare a fare parte dell’associazione e risponde «eh, sarebbe un’emozione grandissima. Mi piacerebbe perché comunque a me non piace un tipo di teatro che non sia questo. Mi piace che sta fuori dal copione e che riesce a intrattenermi molto meglio di quando faccio altro».
È per passaparola ma anche per conoscere in sé il CISIM o lasciarsi incuriosire da una pagina di giornale, che le persone del posto o di fuori si avvicinano a questa realtà culturale. Gabriele, il partecipante più cresciuto tra tutti i partecipanti del Grande Teatro, dice di aver scoperto così il progetto e di essersi affezionato molto. Lui è di Ravenna e fa tante cose: dipinge, fa fotografie, adora fare il nonno e, a 80 anni, ha aggiunto anche il teatro comunitario tra le sue attività: «Sono arrivato due anni fa che mancava un mese al debutto e mi hanno dato una parte subito. Siccome facevo teatro dialettale, avevo parti in dialetto romagnolo e piacevano molto».
Chiedo a Gabriele come si è avvicinato al teatro: «Questa voglia di fare te la porti dietro. Mio padre a 5 anni mi portò al Teatro Rasi a vedere una commedia e ho detto “voglio farlo anche io”. I primi tempi era dura perché mi vergognavo, poi è andata bene. Anche se mi facevano fare sempre la parte del cattivo, invece guarda adesso!». Lo vedrete nello spettacolo avere un ruolo molto particolare: farà una delle “incursioni storiche”, portando la testimonianza di una importantissima figura indiana.
Del Grande Teatro dice «lo vedrete, è una famiglia questa qui, la grande famiglia di Lido Adriano!».

Come si gestisce una comunità così numerosa? Il Coro e la Brigata
Alcuni membri del collettivo teatrale Spazio A sono subentrati lo scorso anno a Lorenzo Carpinelli, che inizialmente conduceva i laboratori di teatro. Quando è avvenuto questo passaggio di incarichi, soprattutto gli adolescenti hanno fatto un po’ fatica ad accettare una conduzione diversa, poi però è andata meglio. «Ci hanno chiamati per dare una forma un pochino più curata al laboratorio, rispetto al primo anno in cui c’era stata un po’ di confusione “scenica”. Ci è stato chiesto di fare un affiancamento un po’ più artistico e questo all’inizio è stato visto con rigidità».
Su questo spettacolo – continua Marco – si è lavorato molto sui corpi, visto che il Bhagavadgita pone le basi per la pratica dello yoga e si sono dimostrati tutti ben disposti a seguire il percorso. Lavorare con i bambini è una grande soddisfazione, dice, «quando arrivano qui ti danno tutto e subito e sempre. Sono molto partecipi e ti regalano tutto quello che possono. Gli adolescenti sono diversi, vengono con i loro mille pensieri, preoccupazioni, litigi, invece i bambini arrivano qui e si dedicano solo a questo. Sono la massima espressione di come bisognerebbe che anche noi adulti facessimo teatro: fare teatro come un gioco serio, senza sovrastrutture».
Ma una struttura, il Grande Teatro di Lido Adriano ce l’ha eccome. Lamri e Dadina spiegano come avviene il processo di lavoro: c’è una prima scrittura che è del drammaturgo, che poi si confronta con il regista e infine con il Coro. «Tutti dicono la propria. È uno spettacolo corale e non può che essere così con 100 attori non professionisti». Un giorno, continua Tahar, «io e Lanfranco abbiamo invitato tutti a fare delle improvvisazioni sul testo che avevano appena letto. Le più interessanti le abbiamo poi integrate nel testo e sono già nello spettacolo. Questa è la scrittura del testo, un po’ strana, corale, ma me lo immagino così lo spirito di un teatro di comunità».
A fare da mediazione, da corpo intermedio tra gli autori e il Coro, Lamri ha pensato alla «necessaria formazione di un nucleo stabile della comunità» che aiutino nella gestione di situazioni difficili, facilitino la comunicazione e si facciano portavoce di una coscienza critica collettiva. La Brigata Artistica e Solidale GTLA è formata dai membri che da più tempo frequentano il Grande Teatro di Lido Adriano e che si dimostrano particolarmente interessati a farlo funzionare anche a livello organizzativo. Questo per decentrare la facoltà tendenzialmente verticalista della regia e aggiungere voci e sensibilità diverse a un lavoro che diviene artisticamente comune. I membri della Brigata sono circa 15, in maggioranza tra i 20 e i 30 anni, con formazioni (alcuni si avvicinano al teatro per la prima volta, altri hanno frequentato la “non-scuola” delle Albe) e ruoli molto diversi all’interno del progetto.
Con le parole dei suoi componenti «Eravamo quelli che cercavano di capire cosa stava succedendo oltre a seguire e basta. Quindi magari interessarci del testo, fare domande se qualcosa non ci convinceva. Tutto ciò è reso possibile dal fatto che Tahar ascolta qualsiasi cosa noi diciamo. Ci sentiamo in un teatro sociale». La Brigata nasce poi anche per «portare il progetto in avanti, perché vorremmo tutti che questo progetto avesse una vita artistica propria e duratura».
Stratificazioni
CISIM è un acronimo che sta per Centro internazionale studi e insegnamenti mosaico, memore delle attività che abitavano prima lo spazio, in cui lavorarono molti mosaicisti da tante nazioni diverse. L’acronimo è rimasto, nonostante oggi l’indirizzo d’uso dello spazio sia cambiato. Dal 2010, infatti, lo spazio è gestito dall’associazione Il Lato Oscuro della Costa, che organizza laboratori, eventi e concerti, affermandosi come centro di gravità culturale del ravennate. Sembra però risuonare la memoria del luogo mentre osservo la stratificazione scenografica sotto il pennello di Nicola Montalbini, artista visivo che ha creato tre scenari diversi per ognuno dei tre spettacoli realizzati finora realizzati dal Grande Teatro. Tutti e tre hanno avuto una continuità, mi spiega. Dal fondo nero realizzato per Il Verbo degli Uccelli (Mantiq At.Tayr) sorgono i profili di palazzi dai tetti dorati per Panchatantra, attorno e sopra a cui si elevano grandi alberi per Bhagavadgita. Un continuum pittorico che recupera le tracce della storia appena precedente, assumendola in sé come parte di un più ampio percorso. Per questo, tanto Nicola che Luigi Dadina mi parlano di una “Trilogia”.
A stratificarsi tra le voci finora citate arriva la più virtuosa: Francesco Giampaoli dichiara che secondo lui si può parlare e di trilogia solo perché finora sono stati fatti tre spettacoli ma che, in realtà, si parla sempre al futuro, si parla sempre di progetti in divenire che abbiano con i precedenti una certa continuità, se non di temi almeno di prospettive (quella orientale) e aggregative (in presenza dell’immancabile Coro). Dal canto suo Giampaoli, dalla formazione estremamente varia e in commistione con vari generi e culture, ha orientato la sua ricerca artistica oltre i confini di ispirazione occidentale o anglosassone. Anche dal punto di vista musicale, le composizioni sonore del Grande Teatro portano dentro di loro tutte le annate, gli spettacoli precedenti. Mi racconta degli studi dietro alla ricerca di nuovi (perché diversi) linguaggi musicali e di come questi, direttamente o meno, influiscono sulle partiture, sulle creazioni che sorreggono e danno forma, oltre che suono, agli spettacoli.
Gli chiedo se gli è mai capitato di vedersi rivolta la sottile e complessa questione dell’appropriazione culturale. Mi risponde di no e che, anzi, secondo lui in ambito artistico questa problematica non dovrebbe esserci, perché a tutto ci si può ispirare, consciamente o meno, trasformando la somma delle proprie esperienze, dei propri ascolti e letture, attraverso il processo creativo – che a volte è anche onirico. Chiedo, infine, a Tahar Lamri che cosa fosse per lui “comunità”. Lui risponde: «essendo il teatro luogo della visione, la comunità è un insieme di persone che si guardano negli occhi e che fanno qualcosa insieme. E non sono persone che pensano la stessa cosa, ma che hanno un confronto continuo».

Crediti:
Direzione Artistica Luigi Dadina, Lanfranco Vicari
Regia Luigi Dadina
Aiuto Regia e Collaborazione Artistica Spazio A Teatro: Camilla Berardi, Marco Montanari, Marco Saccomandi
Drammaturgia Tahar Lamri
Direzione Organizzativa e Logistica Federica Francesca Vicari
Composizione Musiche e Arrangiamenti Francesco Giampaoli
Paroliere Lanfranco Vicari
Coordinamento Musicale Francesco Giampaoli, Enrico Bocchini
Cantanti Jessica Doccioli, Lanfranco Vicari
Scenografia Nicola Montalbini
Costumi Federica Francesca Vicari
Ideazione Grafica Massimiliano Benini
Layout Grafico e Illustrazioni Silvia Montanari
Coordinamento Organizzativo Thomas Cangini Bertoli, Albino Nocera, Martina Strada, Francesca Zinzani
Supporto Organizzativo Hiba Alif, Rachele Benzoni, Carolina Bianchi, Elisabetta Carlini, Heike Coletta, Cinzia Di Genua, Gabriele Fusconi Daniele Lorenzo Gargiulo, Chiara Gaudenzi, Sofia Ghezel, Maria Patrizia Monti, Francesco Parma, Emma Petriccione, Elena Sagripanti, Federica Savorelli, Omar Rashid, Walter Tocco
Responsabili Tecnici Matteo Rossi, Guido Tronco
Fotografie Nicola Baldazzi
Riprese Video Antropotopia
Ufficio Stampa Iacopo Gardelli
realizzato con la collaborazione di Ravenna Teatro / Albe, Cooperativa Sociale Teranga
realizzato con il contributo di Comune di Ravenna, MIC – Ministero della Cultura
coproduzione CISIM|LODC e Ravenna Festival
in collaborazione con Teatro Alighieri
In Scena Camilla Berardi, Marco Saccomandi e il Coro del Grande Teatro di Lido Adriano