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Un teatro per tutti alle porte di Lviv: conversazione con Teatr Domus

di Francesco Brusa

Questo articolo fa parte di Speciale Est. Voci da un’altra Europa e di un ciclo di interviste e reportage dedicati all’Ucraina, la cui introduzione è possibile leggere qui.
 

«Questa è ormai veramente la mia casa, e i miei attori sono la mia famiglia», ci dice Natalia Menshikova (Наталья Меньшыкова). Siamo a Shikov, quartiere-dormitorio di Lviv molto distaccato dal centro cittadino, dove la regista ha da poco inaugurato la sala “Teatr Domus” (la prima è avvenuta il 9 ottobre, con ampio coinvolgimento di pubblico). Natalia, originaria della città di Eupatoria, è fuggita dalla Crimea in seguito all’annessione del territorio da parte della Russia, assieme ai figli. Trovato rifugio a Lviv, nell’estremo ovest del paese, è poi entrata in contatto con alcuni giovani artisti della scena locale, tra cui l’attore Denis Fedeshov (Денис Федешов) con cui ha deciso di fondare quello che è forse il primo spazio teatrale indipendente della città. Oltre agli spettacoli, la neonata compagnia offre anche corsi di avviamento alla recitazione (in forma gratuita) e si avvale di una rete di collaborazioni esterne che pare in continua espansione.

Con Natalia e Denis abbiamo provato a esplorare il senso del fare teatro in una comunità “periferica”, dopo essere stati costretti a ricominciare il proprio percorso da zero.  

Ci potete raccontare come nasce questa sala?

È una domanda che ci pongono spesso: come avete aperto questo teatro? Dove avete trovato i soldi? Chi vi ha finanziato? La risposta è: nessuno.
Siamo entrati in contatto con quella che sarebbe poi diventata una delle nostre attrici professioniste, che già lavorava per il grosso centro culturale dove si trova la sala. Abbiamo parlato con il direttore e ottenuto la possibilità di utilizzarla. Da lì il tutto si è sviluppato e si sta sviluppando in maniera molto naturale.
Alcuni rifugiati dalla Crimea ci hanno aiutato a cucinare piatti tipici e organizzare eventi di raccolta fondi. Altri hanno invece deciso di darci una mano offrendoci materiale per realizzare le scenografie, altri ancora hanno deciso di assisterci durante i lavori. Si tratta sia di locali che di persone che fuggono dai conflitti, dalla Crimea e dal Donbass. Sostanzialmente, il nostro desiderio di fondare una sala indipendente era già nell’aria, noi non abbiamo fatto altro che raccoglierlo.
È chiaro che siamo in un luogo dedicato alla proiezione di film, dunque non propriamente “teatrale”, e abbiamo dovuto adattare le nostre produzioni allo spazio in cui vengono rappresentate. Abbiamo portato a termine un grosso rinnovo della sala e il 9 ottobre è andata in scena finalmente la nostra prima. Ciò che è interessante è che, mano a mano, sempre più persone vengono a conoscenza della nostra attività e decidono di unirsi: se per il primo spettacolo avevamo a disposizione solo quattro attori, al secondo già potevamo contare su un organico di sette.

Esiste una selezione su chi vuole collaborare con voi?

La nostra idea originaria era proprio quella di fondare un teatro che potesse unire professionisti e amatori, persone provenienti da altre regioni dell’Ucraina e gli abitanti locali. In più, è nelle nostre intenzioni provare a fondere il linguaggio teatrale “per adulti” con quello “per bambini”: prossimamente metteremo in scena uno spettacolo cui prenderanno parte sia giovanissimi che adulti. Semplicemente, cerchiamo di unire legare assieme tutto ciò che ci sembra possibile. Non da ultimo, il nuovo con l’antico: la nostra prima performance (tratta da una fiaba di Charles Perrault) combina un’interpretazione moderna del testo con l’utilizzo di musica classica.
È chiaro che non si tratta di qualcosa che si realizza dall’oggi al domani e siamo consapevoli di avere ancora molto lavoro di fronte a noi per raggiungere dei buoni risultati. Occorre che comunque chi collabora con noi apprenda le tecniche base della recitazione e questo solitamente richiede anni. Ma ciò che è importante è che le persone che si uniscono al nostro centro desiderino imparare e mettersi in gioco. Credo sia il punto fondamentale del nostro mestiere.
Siccome la maggior parte di noi lavora, ci ritroviamo alla sera e nei fine settimana per provare. Sabato e domenica sono come delle vacanze: ci esercitiamo praticamente tutto il giorno.

La storia di molti di voi è legata ai recenti conflitti del paese. Pensate che il teatro debba parlare di tali eventi? In che modo?

Pensiamo che il teatro sia sempre uno specchio. Riflette sempre quello che sta succedendo nella realtà, anzi, in qualche modo lo amplifica e lo “iperbolizza” per fare in modo che lo spettatore riesca a concentrarsi su determinati temi.
Anche il nostro terzo spettacolo è un’allegoria: gli animali impersonati dagli attori che siedono in una gabbia non stanno parlando di noi tutti? Non stiamo vivendo in uno zoo? Non siamo sempre qualcosa di strano e alieno agli occhi degli altri, qualcosa che tutto il mondo sta osservando dall’esterno?
Il presente dell’Ucraina ora è costellato da barriere e ostacoli, rispetto alle quali ci stiamo chiedendo se e come superarle, oppure se voltare lo sguardo dall’altra parte. Sembra di guardare attraverso un prisma: è così difficile capire dove e a chi porre attenzione. Così il teatro riflette tale complessità. Lo stesso testo di Marquez che abbiamo messo in scena (Tra sogno e realtà) ha la struttura di una spirale ed esprime il fatto che ciò che è successo molto tempo fa può accadere anche ora. Per questo crediamo che gli spettatori lo sentano molto vicino, poiché mette in luce la grande questione con cui ci confrontiamo tutti: dobbiamo in qualche modo curare e superare le nostre ferite oppure vogliamo vivere liberamente e senza vincoli, come in un sogno? Si tratta di qualcosa che dipende dal singolo individuo, dalle sue scelte. Ma, ecco, col teatro esprimiamo questo: che c’è una possibilità di scelta, c’è sempre una possibilità di scelta.

Come reagiscono gli spettatori?

È nelle nostre intenzioni avvicinare maggiormente al teatro le persone che vivono in quest’area, e crediamo di starci riuscendo. A Shikov, il nostro quartiere, non ci sono strutture teatrali, quelle che esistono si trovano tutte in centro città, dove ci sono anche più turisti. Questa zona invece è molto grande ma allo stesso tempo disconnessa dal resto di Lviv (solo da qualche mese hanno inaugurato una linea veloce di filobus) e molti dei suoi residenti, sia anziani che giovani, non hanno avuto la possibilità di entrare a contatto con il teatro. Anche per questioni di mentalità, a volte: una donna che frequenta i nostri corsi ci ha raccontato di come suo padre non le avesse mai permesso di fare teatro, nonostante lo desiderasse fin da piccola… In qualche modo, crediamo di stare dando a lei e ad altri l’occasione di occuparsi di quello che hanno sempre voluto. Per tali motivi, il nostro pubblico è molto eterogeneo e siamo convinti che questo sia il maggiore riconoscimento che si possa ottenere. Le critiche e le opinioni passano, mentre le reazioni positive degli spettatori rappresentano una dimostrazione tangibile del tuo lavoro.
Insomma, pensiamo che il miglior teatro possibile sia quello che tu riesci a fondare in autonomia, in cui puoi fare ciò che vuoi senza nessun diktat. Così, i tuoi spettacoli saranno anche più interessanti per il pubblico.

L'autore

  • Francesco Brusa

    Giornalista e corrispondente, scrive di teatro per Altre Velocità e segue il progetto Planetarium - Osservatorio sul teatro e le nuove generazioni. Collabora inoltre con il think tank Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, occupandosi di reportage relativi all'area est-europea.

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