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Survival Kit 2019: la svolta

di Altre Velocità

Incattiviti, incarogniti, invecchiati, confusi… il selfie del nostro mondo occidentale è inequivocabile. Poi giriamo per i teatri di tutta Italia. Si spengono le luci e dormiamo. Torniamo a casa e restiamo insonni la notte intera. Dalla nevrosi siamo passati alla patologia. Il problema non è il disagio, ma quando il disagio cede alla follia (non quella dei poeti, visionaria e feconda, ma quella triste dei pazzi, solitari e rinchiusi…).

Bene. Questo quadretto cupo lo si ripone su un angolo del tavolo. Nel frattempo però accadono un sacco di cose interessanti. Piccoli gruppi si organizzano, qualche spettacolo sprizza vitalità inaspettata, il teatro ritorna a essere, in certi contesti, uno strumento straordinariamente moderno e con potenzialità educative e comunitarie incredibili. Abbiamo gli occhi spalancati, e il teatro ci ha risvegliato i sensi.

Anche questo quadretto lo riponiamo sul tavolo. Così ora abbiamo due splendidi ritratti. E non riusciamo a scegliere. Di fronte alla realtà e al nostro io drammaticamente scisso e schizofrenico, che facciamo? Che possiamo fare? Di cosa abbiamo bisogno? Dell’eccitante o del calmante? Pillola rossa o pillola blu? E che c’entra il Survival Kit?

Ogni anno, dal 2014, costruiamo il nostro kit di sopravvivenza. A rileggere le edizioni precedenti siamo rimasti colpiti. Abbiamo scelto bene. E infatti, nonostante tutto, siamo vivi e ancora non sogniamo pecore elettriche. Guardiamo e agiamo in questa realtà drammaticamente scissa e schizofrenica. Quando proviamo a scrivere un racconto unitario, questo si trasforma in una matassa inestricabile. Che fare? Noi proviamo a tirare qualche filo, a sbrogliare almeno una piccola parte di questo caos danzante, e a portarcelo dietro nel nostro kit di sopravvivenza per affrontare al meglio il 2019, l’anno della svolta (ma verso dove?).


Progetto Demoni

Una coppia di artisti che entra in abitazioni private, edifici in disuso e luoghi sperduti, se ne appropria e vi realizza non spettacoli, ma scene vissute come se fossero davvero accadute lì, e che riescono a parlare a tutti nel proprio intimo. Una coppia di attori che sta compiendo una ricerca sulle dinamiche universali dell’amore, del sentimento, della convivenza, muovendosi tra Dostoevskij e Fitzgerald, scrivendo drammaturgie originali con un abile lavoro di sottrazione e recitandole con disinvolta essenzialità. Il teatro di Progetto Demoni, portato avanti con appassionata dedizione, ha pochi eguali nell’attuale scena italiana: un percorso promettente e fresco da seguire.

Lost Generation di Progetto Demoni

Una nuova generazione di danzatrici

Ci sono dei cicli interessanti. Nuove generazioni che portano il loro contributo alla scena contemporanea. O il loro corpo. Nell’era della smaterializzazione, l’interrogazione che la danza rivolge al corpo assume un peso e un’importanza sempre maggiori. Una/due generazioni di danzatrici, in modo particolare, stanno dipingendo una scena che tramite seduzione, forza e rigore prova a rompere le cappe autistiche dei codici per suggerire qualcosa di diverso, che è anche bellezza, fragilità, a volte finestre su altri mondi, altri immaginari. È tra l’altro una scena che si ostina, per fortuna, a ragionare sulla potenza dell’immagine e ad avere, a differenza del teatro, una forte componente visiva. Alcune hanno percorsi internazionali, altre sono poco più che agli inizi, ma ci piace fare un elenco unitario (sapendo già che ne dimenticheremo qualcuna): Claudia Catarzi, Annamaria Ajmone, Irene Russolillo, Olimpia Fortuni, Claudia Caldarano, Chiara Ameglio, Luna Cenere, Agnese Lanza, Sara Sguotti.

Olimpia Fortuni in Soggetto senza titolo

Agorà

In mezzo ai vaniloqui sulla necessità di tenere insieme le identità dei territori, prestando attenzione alle necessità delle periferie, la stagione Agorà diretta da Elena Di Gioia in provincia di Bologna sta cucendo da qualche anno un vero discorso culturale, dimostrando come lo steccato fra contemporaneo e tradizione sia spesso un facile paraocchi per chi non vuole assumersi la responsabilità della programmazione. Siamo alle porte del capoluogo emiliano ed è forte la sensazione che le cose accadano sempre di più “quasi ai margini” e sempre meno nei centri saturi di food, turismo e cultura. Il migliore teatro spesso è passato da paesi come Castello D’Argile, Pieve di Cento, Castelmaggiore, in una programmazione policentrica, spesso con progetti commissionati ad hoc, interdisciplinare e mai tradizionalistica. Un unico cartellone divenuto via via un cristallino discorso culturale in senso ampio, ma anche anche se si considera il ristretto sistema teatrale.

Inverno di Fabrizio Favale/Le Supplici, un progetto speciale di Agorà (foto Paolo Cortesi)

Clessidra Teatro

Il teatro e l’autobiografia del presente a Chiatona, in provincia di Taranto. In una serie di residenze di prove e scrittura, durante l’anno si trovano attori e attrici con formazioni e percorsi differenti, riuniti in una stanzialità poetica temporanea, un procedere molto raro nel teatro d’oggi – anche se si pensa ai mille rivoli degli snodi formativi degli attori. Guidato da registi diversi (Gianluigi Gherzi e Fabrizio Saccomanno) ma con la cura di Erika Grillo del Teatro delle Forche, il gruppo Clessidra è la possibilità che il teatro si dà per osservare un luogo e da questo farsi riconoscere, raccontando di anno in anno, in spettacoli itineranti, la pineta il bosco e gli animali, le dune le fabbriche e il mare, praticando sia gli orizzonti della narrazione che i vertici della poesia. Fino all’ultimo spettacolo (Lidi. La festa perfetta, 2018) nelle cabine e nella spiaggia di uno stabilimento balneare, il nostro presente scomposto fra solipsismi, dismissioni comunitarie e fuochi collettivi da riaccendere.

Lidi. La festa perfetta di Clessidra Teatro

Il selfie del mondo di Marco D’Eramo

Il turismo non è (solo) un passatempo o un fenomeno di costume. È, dati alla mano, la più grande industria del XXI secolo e, in quanto tale, un “atteggiamento” che va sempre più a definire ciò che siamo anche nel nostro quotidiano. Il selfie del mondo (Feltrinelli 2017) è un’indagine necessaria, a tratti dolorosa, perché ci mette di fronte alla realtà di tante nostre città e tanti nostri quartieri. Ma soprattutto perché ci fa capire come il vedere sia qualcosa di intimamente connesso alla “teatralità del sociale”: il nostro sguardo è, sempre e comunque, lo sguardo del turista, in perenne ricerca di un’autenticità che non può esistere. Davanti alla Tour Eiffel o seduto sulle poltroncine di sale siamo, come ricorda Lévi-Strauss in Tristi Tropici, “vittime di una doppia infermità”: «Tutto quello che percepisco mi ferisce e mi rimprovera senza tregua di non guardare abbastanza».

Marco D’Eramo e la copertina de Il selfie del mondo

Punta Corsara

Ormai lavorano insieme da più di dieci anni e sono tra i pochissimi in Italia che sanno coniugare l’arte attoriale della grande tradizione italiana, le esperienze degli attori-autori del nuovo teatro e una sensibilità tutta di oggi. Nascono a Napoli dall’importante esperienza a Scampia guidata dal Teatro delle Albe e negli anni sono riusciti a maturare un linguaggio vivo, che mescola farsa, dramma, assurdità contemporanea, ed è capace di raccogliere pubblici differenti. Di recente molti di loro stanno partecipando a produzioni cinematografiche e televisive (da Gomorra a L’amica geniale), portando mestiere, freschezza, vitalità. Sono Emanuele Valenti , Marina Dammacco, Mirko Calemme, Giuseppina Cervizzi, Christian Giroso, Vincenzo Nemolato, Valeria Pollice, Tonino Stornaiuolo, Gianni Vastarella, Giuseppe Di Lorenzo, Rosario Capasso, Ida Basile.

Il cielo in una stanza di Punta Corsara

Direction Under 30

A Gualtieri un teatro capovolto si anima grazie a Direction Under 30, festival curato dal Teatro Sociale di Gualtieri per un “mutuo soccorso teatrale” in cui tutto, dalle selezioni alle premiazioni finali, è affidato al gusto, allo sguardo e alle intenzioni artistiche di compagnie e giurie under 30. Insomma, i giovani che premiano i giovani: da Genova a Napoli, da Milano a Catania, sono loro che rivendicano la responsabilità di confrontarsi, scontrarsi e alla fine tracciare una direzione condivisa, e riconoscervisi. Nascono così piccole felici comunità, in squarci di mondo innestati della bassa reggiana.

La premiazione di una precedente edizione di Direction Under 30

Rave Foster Wallace

Una maratona lunga dodici ore non per rappresentare Infinite Jest, il capolavoro di David Foster Wallace, a dieci anni distanza, e nemmeno per farne una lettura, bensì per costruire un originale e coinvolgente attraversamento. Negli spazi evocativi dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini (nel parco, nel teatro, nelle cucine, nell’hospital, nelle cantine, nel bosco, per strada, nel campo di calcio…), all’interno del festival “Da vicino nessuno è normale” curato con grande intelligenza e sensibilità da Olinda onlus, si srotolano decine di episodi assurdi ed esilaranti. Lo spettatore è dentro il romanzo. Una giornata memorabile curata da Fanny & Alexander e Stefano Bartezzaghi, che ha avuto il gusto dell’impresa collettiva – sotto il segno dell’eterodirezione – sia da parte degli attori sia del pubblico. Quando il teatro riscopre l’eccitazione di farsi comunitario, immersivo, letterario, itinerante… nasce qualcosa di nuovo.
(Tanto per rendere l’idea dell’operazione, hanno partecipato: Marco Cavalcoli, Claudio Cirri, Massimo Conti, Fabrizio Croci, Tolja Djokovic, Federica Fracassi, Lorenzo Gleijeses, Chiara Lagani, Roberto Magnani, Francesca Mazza, Mauro Milone, Ermanna Montanari, Laura Pizzirani, Francesca Sarteanesi, Sara Fgaier, Stefano Bartezzaghi, Claudio Bartocci, Maria Laura Bergamaschi, Thomas Emmenegger, Vera Gheno, Rodolfo Sacchettini, Anna Stefi, Luigi De Angelis, Chiara Lagani).

Una scena di Rave Foster Wallace

<OTTO> di Kinkaleri

Rappresentazione comica di un declino tragico, un’opera che ritorna dopo quindici anni eppure sembra sempre più urgente, come se le lancette si avvicinassero alla fine. Eppure la serie di crolli che punteggia lo spettacolo è seguita da un’infinita serie di riprese. Come un pugile che incassa e si rialza ogni volta. Gli anni ’00 rappresentati da Kinkaleri non sono disposti ad arrendersi prima del suono dell’ultima campana.

Una scena di <OTTO> di Kinkaleri

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