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Romeo e Giulietta in danza: essere giovani ieri, oggi e domani

di Altre Velocità

Romeo e Giulietta nel 2017? Perché ricreare, reinventare, ricostruire un classico? Perché la storia dei due innamorati di Verona è stata riproposta così tante volte in danza? A queste e ad altre domande ha cercato di dare risposte la giornata di studio Romei e Giuliette. Declinazioni del rifare in danza, svoltasi mercoledì 5 aprile alla Soffitta e coordinata da Elena Cervellati, docente di storia della danza presso il DAMS. Ospite d’eccezione il coreografo Roberto Zappalà, che la sera precedente ha presentato la sua versione del mito shakespeariano, Romeo e Giulietta 1.1. La sfocatura dei corpi, a sua volta un riallestimento della versione del 2006. Come suggerisce la studiosa e corografa Aline Nari, per affrontare le questioni elencate sopra occorre forse partire da uno dei significati della parola classico, ovvero «perfetto, eccellente, degno di essere imitato». Non ci deve quindi sorprendere il fatto che nel corso della storia determinate opere abbiano avuto una continua riproposizione e uno sviluppo nel tempo, seguendo strade molto diverse. Stefano Tomassini sostiene che in Romeo e Giulietta non è tanto il testo shakespeariano, molto difficile, arzigogolato, pienamente seicentesco, ad attrarre coreografi, drammaturghi, registi cinematografici, quanto il mito dei due giovani innamorati, appartenenti a due famiglie contrapposte, che consumano brevemente la loro passione e soccombono al loro triste destino di morte. La vicenda è stata infatti attualizzata e ambientata in diversi contesti, e non ha più contrapposto Montecchi e Capuleti, bensì bianchi e portoricani (il musical West Side Story), amatori di danza classica e di jazz (il film The Goldwin Follies), serbi e musulmani (il balletto Romeo e Giulietta di Davide Bombana). La tragedia shakespeariana può dunque essere attuale perché rappresenta lo scontro fra diverse etnie, società, gusti, religioni, ma include anche la possibilità della riconciliazione. Per Michele Trimarchi, Romeo e Giulietta costituisce «un archetipo moltiplicabile in cui siamo in grado di riconoscere quel noi stessi che possiamo amare». Tomassini poi si sofferma sulla particolare connessione fra danza e Shakespeare: citando Stendhal e Aurel Milloss, danzatore e coreografo ungherese attivo dalla fine degli anni Venti agli anni Ottanta del Novecento, afferma che le tragedie di Shakespeare sono già dei balletti, grazie al linguaggio dinamico, saltellante, in movimento, proteso all’azione e il generarsi dei contrattempi funzionali all’intreccio. Che cosa sottolinea dunque il lavoro di Zappalà, «nato da un’esigenza di piacere, dal desiderio di coreografare sulla famosa musica di Prokof’ev, ma in una maniera diversa da quella tradizionale», rispetto a questo mito così carico di rimandi nell’immaginario collettivo? Il coreografo dichiara di aver voluto rappresentare in una coppia di ragazzi di oggi, assimilabile alla leggendaria coppia degli amanti di Verona, soprattutto la «sfocatura» rispetto alla società, ovvero il disagio di trovarsi in un contesto che non li comprende, il loro sentirsi fragili e quasi «sul punto di inciampare». Di sfocatura parla anche Cristina Righi, nell’ottica della traduzione, della trasposizione e del rifacimento. Per lei la sfocatura costituisce una zona di indeterminatezza che si genera quando si ripropone un titolo o lo si traspone su un altro medium artistico; essa costituisce uno spazio per la nuova interpretazione, linfa vitale per le opere classiche, e rappresenta quindi uno strumento non di offuscamento, ma di “mostrazione”. Nel lavoro di Zappalà, che comunque mantiene molti elementi narrativi riconoscibili del mito shakespeariano, questo scarto, questo spazio interpretativo ha voluto dunque mostrare l’aspetto della sfocatura, della fragilità e dell’insicurezza che caratterizza i giovani di oggi. Se la versione del 2006 si avvaleva in primo luogo della scenografia per trasmettere tale idea, attraverso un cubo di plastica dentro al quale agivano i danzatori, nella versione attuale sarebbero solo gli interpreti, con il loro corpo, a veicolarne il senso.  

Marta Buggio

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