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Rigoletto: padre e uomo

di Altre Velocità

Con Rigoletto, il direttore Matteo Beltrami, il regista Alessio Pizzech e il maestro del coro Alberto Malazzi hanno portato in scena il 19 marzo al Teatro Comunale di Bologna il tema rinascimentale della corrotta corte di Mantova; punto di partenza per una riflessione più ampia che riguarda la violenza del potere e l’ambivalenza dell’essere umano (tant’è che l’opera di Giuseppe Verdi originariamente doveva essere ambientata nella Francia di Francesco I). Lo spettacolo esibisce ottimo equilibrio musicale. Il clima di festa del primo atto ben presto si rivela un funerale. Decisamente riuscito è il tentativo del regista di rendere le orge come una sorta di preludio della fine; il Duca, i cortigiani tutti e il mondo oscuro di Sparafucile e Maddalena sono ombre di un tempo sospeso: il tempo della memoria. Il tempo teatrale è interno a Rigoletto, è crudele come è crudele questa storia. La musica abbraccia il dolore e la rabbia dei protagonisti. I movimenti coreografici di Isa Traversi propongono corpi mostruosi che sfidano gli occhi smarriti del grottesco buffone di corte colpevole non solo di “essere buffone” ma del suo modo sbagliato di “essere padre”. Il destino tragico di Rigoletto, definito da Pizzech «Uomo che ha fatto del coprire e del non dire la propria cifra», è lo stesso di numerosi eroi solitari (Filottete, Edipo, Amleto…). Il canto di Rigoletto, intonato da Alberto Gazale, riflette infatti l’inquietudine dell’isolamento e l’incapacità di un padre di comprendere sua figlia. Gilda è interpretata da Lara Lagni e, in altra serata, da Desireée Rancatore. Entrambi i timbri si rivelano pieni e luminosi, ricchi di sfumature che si coniugano alla scontrosità sommessa del padre, il tutto in un crescendo di tensioni. Le luci, i costumi, la puntualità degli interpreti e i movimenti coreografici animano ogni atto e si modificano nello sviluppo delle vicende che vanno dalla maledizione del Conte di Monterone alla morte di Gilda.

Nel primo atto Gilda, che vive isolata dal mondo e in compagnia solo della domestica Giovanna, si rifugia nell’abbraccio delle sue bambole ma sogna di evadere, sogna l’amore. Nonostante il suo essere “piccola” riesce a dominare lo spazio e a nascondere al padre un importante segreto: da tre mesi si incontra con un giovane sconosciuto di cui è innamorata. Si tratta del Duca ma Gilda non ha alcun sospetto. Il precedente clima di festa della sala magnifica del Palazzo Ducale si dissolve nel momento in cui Gilda viene rapita dai cortigiani per vendicare le beffe di Rigoletto. La giovane donna si muove come un fantasma in uno spazio sospeso che ricorda una casa di bambole.

Il suo personaggio si evolve nel secondo atto. La casa di bambole si dissesta e le luci si affievoliscono quando Gilda viene rapita dai cortigiani per essere violata. I colori pastello sono sostituiti dal prevalere del rosso: simbolo del sangue, espressione della vendetta che Rigoletto medita. A Corte sopraggiunge Rigoletto e invoca pietà. Gilda, ingannata e sedotta, racconta come ha conosciuto il Duca. Si delinea man mano ciò che separa e contemporaneamente unisce padre e figlia: Rigoletto invoca vendetta, Gilda invece supplica perdono per colui che le ha fatto del male, ma che comunque ama.

Le luci introducono il clima “tempestoso” del terzo atto: in riva al Mincio, nottetempo. I personaggi entrano in scena su una maestosa nave. Nella locanda del sicario Sparafucile, sua sorella Maddalena ha attirato il Duca che in incognito la corteggia. Rigoletto, che ha incaricato il sicario di uccidere il Duca, porta con sé Gilda (che indossa abiti maschili) per farle osservare il tradimento. Mentre Rigoletto decide di mandare Gilda a Verona, sua sorella lo convince a non uccidere il suo corteggiatore. È così che Sparafucile ucciderà il primo viandante: Gilda, tornata di nascosto alla locanda. Gilda muore, tra le braccia del disperato Rigoletto a cui invoca perdono, per sé e per il suo amante. Il Duca in lontananza intona ancora una volta il suo «La donna è mobile», questa volta chiudendolo con un si naturale per sancire la vittoria finale. Rigoletto sprofonda nel buio della notte. La notte è nera come la sua anima, come la Maledizione. La consolazione è inutile, la dimensione spirituale di Gilda è presente anche negli ultimi atti della sua vita: «Lassù in cielo, vicino alla madre, in eterno per voi pregherò» assicura al padre. È tutto inutile, in Rigoletto c’è solo la Maledizione. Nell’ultimo atto ricorre una figura letteraria tipica del teatro elisabettiano che chiama i personaggi con una loro caratteristica fisica o morale: quando Rigoletto paga l’omicidio, Sparafucile chiede il nome della vittima designata: «Egli è Delitto, Punizione son io» risponde Rigoletto.

Pierachille Dolfini in Rigoletto sul lettino dello psicanalista, saggio contenuto nel libretto di sala, afferma che Verdi anticipa Pirandello raccontando in musica le molte facce dell’uomo e il rapporto con la società che lo vuole uno, nessuno e centomila. Verdi lo fa attingendo a Le Roi d’amuse di Victor Hugo. Il sacrificio di Gilda può inoltre ricordare quello di Éponine in Misérables. Un’ulteriore similitudine etica riguarda invece Quasimodo, il campanaro di Notre-Dame de Paris, per quanto concerne il discorso su cosa il corpo riveli o meno di ciò che siamo nel profondo dell’anima. La prima rappresentazione del Rigoletto avvenne a Venezia al Teatro La Fenice l’11 marzo 1851. Il titolo cambiò a causa delle forme di autocensura adottate da molti teatri, la partitura invece non è mai stata modificata.

È stato emozionante vedere sul palco del Comunale di Bologna uno spettacolo che mette in scena la vita e la morte. Quando il cerchio si chiude lo spettatore si aggrappa per l’ultima volta alla musica, al celebre «La donna è mobile», ma stavolta non sorride ripensando al buffone di corte poiché percepisce la sua disperazione, il senso di colpa e l’impossibilità di comprendere e agire. Il Teatro Comunale di Bologna è stato animato da una storia che solo Verdi poteva raccontare con tale crudeltà e sincerità.

Roberta Cuomo

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