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(foto dal sito di Trasparenze festival)
(foto dal sito di Trasparenze festival)

Animali rari a Gombola. Un reportage da Trasparenze Festival

di Francesco Cervellino

Un habitat in pericolo è un ecosistema minacciato dalla distruzione o dal deterioramento, che mette a rischio la sopravvivenza delle specie che lo popolano. Questa edizione di Trasparenze Festival (dal 24 luglio al 3 agosto 2025) sembra adattarsi perfettamente a questa descrizione. Il festival è organizzato da Teatro dei Venti e Ater Fondazione ed è giunto alla tredicesima edizione quest’anno, forse l’ultima come per tante altre realtà simili. Un festival di equilibri precari, minacciato dalle politiche ministeriali, dal meteo e da un territorio fragile.

Il territorio di Gombola è soggetto a frane e smottamenti, eppure ospita una comunità che regge all’urto e al tempo. Da queste parti si possono incontrare coppie che si dedicano alla vita dei campi, anziane che lo hanno fatto per tutta la vita, proprietari di mulini ancora funzionanti, produttori di vini, personaggi che appaiono non contemporanei. E anche se la morfologia cambia spesso, le persone restano. Intanto il tempo passa, e allora viene da chiedersi cosa spinga le persone a continuare a persistere in questa vita faticosa? E cosa resterà di tutto questo? Domande che vengono fuori anche dopo questa edizione del festival.

Nel primo weekend di festival, dal 24 al 28 luglio, a Gombola l’autunno ha deciso di anticiparsi e farsi un giro. Nonostante le condizioni meteorologiche avverse il festival è andato avanti, premiando gli spettatori e gli artisti più perseveranti.

Da segnalare Aspettando Godot, messo in scena dal Gruppo L’Albatro, la compagnia di utenti di servizi di salute mentale che da quindici anni il Teatro dei Venti guida in numerose produzioni. Vladimiro, Luca Bartoli, ed Estragone, Davide Filippi, attore del Teatro dei Venti, giocano col testo come due tennisti, la tensione creata non cade mai, il ritmo martellante non permette distrazioni e al resto, a metterci la sorpresa sono tutti i personaggi che i due incontrano, tutti autori di una messa in scena illogica e bizzarra, perfettamente in linea con la narrazione. La regia minimalista di Stefano Té lascia spazio al continuo rimpallo del testo, al gioco tra gli attori, che sono perfettamente inseriti in una macchina dal ritmo infernale. Ecco allora che tutto si riduce al minimo, l’albero sotto cui i due aspettano diventa un bonsai, non sono presenti musiche o disegni luci complessi, né scenografie che rubano l’occhio, tutta l’attenzione è sul ritmo e l’intesa continuamente sconfessata e rinnovata tra i personaggi. Notevoli gli ingressi di Pozzo, Giulio Ferrari, e Lucky, Antonio Congedo, anche lui attore del Teatro dei Venti, ma anche l’ingresso del ragazzo ai servizi di Godot, interpretato da Gilberto Gibellini. Tutto lo spettacolo e i personaggi si muovono come un carillon stonato e dissonante, ma un meccanismo ben oliato e ben congegnato.

(dal sito di Trasparenze Festival)

Anche Non una grande storia, un monologo di Vittorio Continelli mostrato in anteprima nella chiesa di Gombola merita una citazione. Ci vengono mostrati stralci di una vita complessa, un padre di famiglia, con un vissuto migratorio, che dialoga continuamente ora con la moglie, ora con la polizia, ora con i figli o un dottore. Ne sentiamo le parole, vediamo come cambia in base all’interlocutore, non sentiamo cosa gli dicono gli altri personaggi, ma lo vediamo reagire. Continelli chiede dunque uno sforzo immaginativo allo spettatore che deve di volta in volta immaginare almeno metà dei dialoghi in cui si impegna. La vita del personaggio interpretato da Continelli è costellata di mille problemi, ma non si allontana dalla verosimiglianza neanche per un attimo. Nessun grande colpo di scena, nessuna scelta di vita improvvisa, nessuna grande storia. Attraversa diversi temi come l’immigrazione, il lavoro, la famiglia, la malattia, tutte cose con cui tanti hanno a che fare, e non lo fa in maniera moralista, anzi, Omar sembra un personaggio abituato ad avere una vita problematica ma ad avere poche soluzioni ai problemi. Il monologo riesce a dipingere bene la complessità di una normalissima vita. Alla fine di questa storia i cui fili sono difficili da tenere tutti assieme, si può dire che Non è una grande storia rispecchia il suo titolo, e questo è il grande valore del lavoro e del testo, una storia qualunque, piena di problemi e di sogni che come ogni storia si conclude con la fine.

Per quanto riguarda i concerti il primo weekend di festival ha dato spazio ad artisti molto diversi tra loro, partendo da Mille, nome d’arte di Elisa Pucci, eclettica e scanzonata sia nei testi che nel rapporto diretto con il pubblico fino ad arrivare a Sandro Joyeux, archetipo del vagabondo con la chitarra in spalla, che ha portato sul palco di Trasparenze i suoi viaggi nel sud e le sue melodie contaminate da stili di tutto il mondo.

(foto di Chiara Ferrin)

Nel secondo weekend di festival Trasparenze ha invece ospitato Fuori Pista, il festival di circo organizzato da Ater Fondazione. Nel pomeriggio di venerdì primo agosto Tardito-Rendina sono andati in scena con Swan, una rilettura del Lago dei Cigni. Aldo Rendina entra in scena con un microfono dotato di led multicolore che lampeggiano. Indossa una tutina da ciclista e un tutù, e in una serie di azioni tra il danzatore professionista e il pensionato solitario in casa, ci propone la sua personale messa in ballo del lago dei cigni. D’altronde molti ci hanno provato prima di lui, sembra intendere al microfono. Rendina dunque agisce seguendo un istinto che lo porta a usare diversi oggetti, come una paperella su rotelle o un ventilatore da cui vorrebbe veder volare delle piume che si ribellano al suo atto. Si delude continuamente ma continua la sua danza tra mosse ammiccanti e telecronache di una fantomatica partita “Maradona contro tutti”. Diverte e allo stesso tempo rimane fedele alla trama del famosissimo balletto, fino al momento in cui una tempesta di fuochi di artificio non diventa una pioggia di bombe che finisce per crivellare il corpo del cigno.

(foto di Chiara Ferrin)

Sabato 2 Agosto è andato in scena Roberto Abbiati con il suo Circo Kafka. Un melange di opere dell’autore riportato con suoni e immagini di fortissimo impatto. In scena una sorta di carretto decadente su cui c’è un letto, vari strumenti musicali, corde, leve, lampade. Roberto Abbiati entra in questa sua costruzione come un bambino in una sala giochi. Sussurra, schiocca la lingua, non racconta una vera e propria storia, ma fa suoi gli ambienti angusti e i personaggi spietati e grotteschi di Kafka. Abbiati appare e scompare, si trasforma da vittima a carnefice, sfrutta ogni angolo del suo carretto. Da sottolineare anche la parte musicale, infatti lo stesso Abbiati suona nello spettacolo la cornamusa, l’armonica a bocca, il contrabbasso e l’organetto. Un artista poliedrico e unico con migliaia di repliche in tutto il mondo. Un animale raro, forse in via d’estinzione, calato in un habitat in pericolo.

Nel secondo weekend la parte musicale ha avuto come proposte le Wunder Tandem, un duo con percussioni e un organetto. Le due si presentano con parrucche bionde e occhiali da sole, vestiti leopardati e paillettati, indossano i panni di due musiciste un po’ svampite, come fossero capitate lì per caso. Sorprendenti non solo nella parte musicale ma anche per il gioco che allacciano con il pubblico tra richieste assurde e uscite imbarazzanti. A chiudere il festival invece sono stati Slick Steve and the Gangsters, che in un intreccio di musica, magie, giochi di equilibrio con strumenti musicali e giocoleria, hanno dato all’ultima serata del festival una grande ventata di energia.

(foto di Chiara Ferrin)

L’ultimo giorno di festival, come spesso accade, inizia a sentirsi una strana malinconia. Una strana saudade, la malinconia di qualcosa che ancora deve finire. Al mattino Valentina Turrini ha condotto un workshop di canto che ha visto partecipare volontari del festival, personale del teatro e dell’associazione Mondo Barrio, associazione che da quest’anno gestisce l’Ostello di Gombola. Prima di iniziare il direttore artistico, Stefano Tè, ha ringraziato tutti i presenti. Con un filo di voce ha detto che non sa se il festival ci sarà ancora o no. Alla fine dei rispettivi spettacoli sia Rendina che Abbiati si sono sentiti in dovere di parlare in merito alla direzione in cui sembrano andare i nostri tempi. Parlano di guerra, di ministri dal dubbio senso democratico (N.B. il due agosto, anniversario della strage di Bologna il nostro ministro della cultura ha ben pensato di rendere omaggio a una battaglia combattuta dai romani oltre duemila anni fa…).

Allora gli artisti che hanno attraversato questo festival e il piccolo borgo che li ha ospitati si incarnano perfettamente in Rio, la storia messa in scena da Giulia Cammarota nell’ultimo giorno di festival. La storia di un mestiere, quello delle arti, che è in costante precario equilibrio, come il personaggio messo in scena da Giulia che desidera fare la funambola nonostante i continui tentativi di dissuasione da parte dei genitori. Eppure, alla fine, contro ogni logica, contro ogni ragione, contro ogni consiglio, quello stesso personaggio cammina su una corda, non solo, ci danza sopra.

(foto di Chiara Ferrin)

Nonostante sia precario l’equilibrio c’è, come ci sono questo festival e questi artisti che vanno protetti come il borgo che li ha ospitati. Di questa edizione del festival rimane la sensazione che si ha dopo aver avvistato un animale raro, uno di quegli incontri unici, irripetibili. Rimane un clima in cui gli artisti finito lo spettacolo bevono in compagnia dei volontari, rimangono momenti in cui i cantanti finito il concerto si mettono a fare trucchi di magia in mezzo al pubblico. Rimangono anche le risate e la meraviglia scatenate da Abbiati e da Rendina, le riflessioni seminate da Vittorio Continelli, i rimpalli di Aspettando Godot e la sottile corda che sostiene in aria Giulia Cammarota e questa realtà che si avvicina sempre di più alla linea di estinzione ma che continua a resistere.

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