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Prima e dopo la guerra. In Sicilia con il casellante di Moni Ovadia

di Altre Velocità

Il Casellante. Tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore empedoclino, collocandosi tra Maruzza Musumeci e Il Sonaglio è il secondo atto della trilogia dei romanzi fantastici e narra la storia di Nino Zarcuto, interpretato da Mario Incudine, e della moglie Minica Olivieri (Valeria Contadino), affidandosi alla narrazione in scena del factotum (barbiere, casellante, mamanna, gerarca fascista, narratore) Moni Ovadia. Lo spettacolo, intriso di musiche, è diviso in due parti contrapposte, stratagemma che oltre ad aiutare nel seguire le vicende dei protagonisti risulta utile nel rappresentare quel momento di passaggio che c’è tra il prima e il dopo l’arrivo di una guerra. Nella prima parte l’atmosfera è più allegra e scanzonata, la guerra ancora non è arrivata a Vigata, le musiche di Mario Incudine e Antonio Vasta ci accompagnano insieme a Moni Ovadia – una sorta di “Camilleri in scena” – in un viaggio immaginario dentro alla Sicilia. L’Italia fascista da poco entrata in guerra, la magia popolare della mamanna, il barbiere, la mafia che si sostituisce allo stato e aiuta gli alleati nello sbarco, la resistenza quotidiana, le serenate e le serenate sconce. Una fotografia dell’Italia e della Sicilia raccontata partendo dalle vicende personali di un casellante, il protagonista, e di sua moglie alla disperata ricerca di un figlio. La scenografia, grazie a un vecchio risciò posto al centro per ricordare il treno, dà una sensazione di movimento, di trovarsi nel mezzo di un bel viaggio; sul lato sinistro, una sedia da barbiere ne rappresenta la bottega, dove Nino e un amico suonano la domenica per allietare i clienti; sulla destra del palco un semplice tavolo fa da testimone alle quotidiane vicende di casa, alle discussioni tra marito e moglie e agli incontri privati con la mamanna. La sensazione resa è quella di una vita vissuta con il sorriso sulle labbra anche quando la vita si fa più dura. Il passaggio alla seconda parte è netto, un albero spoglio, autunnale, diventa protagonista inconsapevole della tragedia, della guerra, dello stupro, della morte, della pazzia, della metamorfosi e della rinascita. Il tema del viaggio rimane centrale ma è un viaggio triste, lento. Un viaggio che prosciuga, che mette di fronte ad esperienze troppo dolorose e che prosegue inesorabilmente verso la fine. L’atmosfera si fa cupa, i motivetti scanzonati che il protagonista suona insieme ai compagni si perdono in arie più melanconiche e la voce narrante diventa greve e preoccupata. La natura diventa matrigna, arriva la guerra, la morte del figlio ancora in grembo e tanto a lungo desiderato per mano di chi sembrava essere amico. Paradigmatica appare la figura del boss mafioso, che nella prima parte risultava più negativa e la sua sola presenza incuteva timore al protagonista. Al contrario ora nella seconda parte sembra essere diventato il buono, il giusto che risolve le mancanze di uno stato assente trovando e indicando al protagonista chi ha stuprato Minica e assassinato suo figlio. In realtà questo non si deve a una diversa interpretazione del personaggio, che si mantiene costante per tutto lo spettacolo, o a un tentativo di darne credito, è la variazione del mondo intorno a lui che, facendosi sempre più ingiusto e violento, offre giustificazione alla vendetta consumata da Nino. In ultimo la rinascita: Minica si trasforma in albero, la metamorfosi si compie e Nino salva dalle macerie di un treno colpito dalle bombe il figlio tanto atteso.

Pietro Perelli

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