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Pistoia e il west. Note su “Ci scusiamo per il disagio” de Gli Omini

di Lorenzo Donati

Area deposito rotabili storici di Pistoia, defilata rispetta alla stazione. Poco distante vanno e vengono treni regionali, non lontano si fabbricano freccerosse all’AnsaldoBreda. Lo spazio scenico è un punto di fuga prospettico: due fari sul fondo puntati verso di noi, ai lati due carrozze storiche, come il treno centoporte, dagli interni in legno. L’aria estiva odora di ferro.

Gli Omini ci raccontano la stazione. Ci scusiamo per il disagio rielabora le voci, le storie, gli aneddoti raccolti in centinaia di interviste, secondo un metodo di raccolta “sul campo” che sfuma ricerca drammaturgica in indagine antropologica. Ci sono solo due attori e un’attrice ma sembra di potere udire la voce di una moltitudine, di una folla di viaggiatori colta nelle sue intime inquietudini. Li vediamo manifestarsi di fronte a noi, a turno catturano la nostra attenzione. C’è la famiglia il cui padre è stato colpito da paresi, le figlie sono state allevate dai servizi sociali e lui si aggira disperso come il matto del paese; c’è la donna illuminata seduta dentro a una carrozza, udiamo la sua voce amplificata e la vediamo discorrere all’interno della vettura in un soliloquio sull’amore che se n’è andato, sulle occasioni perse, sui matrimoni falliti, in una tristezza languida dolceamara che ricorda certi personaggi di Almodovar o Woody Allen; c’è un omosessuale con la sua città notturna di relazioni promiscue, un tempo consumate a pagamento nelle case circostanti, un mondo diverso che oggi non esiste più, feroce e allo stesso tempo umano. Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Luca Zacchini e Giulia Zacchini si “spostano” da un personaggio all’altro con delicatezza, chiedendo a chi guarda di sospendere l’incredulità presentando dei frammenti di personaggi che non si sviluppano. Anche la recitazione asseconda tale “stasi”, assume dei “tipi”, sostiene in modo funzionale dei caratteri con le loro pose stereotipiche, sfrondando le sfumature, puntando alla chiarezza.
Siamo al Deposito Rotabili Storici, ma con gli Omini scopriamo di non essere da nessuna parte. Ci scusiamo per il disagio ci invita a pensare che le stazioni siano infatti diventate degli spazi vuoti, delle zone franche abitate da chi altrove sta ai margini o è rifiutato. Paradosso dei nostri anni: da “non-luogo” la stazione pare trasformarsi in luogo del potenziale, in zona sospesa dunque aperta a trasformazione e invenzioni. Si tratta certamente di una visione eccessivamente romantica, in fondo questi personaggi restano sconfitti, delusi, disperati. Eppure il “Progetto T” dell’Associazione Teatrale Pistoiese è un piccolo segnale in una direzione non solo immaginifica, se è vero che per i prossimi tre anni abiterà la ferrovia porrettana attraverso l’arte e il teatro, provando a specchiare e interrogare le comunità che la contornano.

Scandisce il racconto una voce metallica che annuncia indica e prescrive, la stessa voce ferroviaria identica dal Trentino alla Calabria. Anche qui si scusa per un disagio le cui cause sono ignote, dando forma a una stasi che pare impossibile interrompere. La voce chiede di non superare la linea gialla e svela l’assurdità insita nella sostanza di ogni “ordine”: «Attenzione, in sostituzione del treno trasmettiamo un telefilm a colori». Come un coro greco, ma senza più nessuna spiegazione possibile, questa voce può comunque aiutarci a vedere meglio. Così pensiamo che l’insistito scusarsi per il disagio, in fondo, siamo noi stessi a pronunciarlo. Tutte le volte che ci autoassolviamo, quando scegliamo di adattarci, quando ci accontentiamo, quando non scaviamo sotto l’apparenza delle cose, quando facciamo poco per reagire come accade a questi personaggi “ominiani”.
Provando invece a vedere meglio, in questa terra di nessuno scoprima residui di senso utili per immaginare il futuro. Le cadenze di Morricone ci portano a un West (Pistoia Ovest) domestico ma comunque utile per contestare la stasi del presente e dentro alla carrozza compare fugacemente una figura umana con la testa di piccione. Battiato invoca uno Shock in my town, l’apparizione surreale svela una natura delle cose il cui tessuto profondo sa essere fantastico, a volerlo cercare.

foto di Gabriele Acerboni

L'autore

  • Lorenzo Donati

    Tra i fondatori di Altre Velocità, è assegnista di ricerca presso il Dipartimento delle Arti all'Università di Bologna, dove insegna Discipline dello spettacolo nell'intreccio fra arte e cura (Corso di Educazione professionale) e Nuove progettualità nella promozione e formazione dello spettacolo al Master in Imprenditoria dello spettacolo. Immagina e conduce percorsi di educazione allo sguardo e laboratori di giornalismo critico presso scuole secondarie, università e teatri. Progettista culturale, è tra i fondatori di Altre Velocità e dal 2020 co-dirige «La Falena», rivista del Teatro Metastasio di Prato. Fa parte del Comitato scientifico dei Premi Ubu. Usa solo Linux.

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