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Pensiero, ritmo, movimento. Sonia Brunelli sull’orlo del precipizio

di Giuseppe Di Lorenzo

Sabato 9 novembre 2017, secondo weekend della XXIV edizione del Festival Crisalide. Sono le 19:00 alla Fabbrica delle Candele di Forlì, dove Sonia Brunelli sta per presentare il suo nuovo progetto: RP Boo “Classic Vol.1”. Coreografa e danzatrice già protagonista di soli a Crisalide come Doma (2006) e di rilevanti esperienze internazionali (Barok, Le Sujet à vif/Festival 2008), nel 2008 assieme a Leila Gharib (Sequoyah Tiger) fonda BAROKTHEGREAT, progetto che vede le due artiste portare avanti un lungo percorso di sperimentazione attorno alla danza e alla musica.

Una voce distorta balbetta un «Baby» come un anfetaminico Roger Daltrey nero, il ritmo martellante della drum machine innesca i piedi degli astanti, in quella musica adesso sparata a un volume che satura lo spazio disponibile per i pensieri (e le interpretazioni). Il rassicurante porto della melodia ci viene negato, al suo posto il continuo auto-fagocitarsi della musica campionata, sfuggevole a ogni spiraglio di piacevolezza. È il ritmo l’unico metro espressivo, catturato saldamente nei muscoli delle gambe e nell’accelerazione dei piedi. Sonia Brunelli non comincia subito, aspetta qualcosa che noi non riusciamo a percepire se non nella determinazione del primo, ineluttabile, movimento. A un certo punto i suoi arti inferiori cominciano a muoversi così velocemente che ci spariscono da sotto il naso, costruendo un’ipnotica opera di geometria proprio sul pavimento su cui siamo seduti anche noi. Non siamo in alto, né in basso, siamo all’altezza dei suoi quadricipiti, perché del resto in realtà non ci deve importare più di tanto – in fondo questa danza si chiama footwork. Le figure speculari che piedi e gambe formano ad un ritmo insano stancano gli occhi, eppure è come una droga che colpisce direttamente lo stomaco, lo fa bruciare per un secondo, finché non ti senti sempre meglio e non ti scordi di avercelo, uno stomaco. La musica che sentiamo viene da “Classic Vol.1” di RP Boo, produttore e musicista di Chicago, tra i maggiori rappresentanti del footwork. Un genere, uno stile di vita, una forma d’espressione di catarsi dello sforzo fisico. Anche a Chicago c’è sempre un DJ che manda la musica, a un volume possibilmente indecoroso, il danzatore al centro della scena sfida l’occhio di chi è venuto a guardare. Lo chiamano ghosting, sta a indicare quando riesci ad andare così veloce con quelle gambe da lasciare una scia, l’immagine impressa nella retina di dove era quella gamba mentre è già da un’altra parte. Intanto la drum machine non è solo un rumore ossessivo, ma il ritmo del tuo cuore, in totale sintonia con il rito purificatorio messo in scena con insaziabile rapidità. Se gli antichi greci ripetevano delle filastrocche velocemente fino a perdere i sensi per innescare delle leggere allucinazioni dovute al poco ossigeno rimasto nel sangue, nel footwork basta ammirare la folle velocità d’esecuzione dei passi per riempirsi dell’energia emanata e svuotarsi del proprio ossigeno, incapaci di interpretare semanticamente quello che accade, eppure davvero rapiti, finalmente focalizzati. Come un sole imprigionato, come un magma che zampetta qua e là, calmo eppure così denso di furia devastatrice, Sonia Brunelli anche quando è ferma, o semplicemente passeggia, continua a trascinarsi dietro i nostri sguardi rapiti, i nostri muscoli tesi in un atto che lei esplica per tutti noi. È come se fosse riuscita a codificare una grammatica essenziale e tribale, che fomenta emozioni ancestrali, come se giocasse sempre sul bordo di un dirupo in cerca di qualcosa da cogliere, e noi non possiamo che seguirla ovunque stia andando, come i topolini dietro il pifferaio di Hamelin.

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