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Oggi più che mai si ha bisogno di un Teatro

di Leo de Berardinis

Da qualche tempo si è inaugurata in modo spontaneo una rubrica, nata dal dialogo che abbiamo con alcune compagnie, che ha provato a dar voce agli artisti in un momento in cui non potevano andare in scena. Abbiamo raccolto su questo sito i pensieri di Gianni Farina e di Nicola Borghesi sul “teatro del dopo”, riflessioni su come fosse possibile rieducarsi alla comunità, su quale teatro immaginare dopo il lockdown. Di recente invece siamo andati a Villa Salina (Castelmaggiore) a vedere Notturno di Tra un atto e l’altro (progetto di Angela Malfitano e Francesca Mazza insieme a Maurizio Cardillo, Fabrizio Croci, Oscar De Summa, Marco Manchisi, Gino Paccagnella e Bruno Stori), che ha provato a ragionare su uno scenario fantascientifico che si fa realtà. Il pubblico è stato accolto dalle parole di Leo de Berardinis, qui di seguito riportate, che sottolineano l’enorme valore del trovarsi insieme, proprio dell’andare a teatro. Il testo è tratto da Apertura dello Spazio della Memoria (1992), Aprire un Teatro (1995), Teatro e sperimentazione (1995), Per un Teatro Nazionale di Ricerca (1999) e la sua composizione è a cura di Gino Paccagnella.


Si ha bisogno di un luogo della serenità, dell’igiene mentale, dove il rispetto reciproco delle individualità diventi un organismo che dialoga con se stesso: un luogo di riflessione, di specchiamento. Un luogo che sia fuori dalla rissa del quotidiano, non per isolarsene sterilmente, ma per contribuire con altre forze e tensioni della società alla chiarificazione, allo scioglimento di quei grumi di violenza e soprusi che di quella rissa sono causa ed effetto. Oggi più che mai si ha bisogno di un Teatro. Per me il teatro è l’attore, nel senso che le varie componenti dell’opera scenica, dal materiale verbale alle luci, dallo spazio scenico alla regia, non solo debbono culminare nell’arte dell’attore, ma debbono essere considerate dei supporti che permettano la sua creatività oltre l’evento stesso. Voglio dire che il teatro avviene veramente quando un attore comunica se stesso, la sua visione del mondo, la sua poetica. Quindi l’attore come autore e non come esecutore. Naturalmente la parola “autore” deve essere intesa in modo ampio, e non alla lettera, si può essere “autori” in questo senso anche se l’evento teatrale è l’Amleto di Shakespeare. Si tratta di una mentalità, di una tecnica personalizzata, di un modo di essere radicati nel proprio corpo, e per corpo intendo l’immaginazione, l’intelligenza, le mani, la voce, la pelle, l’esperienza; tutte quelle facoltà, insomma, che fanno dell’attore poesia vivente, teatro scritto nel corpo e non nel testo da rappresentare: un corpo di memoria.

Ogni tentativo poetico è una sperimentazione, per cui se il Teatro è un tentativo poetico è inutile aggiungere il sostantivo sperimentazione. In effetti tutta la poesia, non soltanto quella teatrale, è sperimentazione, in quanto dovrebbe innescare un processo conoscitivo che produca idee nuove, anche a prescindere dalle intenzioni dell’autore. La differenza importante è che presumibilmente un quadro, un libro non mutano se stessi mentre in teatro l’attore dovrebbe essere in contatto col pubblico, aprirsi ad intuizioni sconosciute di se stesso. Si potrebbe quasi dire che l’arte scenica in generale è l’unica forma d’arte in cui avviene – o dovrebbe – una mutazione seppur momentanea, piccola o grande, di tutti i partecipanti al processo.

In questo senso si può accettare la parola sperimentale in teatro, nel suo vero significato di esperienza che non riproduca l’esistente, il già noto. La presenza del pubblico è essenziale per creare dei campi magnetici forti perché ciò avvenga, e non è soltanto la quantità dei partecipanti a determinare questi campi magnetici, ma anche e soprattutto la loro qualità. Questa non si deve confondere con l’intellettualismo, con la conoscenza intesa come informazione, ma è da intendersi come disponibilità, fiducia mentale e amore del rischio. C’è una conoscenza come avere e una conoscenza come essere: cioè vivere la conoscenza. Ed è per questo che io dico sempre che non faccio Teatro ma sono e siamo Teatro nel momento in cui l’evento accade. Cominciamo con semplicità da un Teatro che non divida palcoscenico e platea, ma che sia mentalmente un unico luogo scenico, senza distinzione fra palchi, loggione e platea, fra artisti e spettatori. L’evento teatrale lo si fa insieme: prepariamoci senza affanno e retorica ad essere partecipatori.

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