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Occasioni di crescita. Conversazione con Roberto Casarotto

di Lucia Oliva

Per creare un’apertura internazionale in questo [speciale danza] ci siamo rivolti a Roberto Casarotto, operatore dalle plurime competenze che si occupa dell’ideazione e della cura di diversi progetti internazionali per la promozione della cultura della danza contemporanea (in Italia è responsabile dei progetti Danza Internazionale di B.Motion). Alla luce della recente piattaforma della danza italiana abbiamo chiesto a Casarotto un racconto di occasioni analoghe realizzate a livello europeo, per capire a quali esperienze si possa guardare e se sia possibile applicare alcune alternative virtuose sperimentate all’estero nel contesto italiano.  


Piattaforme come occasioni di crescita
Un esempio che mi sembra interessante citare è il Dutch Dance Days Festival a Maastricht, una piattaforma organizzata dal Theater Instituut Nederland, organismo in qualche modo paragonabile al nostro vecchio ETI, preposto, tra le altre cose, alla promozione culturale nel mondo delle esperienze artistiche olandesi legate alle scena. Il TIN ha riunito un team composto da diversi esperti e professionisti del settore, tra cui due artisti e alcuni direttori di importanti strutture teatrali nazionali, a cui si è aggiunta la mia convocazione come operatore internazionale in virtù della conoscenza e della frequentazione professionale che ho con la scena coreutica dei Paesi Bassi.
In questo tipo di esperienze il lavoro di squadra è fondamentale per riuscire a intercettare e coprire quante più esigenze possibile e per progettare minuziosamente l’evento in vista delle finalità principali della manifestazione. Nel realizzare la piattaforma abbiamo lavorato a stretto contatto per mesi, condividendo idee e proposte tra operatori e artisti. Ovviamente le finalità di ogni esperienza sono strettamente legate al contesto che la ospita, in questo caso si trattava di operare in un’area, quella tra Belgio, Olanda e Germania, che permette una grande possibilità di incontri transnazionali, una regione segnata da un plurilinguismo e una multiculturalità spiccata, che ha nella sua natura già le premesse per un’esposizione che travalichi i meri confini locali. Oltretutto in questa specifica occasione si è anche espressa la volontà di posizionarsi in un territorio periferico rispetto alle grandi capitali della danza olandese, Rotterdam, L’Aja e Amsterdam, per vivacizzare una situazione più marginale rispetto alla scena coreutica di grande respiro delle altre città. Il team ha quindi lavorato insieme alla realizzazione di giornate introduttive rispetto al vero e proprio Festival dedicato alla promozione della danza dei Paesi Bassi. Una peculiarità importante dell’esperienza olandese, che mi sembra necessario sottolineare, è la possibilità data agli artisti non semplicemente di far vedere frammenti del loro lavoro ma, nel caso in cui gli spettacoli per le più svariate ragioni non potessero essere compresi nella programmazione ufficiale, si potevano organizzare momenti di pitching, ovvero la presentazione in forma verbale o con interventi video di tutti quei lavori che altrimenti sarebbero rimasti invisibili. A questo si è però unita un’attenzione fortissima rispetto alla formazione, mettendo a disposizione degli artisti più giovani strumenti e tutor per prepararsi al pitching: non solo i coreografi venivano aiutati a comprendere quale fosse la modalità di presentazione più efficace, se tramite la parola o le immagini, ma venivano seguiti per strutturare un intervento che nel breve tempo di esposizione concesso, circa dieci minuti, riuscisse ad ammaliare il pubblico senza però tradire il proprio progetto o le proprie intenzioni artistiche.

Da mercato a luogo di crescita
Tale modo di operare ha delle conseguenze e delle ricadute che travalicano le giornate del Festival e un eventuale “successo” commerciale della propria proposta, perché permette ai giovani coreografi di imparare non solo qualcosa di più sull’identità profonda del proprio lavoro, ma anche sulle modalità per promuoverlo e per comunicarlo al pubblico. La formazione degli artisti emergenti era una delle finalità che da subito si sono delineate nell’ideazione della piattaforma, oltre a quelle specifiche di coniugare promozione locale e internazionale, ed è uno dei tratti più importanti dell’esperienza, che contribuisce a trasformare una piattaforma da un insieme di giorni intesi a creare un mercato di opportunità, a un momento di incontro, di scambio, di dialogo e persino di crescita. In questa occasione poi il dialogo non era pensato solo tra artisti e operatori o tra artisti di generazioni diverse, più affermati e maturi e nuove presenze, ma anche tra artisti, pubblico e operatori, con la realizzazione di serate in cui il pubblico (e in questo intendendo ovviamente anche i critici) era invitato a esprimersi e a porre domande agli artisti, in un momento di confronto assai prezioso non solo per i coreografi stessi ma anche per gli operatori che in questo modo sono riusciti ad avere un contatto più diretto con il pubblico delle loro serate.
Ogni piattaforma deve essere misurata però in base al contesto in cui si propone di intervenire: questo tipo di iniziativa così articolata ha senso in Olanda a fronte di una tradizione (almeno fino a ieri, ora con i recenti tagli il panorama potrebbe modificarsi) di grandi investimenti nella produzione coreutica e nel sostegno alla mobilità artistica, e in un panorama di offerte e proposte artistiche straordinario e estremamente vivace, ovvero è pensato per una situazione in cui esiste un sistema-danza in grado di supportare tale progetto. In tale occasione è stata attuata una riflessione molto puntuale sulla geografia dell’esposizione, ovvero su chi si vuole coinvolgere e intercettare con questo tipo di piattaforma, al contrario mi sembra ineffettuale un’esposizione fine a se stessa, se poi non si sviluppano non solo un pensiero ma anche strumenti concreti volti al sostegno della mobilità transnazionale degli artisti. Si tratta purtroppo di una trappola in cui è molto facile cadere, perché è semplice pensare all’esposizione trascurando tutto ciò che vi sta dietro e che la sostanzia, per esempio se tra gli artisti esista una maturità sufficiente anche a livello organizzativo e di management. Per semplificare mi sembra che a volte ci si affidi a modelli passati, che sono stati anche efficaci ma che non hanno più nulla a che vedere con il contesto in cui si opera oggi.
Credo sia importante sottolineare la questione delle tempistiche nella programmazione e nella realizzazione dell’evento non solo come questione logistica o organizzativa ma come elemento fondamentale fin dall’ideazione della piattaforma. In Italia per molti anni non sono state attuate piattaforme, ma all’estero si è continuato a farlo e per intercettare le presenze internazionali è necessario che la tempistica sia curata al dettaglio, sia rispetto a pubblico e operatori che alla scena artistica, per coinvolgere quante più presenze possibili e permettere una calendarizzazione efficace anche considerando i grandi appuntamenti negli altri paesi. Personalmente purtroppo non ho potuto prendere parte alla Nid Platform a causa della sovrapposizione di altri eventi in Europa, e lo stesso è accaduto a molti altri operatori internazionali che in una piattaforma del genere si vuole siano presenti. Un modello che mi sembra vincente dal punto di vista dell’organizzazione concertata a livello internazionale è la British Dance Edition, evento promosso da fondi pubblici e realizzato da un network di “agenzie” di danza, strutture proposte non solo alla promozione e alla formazione ma anche alle residenze, diffuse in tutto il Regno Unito, che viene ospitato ogni volta in un luogo diverso. Nel 2014 sarà la volta della Scozia, ma si lavora a questo appuntamento, che ha cadenza biennale, già dal 2012. L’appuntamento con la danza inglese viene programmato in anni pari perché negli anni dispari si realizza la piattaforma svizzera della danza, un altro grande evento che ha tantissimo appeal a livello internazionale.

Un balzo verso l’Europa
Un’altra esperienza che vorrei citare, e in cui sono coinvolto personalmente, è Spring Forward, una piattaforma di giovani coreografi emergenti pensata a livello europeo, al di fuori di logiche nazionali e locali, che dà la possibilità agli artisti di incontrare e confrontarsi con altri pubblici e contesti. Aerowaves si è fatta promotrice di questa manifestazione con la convinzione che sia fruttuoso pensare all’Europa come una macroregione unica in modo da unire le forze e promuovere le eccellenze, amplificando e dando visibilità a quelle che altrimenti rischierebbero di rimanere esperienze esclusivamente locali o nazionali. Si tratta ovviamente di un progetto ancora giovane che nel 2013 vedrà la sua terza edizione a Zurigo, dopo essere stata ospite a Ljubljana e Bassano del Grappa, e come tale sottoposto ancora a rodaggio e verifica, ma che già è in grado di suscitare l’interesse di centinaia di operatori con una ricaduta assolutamente positiva per l’intero settore.
Ancora una volta la discriminante più importante in questo progetto mi sembra essere l’assoluta chiarezza sulle finalità della piattaforma: ovvero perché è realizzata e a chi è rivolta. Un esempio in un certo senso speculare è la piattaforma di danza dei paesi scandinavi Ice Hot: cinque paesi del Nord che hanno deciso di unirsi consapevoli che manifestazioni solo nazionali possono avere un appeal minore, anche considerando realtà meno popolose come l’Islanda, dove la scena di danza contemporanea è quantitativamente assai diversa da quella che può essere l’offerta del Regno Unito. Da qui l’intelligenza di riunire le eccellenze coreografiche emergenti dei singoli paesi ospitando la manifestazione ogni volta in una capitale diversa, creando in questo modo un’attrattiva molto più forte non solo per i professionisti del settore ma anche a livello di turismo culturale, un aspetto questo da non sottovalutare. Oltretutto con questo tipo di manifestazioni si evidenziano anche caratteristiche esclusivamente locali della scena artistica, e per questo estremamente interessanti: per esempio l’uso della luce nel teatro del Nord è unico, ed è chiaramente messo in forma dal fatto che in queste zone sia per gran parte del tempo buio. Diversamente un settore maturo e ricco di sostegno come quello della Gran Bretagna mostra un grandissima attenzione alla produzione del territorio, ma mai a scapito del livello artistico e della competenza tecnica della scena, tutte caratteristiche che in qualche modo riflettono anche quello che è l’agire istituzionale in un paese.

La responsabilità di una visione
Di nuovo però in ogni esperienza è fondamentale la chiarezza dell’intento, ovvero delineare con precisione quali sono le scelte e le necessità su cui si progetta l’iniziativa. Anche a livello di selezione le modalità e i criteri possono essere assai diversi di caso in caso, ma la cosa più importante è l’assoluta trasparenza di questi criteri, come anche la capacità di lavorare in squadra oltre alla competenza e alla professionalità delle figure che compongono il team. Queste mi sembrano in generale le caratteristiche necessarie affinché una piattaforma abbia ricadute reali e positive sul sistema e sia in grado di convogliare risultati rispetto a uno specifico obiettivo. Ovviamente stiamo trattando un argomento assai complesso, e traendo conclusioni non posso far altro che astrarre e generalizzare.
“Responsabilità” è una parola d’ordine sempre valida per gli operatori, anche al di là delle piattaforme, nel quotidiano, ed è innanzitutto la responsabilità del riconoscere la parte creativa, direi anche drammaturgica, del loro lavoro. Non si tratta di tecnici seduti dietro una scrivania: troppe volte è accaduto che spettacoli meritevoli e interessanti venissero uccisi da una collocazione sbagliata nel palinsesto, o mortificati dalla scelta di un luogo inadatto, o penalizzati da questioni logistiche come l’accumulo di visioni in una giornata o la necessità di spostarsi da un teatro a un altro. Sono tutte variabili di cui i programmatori devono considerare nella loro rete complessa di relazioni. Non è sufficiente far vedere qualcosa: la visione va organizzata con intelligenza e lungimiranza. Anche rispetto al pubblico bisogna agire con responsabilità: troppo spesso accade di ascoltare operatori che hanno la presunzione di sapere cosa piace al proprio pubblico, ma gli spettatori non sono idioti e spesso sono molto più all’avanguardia o disponibili al nuovo di quanto si possa immaginare. Si tratta di rompere questo schema di presunzioni utili solo a creare dei ghetti: agendo con integrità si può scoprire che l’orizzonte di attesa è più pronto di quanto si immagini, anche rispetto alle produzioni contemporanee.

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