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Non è mai troppo tardi per un prodigio. Laika di Ascanio Celestini

di Altre Velocità

Alla fine non è mai troppo tardi per un prodigio. Un prodigio che si realizza attraverso coloro da cui non ci si aspetta più nulla. O almeno questo è ciò che la società ci vuol far credere. Ascanio Celestini con lo spettacolo Laika, andato in scena all’Arena del Sole il 5 maggio, ci costringe a dirigere l’attenzione sull’umanità diseredata, dimenticata, annullata. Ci ricorda quanto questa fetta di anima e carne sia più dignitosa di molti di noi, seduti comodi in poltrona ora a teatro ora davanti a un televisione e dopo chissà.

Ascanio Celestini indossa i panni di un Gesù blasfemo, figlio di nessun Dio, orfano d’amore. Niente di più meravigliosamente dissacrante per raccontare la realtà dei fatti. Non c’è malinconia nell’immaginario di strada di una prostituta o di un barbone, ma solo rabbia. La rabbia di coloro che mostrano i denti e mordono il vuoto. Ma alla fine non è mai troppo tardi. Per un prodigio. Le note che sfilano dalla fisarmonica di Gianluca Casadei accompagnano passo passo quello che Celestini ci “vomita” addosso senza censura, senza preoccupazione alcuna di ferirci. Anzi forse è proprio una ferita che vuole aprire l’attore romano. La ferita del cambiamento.

La scenografia in cui lo spettacolo prende corpo e si agita è fatta dell’essenziale, è asciutta. Delle lampade, come quelle che le nostre nonne hanno sui comodini di mogano antico, adornano i lati del palcoscenico; al centro, invece, delle cassette, di quelle per trasportare bevande. Cassette nascoste da una struttura a binari su cui scorrono tende rosse, quasi che l’intenzione del regista fosse quella di creare una situazione d’intimità. E proprio su queste cassette che il fisarmonicista e Celestini si perdono in ricordi, evocano immagini, formulano teorie cosmiche, decidono sul da farsi, indecisi ma mai vinti. Il prodigio è la rottura dell’indifferenza bastarda. Il prodigio non ha natura divina. Non ci sono mani congiunte, preghiere cadute nel silenzio di un ascoltatore assente. Il prodigio è umano e nasce laddove le persone hanno il coraggio di intervenire, senza calcolare quanto possa essere rischioso. Niente più assicurazioni di vita o infortunio. E la voce narrante fuoricampo di Alba Rohrwacher ce lo ricorda mentre porta avanti il racconto del barbone, della prostituta e delle due signore anziane, amiche per gli ultimi metri di vita rimasti da percorrere. Alla fine non è mai troppo tardi per capire che ognuno può ritrovarsi con la testa “impacciata” da un giorno all’altro, che è una possibilità da tenere in conto, perché non sempre si cade con le mani davanti. E mentre il soffitto della volta celeste ci sta per crollare addosso, Laika ci parla della sofferenza subita trasformata in amore per la vita.

Carmen Zaira Torretta

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