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Nel tempo degli dei di Marco Paolini. Un punto di vista collettivo

di Altre Velocità

Ci sono spettacoli che non possono essere giudicati immediatamente dopo la loro conclusione. Che sia positivo o negativo, il parere spesso richiede una certa elaborazione mentale. È necessario, dunque, che il nostro pensiero ripercorra le fasi salienti e le varie sfaccettature di cui si compone la messa in scena, per potersi poggiare su solide argomentazioni. È questo il caso di Nel tempo degli dei, l’ultimo spettacolo scritto e interpretato da Marco Paolini, e rappresentato all’Arena del Sole dal 6 al 9 febbraio scorso. Protagonista «un Ulisse che, finalmente, prova ad ascoltare sua moglie, suo figlio, che prova a comprendere persino gli dei capricciosi che si sono giocati il suo destino» (dice il regista Gabriele Vacis). In questa rilettura contemporanea dell’Odissea l’eroe, sebbene travestito da calzolaio, ha ormai imparato a vivere consapevolmente e ad accettare il proprio destino. La decisione di autoinfliggersi l’esilio dopo il ritorno “sanguinoso” a Itaca è segno di maturità e saggezza: durante il cammino rinfrescherà la sua memoria raccontando a un apparente giovanissimo capraio le sue mitiche avventure. Nel tempo degli dei apre alla riflessione e permette un’analisi trasversale di tematiche e strumenti di scena: dalla comunicazione delle emozioni allo scontro generazionale, o ancora dall’Ulisse amato dalle donne all’importanza dell’accompagnamento musicale. Una prospettiva multipla che, qui di seguito, trova spazio e che offre una poliedricità di sguardi critici, personali e consapevoli. Leonardo Ostuni

Il valore del contrasto
Nell’infinito racconto di Odisseo al giovanissimo capraio in merito alle sue precedenti peripezie, c’è un momento nel quale la mia mente ha preso una pausa di riflessione. È la strage dei Proci, compiuta da Odisseo dopo l’impresa dell’arco e che mette in evidenza il tema della vendetta. La testimonianza è affidata al figlio Telemaco, ma al pathos del ricordo macabro della strage di Antinoo e compagni si contrappone la lentezza ammaliante di It’s five o’clock degli Aphrodite’s Child. È un contrasto tutto da interpretare, ma è probabilmente lo stesso Odisseo che carica inconsciamente quell’episodio terribile di un valore magico, perché rappresenta la riappropriazione della sua “casa”. A rendere ancor più significativo il ricordo, la lenta discesa al suolo di coperte isotermiche, simbolo della strage dei pretendenti di Penelope, ma anche chiara allusione al tema scottante dell’immigrazione. L. O.

Il servo di scena
Solo un servo di scena, un inseguitore muto, Telemaco per la prima parte di Nel tempo degli dei di Marco Paolini non è altro che l’ombra di suo padre. Il giovane figlio di Odisseo aziona i meccanismi che consentono ai racconti dell’eroe di diventare grandiosi. Alzando ed abbassando un lenzuolo bianco che diventa vela, vento, nascondiglio, Telemaco è anche il bracciante della flotta che perisce senza nome, uno dei tanti marinai dimenticati tra le pagine dell’Odissea. Solo il re di Itaca è destinato a ritornare per essere ricordato, per narrare l’incredibile storia di se stesso. Tuttavia, a un certo punto, il Figlio prende la parola e zittisce Odisseo, lo ammonisce per le sue mancanze con un accento marcato, diverso da quello del genitore e rovesciando su di lui le vesti delle vittime di tutte le stragi che ha compiuto, sostiene fermamente che esiste sempre un’altra via. Come per la psicoanalisi contemporanea, anche per il Telemaco di Paolini la Legge del Padre non non è più sufficiente. È finito il tempo degli dei, questo è il tempo dei figli, che alzandosi in piedi fanno risuonare voci più alte degli avi. Emma Pavan

«Ricordati che questa donna ti ha salvato la vita»
Ulisse, l’eroe. Ulisse, il divino. Ulisse, l’astuto. Ulisse, multiforme. Ma cosa diciamo dell’Ulisse amato? No, non innamorato. Ma amato: da Circe, da Calipso, da Nausicaa. Ne Nel tempo degli dei, Paolini esplora il personaggio di Ulisse da varie angolazioni. Fedele alla tradizione ma anche ai nostri tempi. E quello che fa è presentarci anche con quale amore e affetto le donne hanno amato il “resistente divino Ulisse”, di come ognuna di loro lo abbia salvato, senza vedersi ricambiare l’amore che lui ha sempre indirizzato verso sua moglie Penelope. E la forza dell’amore che ognuna di loro ha provato viene incarnata da una bravissima Saba Anglana, che con il suo canto da voce a tutte queste donne, gioiose come Circe, ferite come Calipso, speranzose come Nausicaa. «Ricordati che questa donna ti ha salvato la vita». Sono queste le parole che gli dice la dolce Nausicaa mentre lo vediamo andare via ancora una volta, un’ultima, da una donna che non è sua moglie. E allora questa volta, tanta voce e tanta emozione viene data alle donne ingannate, tradite, usate da Ulisse, che forse un po’ si pente o forse no. Martina Anselmeti

Senza mai aprire gli occhi
La tecnologia moderna ha dotato diversi film di commenti aggiuntivi che permettono la “visione” delle scene a chi normalmente non può vedere. A chi sostiene l’impossibilità del teatro di spingersi tanto avanti come linguaggio viene in risposta la performance sonora di Marco Paolini e della sua “band” formata da Saba Anglana, Elisabetta Bosio, Vittorio Cerroni, Lorenzo Monguzzi e Elia Tapognani. Sono la musica, le voci, i rumori i veri protagonisti dello spettacolo. Le avventure di Ulisse diventano ancestrali grazie al lontano accento veneto, poi erotiche con le note latine della chitarrista, poi suscitano timore quando accostate al fragore generato da lastre di metallo appese come elegante scenografia. Fra le voci emerge quella di Saba Anglana capace di cantare pezzi rap, rock ma anche imitare i versi dei gabbiani d’Itaca. Certamente anche l’occhio vuole la sua parte ma pare che Nel tempo degli dei sia l’udito che occupa quella più importante. Uno spettacolo che rimarrebbe tale anche se visto senza mai aprire gli occhi, poiché le immagini nascerebbero più nel sognare di chi ascolta che nel palco. Riccardo Balboni

Due generazioni face to face
L’impossibilità di un dialogo generazionale? Forse; uno scontro uomini-dei? Probabilmente. Difficile dire cosa Paolini volesse mettere maggiormente in evidenza dal dialogo tra Ulisse ed Ermes, ma una cosa si può dedurre: esso è l’input, è il meccanismo che fa scaturire tutte le altre dinamiche, delineando maieuticamente il racconto del viaggio che ha destinato Ulisse a fama imperitura, regalandogli quell’immortalità che lui stesso aveva rifiutato. Sicuramente un dialogo che ci fa riflettere, che ci lascia davanti ad uno stato di necessità: la necessità di abbattere i muri che ci separano dall’altro, dal diverso, l’esigenza di un’elasticità mentale che ci porti all’apertura verso una generazione lontana dalla nostra. Questo ai giorni d’oggi; e “nel tempo degli dei”? L’atteggiamento tracotante di un uomo che sfida un dio e l’umanità di un dio che dall’uomo vuole molto di più di una semplice ecatombe. Giorgia Renghi

Ho vissuto nel tempo degli dei
Le voci, la musica, la scenografia, le parole: questa totalità – messa insieme dall’incredibile bravura degli interpreti – ha ecceduto ogni mia grande aspettativa. In prima persona ho “sentito” quello che veniva narrato, l’ho sentito perché chi era sul palco ha parlato tramite ciò che di più semplice – e dunque raro – ci possa essere: la pura, genuina, bellezza. Lo spettacolo è ricco di momenti significativi, ma ce n’è uno “sacro” che vorrei descrivere: è il momento in cui Ulisse, tornato a Itaca, si ritrova da solo al centro del palco, con il figlio Telemaco che, nell’ombra, fa cadere dall’alto grandi fogli dorati. È una scena che coincide, nella mia esperienza spettatoriale, con un forte pathos, il più intenso direi. Non succede nulla di particolarmente rilevante, eppure io in quell’istante ho creduto di vivere in un mondo onirico: d’un tratto il tempo si è fermato, mi sono ritrovata in una realtà diversa, mitica. Insieme ai pezzi di carta dorati che lentamente si sono adagiati sul palco, anche le luci hanno “colorato” la magica atmosfera, che si mostrava intatta. È stata come un’opportunità: poter sfiorare un passato mai vissuto, eppure così tanto vicino alla mia emozione.Giorgia Pagano

Il troppo stroppia
Nel tempo degli dei, ma quali dei quando il tempo è quello degli SMS? Dei che evirano i padri e che verranno evirati dai figli, che non temono i problemi del mondo perché lo governano: gli immortali, i giovani troppo giovani per curarsi della morte. Un Ermes rockettaro e un Antinoo che mangia a spese di Ulisse.
La rilettura di Paolini e Niccolini è filologicamente corretta: l’Odissea mette in scena, tra le altre cose, un conflitto generazionale. Ma condensare millenni di tradizione in due ore impone di rinunciare a qualcosa. Nel tempo degli dei si lascia tentare dall’ambizione ed esagera, con la musica poliglotta, con le battutine spiritose, con le battutone enigmatiche, con i toni da Far West. Un mix di spunti interessanti, i cui ingredienti vengono però tratteggiati solo a metà e male amalgamati nel delineare una prospettiva tematica omogenea e unitaria. Una volta uscita da teatro, sono rimasta con il sospetto di aver assistito a un’operazione divulgativa, forse spettacolare e divertente, ma non più originale di tante altre.Elisa Ciofini

Ulisse senza cuore
Che Ulisse sia un maschilista è certo. Che Marco Paolini accentui questa caratteristica del personaggio omerico anche. L’Odisseo di Nel tempo degli dei, andato in scena all’Arena del Sole, è un personaggio crudele, egoista e sarcastico. Lungi dalla sete di conoscenza, il personaggio compie il suo viaggio perché gli dei, perché gli altri, perché questo, perché quello… Perché LUI vuole così. Di etico ha ben poco: viene ospitato da Circe, Calipso o Nausicaa, dee innamorate di lui, che, da vero eroe, non può ricambiare il loro amore. E non perché ama Penelope, mai nominata se non sul finale. Semplicemente perché è un anaffettivo: le sfrutta per i suoi interessi e poi le abbandona. Un classico narcisista che ha di originale le battute pungenti in bilico tra il moralismo e il tentato modernismo. Battute che ai tre ragazzi seduti al mio fianco hanno fatto ridere. E se tre adolescenti hanno trascorso il loro sabato sera a teatro, allora Ulisse piace. Anche se è un senza cuore, piace. Marta Costantini

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