Prepararsi a diventare orfani non è semplice quando si è abituati ad essere figli, così come è complesso rinunciare ad un’ideale storico con cui si è maturati. Dal 15 al 16 maggio 2025 al Teatro Mario del Monaco di Treviso è andato in scena lo spettacolo Napoleone, La morte di Dio, rappresentazione che, ispirata in parte allo scritto I funerali di Napoleone di Victor Hugo, unisce le parole dello scrittore francese con le riflessioni di un figlio, forse lo stesso Hugo, sulla perdita del proprio padre.
Sul palco Lino Guanciale, accompagnato da Simona Boo e Amedeo Carlo Capitanelli, interpreta la parte di un uomo seduto su una panchina che riflette da un lato sugli ultimi momenti di vita del suo genitore e dall’altro sui futuri funerali di Napoleone Bonaparte, il cui corpo è appena rientrato nel 1840 in patria dopo la morte a Sant’Elena di 19 anni prima. Fin da subito il pubblico si interroga su chi sia il personaggio, dato che il dramma del regista Davide Sacco, forse per rendere più universale la vicenda, non esplicita né l’identità del padre, né quella del figlio che lo accomiata, che può trattarsi di Victor Hugo, così come di qualsiasi altra persona. Le battute che descrivono la sofferenza e la progressiva perdita di dignità del padre si alternano al testo originale, a illustrare lo svolgimento del funerale del primo imperatore dei francesi, narrato come una grande festa accompagnata dal suono dei cannoni. La perdita di identità del protagonista in quello strano momento di pace, ovvero il passaggio dalla morte paterna alla sua accettazione, è il punto fondamentale di connessione fra il genitore e Bonaparte; la mancanza del padre come punto di riferimento in cui identificarsi è comparata alla privazione degli ideali di libertà incarnati dalla figura napoleonica. Bonaparte nei fatti è il grande padre della patria francese, un modello di ispirazione per tanti e il suo funerale è il modo in cui i figli del suo popolo possono salutarlo nel modo più degno.
La Parigi che riceve la salma dell’Imperatore è però una città che ha perso il contatto con la storia e che non ha più nulla a che fare con i fasti dell’età napoleonica; i borghesi e i deputati del parlamento, ormai compromessi con la monarchia di Luigi Filippo d’Orleans, vengono accusati di accogliere tiepidamente le esequie e di sottovalutare la portata storica dell’evento, rendendo la loro partecipazione una ridicola carnevalata. Il personaggio principale, prendendo a calci della sabbia presente sul palco, distrugge simbolicamente alcune statue di personaggi celebri della storia francese, come Luigi XIV e Giovanna D’Arco, con la speranza che Napoleone non venga ricordato squallidamente con una semplice scultura. I popolani e i ceti più bassi, non essendo stati corrotti dalla Restaurazione e dal suo clima di stagnazione politica, sono gli unici a salutare entusiasticamente il ritorno del corpo di Bonaparte, gridando più volte “Viva l’Imperatore”. Durante la cerimonia viene letto da Guanciale il testamento di Bonaparte, che invita il proprio figlio, in questo caso Napoleone II, morto nel 1832 a Vienna, a non reprimere i popoli d’Europa e a non collaborare con la nobiltà restauratrice. L’atto termina con una bara che, come il deus ex machina delle tragedie di Euripide, cade dall’alto chiudendo la vicenda.
L’esibizione, per spostare l’attenzione del pubblico sull’interpretazione introspettiva di Guanciale e sulla sua capacità di cambiare registro vocale a seconda delle battute, punta meno sulla scenografia, sobria in molte sequenze e costruita con pochi oggetti di scena. Gli unici elementi che riempiono lo spazio sono sia dei lampadari che accompagnano la lettura del testamento, sia un paio di carrelli appendiabiti, su cui sono appesi alcuni costumi. Le canzoni cantate da Simona Boo e i forti effetti di luce che accompagnano la cronaca dell’evento funebre servono a riprodurre l’euforia e la confusione della folla di fronte al ritorno di Bonaparte. I costumi nella rappresentazione giocano un ruolo molto ristretto, tranne nella scena della lettura delle volontà ultime di Napoleone, in cui Lino Guanciale, indossando un grande cappotto militare e una Feluca nera, non solo trasmette solennità al discorso, ma lo riconnette con il suo autore originario.
Sebbene il testo drammaturgico lasci al pubblico molti spunti e varie strade di interpretazione, l’aspetto focale riguarda la perdita del proprio punto di riferimento, che sia il padre o il modello politico da seguire. Esattamente come la morte del genitore significa la fine di una parte della storia personale, allo stesso modo la scomparsa di Napoleone sancisce la fine di una parte della storia umana, oltre che dei valori di cui si è fatto portavoce. Nessuno sa quando verrà il momento in cui dovrà perire o sa riconoscere i segni della propria fine, esattamente come quando Napoleone tentò di risorgere come un Dio dopo l’esilio all’Isola D’Elba, per poi trovare la sconfitta a Waterloo. La morte di una persona significativa e la fine di un’epoca in cui si è cresciuti portano a un bivio il singolo individuo, che può scegliere se aprire una nuova parentesi della propria storia o rimanere passivo di fronte al tempo che passa, uccidendo la storia stessa. Come raccontato nel resoconto di Hugo, sia i popolani che i deputati erano figli di Napoleone, ma i primi, vogliosi di riscattarsi e di diventare protagonisti di una nuova era, scelgono la prima via, ricordando il loro padre nel migliore dei modi, mentre i secondi, sistemati nei ranghi di potere, hanno salutato Bonaparte con superficialità, optando quindi per la seconda via e condannando la Francia ad un periodo di stasi.
L'autore
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Nato a Venezia nel 2005, collabora con le testate online “Il Punto Quotidiano” e “Finnegans”, con il periodico “Gente Veneta” e nel 2024 ha scritto recensioni per la Rassegna teatrale e musicale “Le città visibili”, svoltasi a Rimini
Una risposta
Complimenti vivissimi a Michelangelo Suma per l’accuratezza dell’analisi e la profondità d’intuizione simbolica.