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L'esecuzione: che cosa penseresti il giorno prima della tua morte?

di Altre Velocità

Colonna sonora per la lettura: https://www.youtube.com/watch?v=nIsCvQPOdcM

[caption id="attachment_1412" align="alignnone" width="850"] Il disertore e la guardiana in scena: lui (Vittorio Franceschi) nel profluvio delle sue esperienze di vita, lei (Laura Curino) che lo accompagna, dolcemente, nell’attesa della morte[/caption] L’Esecuzione, in scena dal 4 al 21 aprile all’Arena del Sole di Bologna per la regia di Marco Sciaccaluga. Sul palco, per due settimane, Vittorio Franceschi e Laura Curino siedono sui tappeti volanti della memoria: lui legato a una sedia, accecato, bendato; lei con ago e filo in mano. Si ascoltano, si raccontano. È l’ultimo giorno di vita del condannato, sta per essere processato come disertore. Torturato e umiliato, ora non resta che aspettare. E anche per lei, la guardiana, che gli siede vicino, diventa un’attesa vuota che si riempie di flussi di parole su ricordi, esperienze passate, su ciò che ha fatto o non fatto. IL DISERTORE – È autunno. LA GUARDIANA – Siamo in casa. Seduti sul divano. IL DISERTORE – Mi ricordo. LA GUARDIANA –  C’è un leggero vento. IL DISERTORE – La mamma è al pianoforte. LA GUARDIANA – Meraviglioso. IL DISERTORE – Chopin. Un monologo o un dialogo non si sa; non si sa se il condannato a morte parli con se stesso, con la propria rovina, con la propria carceriera, con il proprio tempo. Uno stillicidio di secondi si accavalla sull’esistenza di un uomo bendato impossibilitato a tutto: tempo e azione, decisione e reazione. Solo una cosa gli rimane ormai: i ricordi di una vita, quelli che stimolano domande forse assurde, eppure così acremente umane, poiché devote all’ossessiva ricerca di comprensione. Poco movimento, l’azione è nulla. Quasi soffocano, le parole. A tratti penso siano troppe, che non ci sia un attimo di pausa, di respiro, né di fiato sospeso, di esaltazione. Ma se ascolto si sente lo stesso il white noise delle ruote del carro per strade sbrecciate; viaggia e percorre i chilometri che distanziano un uomo dalla sua infanzia, una vita dalla sua morte: 24 ore. [caption id="attachment_1413" align="alignnone" width="850"] La Guardiana intenta a tessere la tela delle sue parole, dei suoi ricordi[/caption] LA GUARDIANA – C’è qualcosa che rimpiange? IL DISERTORE – Sì, un liquore che amo. Si chiama Acqua di Venere. Ricorda i suoi viaggi, i suoi passi dentro chiese piene di ossa divenute polvere, che all’uscita gli stivali erano bianchi. Quando la donna chiede se vuole lasciar detto qualcosa, un epitaffio, un ricordo di sé, una storia, una leggenda, l’uomo risponde: “Gerico. Le mura di Gerico. Fra tutte le leggende che ho sentito è quella che mi è rimasta di più impressa. Le sette trombe suonano e le mura crollano. Molto meglio del cavallo di Troia, non crede? Più spettacolare”. LA GUARDIANA – Questa terra custodisce ogni suono e i suoni si mischiano sotto la crosta e stanno lì accartocciati per millenni. Ci vuole qualcuno che infili un braccio nella fessura, li tiri fuori e li apra. IL DISERTORE – Così diventano parole. LA GUARDIANA – Qualcuna l’ho segnata su un foglio e ho spazzato via la terra. Sono parole cupe, gutturali. Sembrano strappate al sottosuolo coi denti, vengon su con tutte le radici. La morte aleggia anche sulle leggende: lo fa tramite il tempo scandito da un orologio a cucù di tipo tirolese a lato della scena. Ogniqualvolta suona, la carceriera corre a rimetterlo indietro: ci si vuole scordare dell’avanzare inviolabile del giorno. Poi la morte sono coleotteri che battono i becchi alle finestre. Sulla scena di Matteo Soltanto carcasse di sedie alla rinfusa, polvere, strati di tempo accumulato. Una bottiglia con un messaggio in primo piano: l’uomo l’ha trovata in riva a un fiume, dopo giorni che camminava senza meta. Non l’ha letto subito perché voleva coccolarsi con il mistero, prolungarlo per qualche giorno. Come l’attesa della sua morte, seduto su una sedia a ricordare la vita. Lancinante eppure necessaria, immanente. Che cosa si chiede un uomo che sa che l’indomani la sua esistenza avrà fine? Che cosa rimarrà di lui. [caption id="attachment_1415" align="alignnone" width="850"] Travi e masserizie di crolli antichi: l’interno e l’esterno si somigliano[/caption] E allora tra travi e masserizie di crolli antichi (un po’ lo stesso scenario che si apre sul palcoscenico) dice di aver visto passare il suo tamburello di latta e la foto di sua madre, “e gli occhi di due ragazze che feci abortire a quindici anni e c’era nell’oscuro un traghetto rovesciato che sbatteva di qua e di là, sentivo grida orrende e bestemmie venir da sotto, insieme a un ballabile.” E da qualche parte suonava un’orchestrina: “Il di dentro, la parte che diciamo spirituale e che ci fa piangere quando c’è il clarinetto dell’enfant prodige? In quella pista vuota si accoppiavano le colpe ma io cercavo il bene, cercavo uno scopo dopo tanta gozzoviglia.” Poi torna al presente. Oggi, domani. E niente più. IL DISERTORE – A che ora è fissata? LA GUARDIANA – Non c’è mai un’ora precisa. Ogni volta cambiano per evitare assembramenti. Si fanno scommesse. IL DISERTORE – Su cosa? LA GUARDIANA – Sui tempi dell’agonia. IL DISERTORE – Non è istantanea la fine? LA GUARDIANA – Quasi mai. E come in un quadro di Van Gogh, cornacchie nere preannunciano morte. Il presagio negativo incombe con battiti alla finestra. [caption id="attachment_1416" align="aligncenter" width="850"] Van Gogh, Campo di grano con volo di corvi[/caption] Come un quadro di Van Gogh o come un’opera barocca, sovraffollata di elementi secondari, tanti che prevalgono sul fulcro, sul centro: l’esecuzione qui non si vede, non c’è la violenza della condanna a morte, non le lacrime di discolpa; ma un attaccamento alla vita tramite la memoria, quella terra di confine spazzata dal vento che continuamente muta di paesaggio. [caption id="attachment_1418" align="aligncenter" width="664"] Rubens, Sansone e Dalila[/caption] LA GUARDIANA – Ho pensato a un verso che lessi da bambina: hanno la stessa età / la morte e la luce. IL DISERTORE – Chi è il poeta? LA GUARDIANA – Non si sa. Era scritto su un muro col gesso. Un urgente bisogno di verità che non viene mai totalmente svelata: non è compreso, dallo spettatore e dagli attori stessi, il confine tra il vero e il falso. Ci si sente persi, talvolta, nel flusso di parole: non si trova appiglio razionale, non si capisce bene dove si sta andando e, alla fine, non si arriva a naufragare in nessuna spiaggia: si resta nel mezzo, nel mare salato, amaro come la morte, dolce come il ricordo. Eppure che cosa può essere, se non questo, l’ultimo giorno di un condannato? Che cosa può essere, se non pelle intrisa dell’energia di una vita, che si sfracella nella poltiglia dei ricordi, del sangue versato, della birra bevuta?

Qui il testo integrale

Angela Curina

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