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Leonardo. Il genio e il bambino

di Altre Velocità


Leo è un bambino curioso. Leo è un bambino attratto dal mondo e dai suoi magici meccanismi, dalla natura e dai suoi elementi: è curioso della vita. Questo desiderio di conoscere viene continuamente integrato, colpito e squassato dall’immaginazione, che attraverso il gioco non fa altro che arricchirla, la vita. E anche quando Leo non sarà più Leo, quando il bambino non sarà più un bambino e la ragione avrà corrotto l’istinto, l’adulto avrà preservato nonostante tutto quella primigenia predisposizione alla curiosità e alla creatività. E allora ecco il genio: Leonardo.
Lo spettacolo, andato in scena giovedì 7 febbraio scorso al Teatro Testoni Ragazzi, Leo. Sguardo bambino sul mondo della compagnia Drammatico Vegetale, scritto e diretto da Pietro Fenati, è un emozionante e al tempo stesso critico ritorno all’infanzia. Attraverso Leo, bambino affamato di conoscenza, avido di nuove forme e colori, si è trasportati per circa un’ora in un mondo onirico e fanciullesco, dove l’arte e la scienza vanno a braccetto e diventano un diletto pedagogico.
Il bambino vede tutto in forma di novità, scriveva tempo fa un poeta; assorbe con gioia ogni cosa incontri nel suo cammino, facendone un’esperienza personale. Così il nostro Leo (che nello spettacolo è evocato grazie a due bambine che giocano, interpretate da Camilla Lopez e Elena Pelliccioni; due bambine coinvolgenti e raggianti, calate a meraviglia nel ruolo – tanta naturalezza e zero forzature) si emoziona, si stupisce, si infervora di una felicità inesprimibile per ogni fenomeno del mondo circostante, apparentemente comune e banale, ma che nasconde in realtà – nella sua realtà – tanti segreti inaccessibili all’adulto.
Così è per l’aria, primo elemento con cui Leo viene a contatto. «La natura è piena di infinite regioni», si sente dire improvvisamente da una voce, la cui origine rimane sconosciuta. Dal buio del palcoscenico due veli bianchi si animano, danzano, e poi si librano nell’aria; drappeggi e pieghe, di un tessuto niveo, si agitano nel vuoto sospinti dalle due attrici, che, come ninfe, ondeggiano e fluttuano con fare armonioso e al tempo stesso vivace. Reminiscenze warburghiane si intrecciano al sospiro dell’aria: la leggerezza del passo delle due Leo, il sorriso del loro volto, lo svolazzio dei veli, la grazia dei gesti, e quel gioco a due con la tela. Tela sulla quale sorgerà il dipinto, oggi conservato al Louvre, che rappresenta Sant’Anna con la Vergine e il bambino.
Così è per la terra, così per l’acqua; la natura è varia e ogni sua forma cela bellezza. Il contatto con il suolo, una distesa di sabbia sparsa sul palco, è il consenso implicito a sporcarsi – metafora per eccellenza della libertà bambina. Leo si fa ora selvaggio e scatenato, come un cavallo imbizzarrito corre attorno a un centro immaginario e gira, gira… finché la voce misteriosa ci ricorda: «è il moto la causa di ogni vita». E Leo non si vuole fermare nemmeno con l’arrivo dei nuvoloni di pioggia, anzi, non aspettava altro. «Le nuvole sono piene di pensieri e belle intenzioni», dice la stessa voce, e l’acqua incrementa le idee, la fantasia, il gioco.
E così è anche per il fuoco, che «si fa luce e gioca con le ombre», come si sente dal nulla. Appare a Leo come un materiale impalpabile e prodigioso, da cui però, lui stesso scopre, è possibile ricavare delle vite parallele e diverse dalla propria. Sono esse figure nere e uniformi, sagome più o meno delineate. Scoperte quindi le ombre si comincia il gioco, si generano forme, via via più definite, più vere, più vive; in un crescendo continuo e confuso tra attesa, stupore, tentennamento ecco che si rivela apparendo d’improvviso la verità: l’Uomo Vitruviano di Leonardo, redivivo davanti a noi, grazie alla proiezione dell’ombra, formata dalla sovrapposizione delle tue protagoniste.
Scriveva, sempre quel poeta, che la curiosità è il punto di partenza di ogni genio. Sosteneva ancora Baudelaire – tale il nome del poeta – in un suo celebre saggio, che è presente in ogni adulto una natura di sensibilità infantile, atrofizzata dai più, ignorata da altri, che solo il vero artista riusciva a dominare con consapevolezza, traendone vantaggi per la sua opera; la definì come il «genio dell’infanzia»: questa capacità di assorbire il quotidiano sempre in nuove vesti; coglierne l’essenza, al di là della secca e fredda visione convenzionale.
Leonardo da Vinci è stato inventore, teorico, artista. Il genio di Leonardo ha coperto praticamente tutti gli àmbiti del sapere del suo tempo, attratto com’era dal mondo e dai suoi magici meccanismi, dalla natura e dai suoi elementi. Attratto, insomma, dalla vita. Ma è grazie all’immaginazione oltre i limiti, legata al desiderio morboso di conoscere, che il genio è riuscito a creare ciò che ha creato. Perché anche quando Leonardo è diventato Leonardo, quando l’uomo è diventato irreversibilmente uomo e la ragione gli ha corrotto l’istinto, l’adulto aveva comunque preservato nonostante tutto quella primigenia predisposizione alla curiosità e alla creatività. E dunque ecco il bambino: Leo.


Damiano Perini

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