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L’emozione senza sottolineature. Conversazione su “Max Gericke” con Angela Malfitano

di Lorenzo Donati

Debutta questa sera, 17 novembre 2016, Max Gericke, spettacolo con Angela Malfitano per la regia di Fabrizio Arcuri. Il lavoro sarà in replica sino a domenica 20 novembre al Teatro delle Moline di Bologna, in collaborazione con Ert.
Abbiamo incontrato l’attrice e autrice residente a Bologna per approfondire le ragioni della messa in scena di un personaggio che, come scrive Arcuri, «è un Amleto al contrario, è un cane a testa in giù. È un essere o non essere. Essere questo o non essere questo; e visto che l’autore ha lavorato con Heiner Müller, ha chiara la questione dell’Hamletmaschine».

Max Gericke
In Italia Max Gericke è stato tradotto da Walter Le Moli per il Teatro Due. È un testo degli anni ’80 di Manfred Karge, autore e attore vicino a Heiner Müller che ha recitato anche con Claus Peymann. Lo mettiamo in scena con la regia di Fabrizio Arcuri grazie a una produzione di “Tra un atto e l’altro”, associazione piccola ma longeva formata da me e Francesca Mazza. Io mi sento attratta, affascinata da autori di lingua tedesca, come se ci fosse una certa “famiglia” che ormai riconosco come mia. Anche in questo caso siamo in presenza di una storia vera, come era avvenuto quando avevo affrontato i testi di Elfriede Jelinek (nel 2011 La Regina degli Elfi e nel 2014 FaustIn and Out nel contesto del Festival Focus Jelinek). Max Gericke racconta di una donna che, alla morte del marito gruista, si traveste da uomo e riesce ad avere il suo stipendio. Attraverserà da uomo il nazismo e tornerà a essere donna per evitare la leva. È un testo costruito a quadri che abbiamo rivisitato come se fosse una narrazione dei ricordi, scegliendo una chiave contenuta in un dialogo nel testo, dove si dice: «Questa sera mi sento l’anima vagabonda, voglio partire per un viaggio sentimentale nel paese dei ricordi». Dietro di lui in scena scorre un album di famiglia, un videofondale costruito da Lorenzo Letizia, chi guarda è come se sfogliasse appunto un album in cui compaiono il padre, la madre, i compagni con cui ha fatto il poliziotto ausiliario durante il nazismo ecc. Noi a teatro lo vediamo “oggi” nei panni del maschio: un pensionato in ciabatte davanti alla tv. Quella del video è un’immagine che scorre per tutto lo spazio dello schermo, dando una sorta di effetto ologramma; non ci sono però solo le foto di famiglia, ma anche immagini di repertorio che rimandano alla storia e all’attualità, i fatti narrati ci portano dal dopoguerra ai primi anni ’80.

Travestì
Volevo andare oltre i generi, ero stufa dei ruoli femminili che avevo incrociato grazie alle mie letture. Venivo comunque da scelte di personaggi “estremi”: una vecchia attrice in una bara che parla con il suo pubblico, una donna segregata sottoterra dal padre, alcune eroine greche… volevo dunque passare il confine. Politicamente, nel mio piccolo, volevo farmi carico di un gap di difficoltà, andando nel maschile in cerca di libertà come hanno fatto tante prima di me. Non è stato semplice trovare un testo con un personaggio femminile che si traveste da maschio, un travestì vero, costretto dalla cultura. Con Fabrizio Arcuri volevo continuare a lavorare dopo essermi trovata molto bene in FaustIn and Out. Arcuri mi ha parlato di Max Gericke, testo di cui ricordavo la storia ma che non avevo mai visto. Abbiamo scoperto che i diritti erano disponibili.
Pur essendo un testo molto più lineare rispetto a quelli di Elfriede Jelinek, Max Gericke non indulge in nessun sentimentalismo. Emerge l’immaginario di un mondo nordico fiabesco, con riferimenti agli animali come il lupo, il cane, la zampa di coniglio (elemento ricorrente, usato come protesi per fingersi uomo). Io in FaustIn and Out ero travestita da coniglio.
Penso che da ora in poi farò personaggi maschili, vedo il mio lato maschile che emerge, la libertà di essere più rude. C’è una libertà ma anche un divertimento.

La regia e la creazione
Con Fabrizio Arcuri ci siamo riconosciuti e trovati. Il mio è un lavoro di grande affidamento al regista, mi innamoro. La cosa più bella per un attore è vedersi negli occhi e nelle mani di un regista. Certo, ho avuto la fortuna di essere diretta da persone meravigliose: Leo de Berardinis, Thierry Salmon, Claudio Morganti, Andrea Adriatico, Marco Sgrosso, Fabrizio Arcuri, Marco Baliani, Mimmo Sorrentino. Fabrizio mi sta conducendo verso una “non poeticità”, verso la ricerca di una certa “vita sbrindellata”, come in effetti è anche la memoria. Mi ha chiesto di non enfatizzare, come è ricorrente nella sua cifra post-brechtiana molto attenta all’arte contemporanea. Ma più che di una sua cifra parlerei delle attinenze fra le vicende storiche dell’arte, del teatro e del cinema che in questo caso portano a una non enfatizzazione, a una sorta di “neutro” che mi permette di spogliarmi del lato favolistico. Emerge dunque un’attitudine ironica, sarcastica, autoironica, si nota un distacco che non impedisce lo sgorgare delle emozioni, che però non vengono sottolineate ma lasciate in mano al pubblico, lasciate fiorire dal testo. Io sono figlia dell’attore-autore che Leo mi ha insegnato, ma non penso di dovere sempre fare la regia dei miei lavori. La collaborazione con altri sguardi resta fondamentale, è uno strumento di crescita importantissimo. Lo dico alla luce del mio amore per la regia, ascolto Fabrizio e le sue emozioni, il suo fermarsi su determinati passi del testo che risuonano.

Né maschio né femmina
Io mi muovo in un mare dove non sono più sottolineata, non sono né maschio né femmina, abito la grande libertà del teatro. In un passaggio del testo il personaggio torna a casa e incontra dei bambini che giocano a mosca cieca. Gli viene detto qualcosa sui dei cani, su dei bastardini… quando si siede di fronte al muro gli tornano in mente le parole dei bambini. Io sono un bastardino, dice. È qualcosa che tocca tutti: tutti i nostri bambini interiori hanno paura di essere abbandonati, non riconosciuti, è un momento così struggente che ancora mi fa emozionare.

La memoria e il personaggio
La memorizzazione è come andare a picconare nella miniera. La testa si stanca, ti chiede tutto, la memoria chiede tutto e non lascia spazio ad altro. Si entra in contatto con le proprie modalità di memorizzazione, le associazioni, gli acronimi, le sigle delle città… imparare a memoria è un processo molto uditivo, come quando impariamo a memoria una canzone. Ci sono però anche tecniche visive legate a dove si volta la pagina, per esempio. È un insieme di elementi. A livello tematico direi che il personaggio non entra nella mia vita, se non quando si è sul palco, quando il regista ti guarda, lì nasce tutto. Imparare a memoria è uno sforzo cerebrale che diventa anche fisico, non si possono fare passare troppe ore senza allenarsi. No, il personaggio non entra, oppure è entrato a monte, nella scelta di “andare oltre”. Per La regina degli Elfi sono stata folgorata dall’idea di stare su un palcoscenico semovibile, portata in spalla. Per Quando Teresa si arrabbiò con Dio (2006) di Jodorowsky ero stata colpita dalla necessità di Teresa di rovesciare il mondo.

Il personaggio e la storia
Max Gericke racconta personaggi appartenenti al sottoproletariato. Nel testo si viene riportati continuamente al mondo del lavoro, a partire dal marito che va al lavoro anche da malato fino a morirne. Si discute sempre dei turni, dei colleghi. Nel dopoguerra Max Gericke diventa garzone in campagna e nel testo si parla di cavoli, fieno, patate, barbabietole, mucche… successivamente lavora in una fabbrica di plastica. Si finisce per discutere anche di comunismo, della Germania dopo la prima guerra e della rivoluzione bolscevica, delle lotte fra poveri che sfoceranno nel nazionalsocialismo. Il socialismo e il marxismo sono evocate da leve da azionare (una leva che sono io a comandare oppure è lei a comandare me?). Dunque dalla Germania di Weimar, dal lavoro come istanza di liberazione che rende liberi al lavoro che rende schiavi del nazismo. Si arriva fino ai ’70 e agli ’80, dove compaiono i primi accenni agli immigrati turchi, all’Europa che noi conosciamo. La condizione femminile viene poi accennata durante il lavoro nella fabbrica di plastica, dove la protagonista pensa di diventare l’amante del padrone. Ritorna dunque donna e attira il padrone dandogli l’idea di assumere donne per risparmiare, inquadrandole nella categoria salariale n2.

L'autore

  • Lorenzo Donati

    Tra i fondatori di Altre Velocità, è assegnista di ricerca presso il Dipartimento delle Arti all'Università di Bologna, dove insegna Discipline dello spettacolo nell'intreccio fra arte e cura (Corso di Educazione professionale) e Nuove progettualità nella promozione e formazione dello spettacolo al Master in Imprenditoria dello spettacolo. Immagina e conduce percorsi di educazione allo sguardo e laboratori di giornalismo critico presso scuole secondarie, università e teatri. Progettista culturale, è tra i fondatori di Altre Velocità e dal 2020 co-dirige «La Falena», rivista del Teatro Metastasio di Prato. Fa parte del Comitato scientifico dei Premi Ubu. Usa solo Linux.

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