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L'attesa non si ferma. Virgilio Sieni e la danza in isolamento

di Altre Velocità

La cosiddetta “fase due”, per molti italiani, rappresenta una vera e propria luce alla fine del tunnel, e, per una volta, anche gli artisti non fanno eccezione, dopo che con l’ultimo decreto ha ufficialmente dato il via alla riapertura di cinema e sale teatrali per il 15 giugno (salvo ulteriori ritrattazioni). In questi momenti di incertezza e di crisi, gli artisti hanno fatto di tutto affinché la propria voce venisse ascoltata: a proliferare, sui social, sono infatti gli hashtag #laculturanonsiferma, #iodanzoacasa e simili. Eppure non è così semplice, non fermarsi, soprattutto per quegli artisti e performer che lavorano molto col corpo, che sicuramente per primi risentono della condizione di staticità della vita in quarantena. Chiara Capizzi, della redazione di Bologna Teatri, decide perciò di fare due chiacchiere con Virgilio Sieni, uno dei danzatori più importanti della scena italiana, cercando di capire quale potrebbe essere il modo giusto, per un performer fisico, di affrontare un momento così particolare e critico della storia come quello che si sta vivendo, in cui ogni corpo è più fragile e inquieto.

«Sono tempi in cui la gente ha paura, e questo naturalmente si manifesta sui nostri corpi» – è così, infatti, che inizia la risposta di Virgilio Sieni ai timori di Chiara. «Ci troviamo limitati, “forzati” in casa. E in effetti, questa forzatura si registra in modo piuttosto evidente nei gesti, diventati più rigidi anche al di fuori dell’isolamento. Per forza, direi! Vedo le persone che vanno a fare la spesa, che camminano ingobbite, si muovono goffamente, restano immobili fuori dai supermercati, in fila, per molto tempo. In questo momento, ora più che mai, è importante ritrovare una connessione col proprio corpo, così da poter tornare attivi e presenti nel mondo esterno».
Virgilio Sieni è un artista che, nel suo lavoro e nella sua vastissima produzione, ha sempre prestato particolare attenzione al corpo danzante, anche a quello dei danzatori non professionisti, e in particolare alla tematica del gesto. A Firenze, nel 2007, Sieni fonda l’Accademia sull’Arte del Gesto; un’istituzione che nasce nel contesto già esistente del Cango: la sede del centro nazionale di produzione coreografica diretto da Virgilio Sieni. Ad oggi, Cango è uno dei pochi centri dedicati alla produzione di spettacoli di danza in Italia. Oltre ai corsi professionalizzanti dell’Accademia, esistono dei laboratori aperti ai “cittadini” amatori che desiderano parteciparvi, dove si dà anche la possibilità di assistere a numerose prove “aperte” di Sieni insieme alla sua compagnia.
Sieni inizia col raccontare a Chiara della sua vita prima della quarantena:
«Ogni giorno, in Accademia, faccio fare ai miei collaboratori venti minuti di lavoro sull’espressione del gesto. Questi “20 minuti” fanno parte della quotidianità, dell’ordinaria amministrazione, in Accademia, e coinvolgono anche gli impiegati che lavorano in segreteria stando seduti ai loro computer. È un modo per tenere in allenamento tutti, anche se in modi diversi: io li uso per fare pratica, per altri invece è un modo per alzarsi dalla sedia e sgranchirsi un po’ le gambe (e il resto del corpo) prima di ritornare ai loro computer».
Ed è proprio da uno di questi ultimi momenti di lavoro collettivo in accademia che è nata l’idea delle Lezioni sull’Attesa. «Era uno degli ultimi giorni prima della quarantena, e noi per scherzo abbiamo deciso di registrare i nostri consueti 20 minuti di pratica. Non sapevamo ancora che non ci saremmo più rivisti. Tuttavia, da allora ho deciso di registrare e condividere altri video così».

(foto: Josep Aznar)

La richiesta di ulteriori videolezioni arriva in seguito dai cittadini, molti dei quali sono allievi-danzatori all’Accademia sull’arte del gesto.

«Normalmente, non si è abituati a tradurre in gesti ciò che nella nostra realtà quotidiana esprimiamo a parole – spiega Virgilio Sieni – però dobbiamo pensare che il gesto è qualcosa di molto più diretto del linguaggio parlato: è una lingua primitiva, ancestrale. Di fatto i rituali sono composti da gesti, gesti che vengono ripetuti.» Sieni spiega così che genere di “rituali” vengono praticati da lui in quarantena, per allenarsi, illustrando una serie di esercizi molto diversi rispetto a quelli che di solito costituiscono la prassi quotidiana dei danzatori per fortificare il corpo, per prepararlo alla danza. Secondo Sieni, al contrario, l’importante non è il potenziamento del corpo, ma imparare a sperimentare i movimenti del corpo in tutte le sue infinite possibilità. La danza è, infatti, un linguaggio sacro: «Non si danza per dimostrare che si sa danzare. La tecnica è qualcosa che non si impara a scopo dimostrativo, ma per poter osservare al meglio le evoluzioni e le metamorfosi del corpo. Bisogna alimentare la sete di curiosità, sempre. Quando si danza si muovono sinapsi inedite nel nostro cervello, è l’attivazione di un meccanismo diverso rispetto a quello del potenziamento muscolare di quando si fa esercizio fisico. Danzare è prima di tutto uno sforzo mentale, e la concentrazione va allenata quanto il resto del corpo».

Secondo il coreografo, l’arte del gesto può essere esercitata tramite la sperimentazione delle possibilità che offre ogni singolo gesto, anche il più banale, come ad esempio prendere il caffè: «Se sei seduto sulla sedia cadi, abbassi il ginocchio destro, ti rialzi e poi lo ritenti dall’altro lato, con una rotazione, cadi con il ginocchio sinistro; prendi il caffè con la mano destra molto lentamente. E poi lo fai con l’altra mano, ripetendo il gesto ancora e ancora. La ripetizione è molto importante per permettere al corpo di registrare i movimenti e sfruttarne a pieno il potenziale espressivo».
E in effetti, nelle videolezioni, Sieni crea delle vere e proprie coreografie che si “spiegano” tramite i gesti più semplici della nostra quotidianità: tenere una brocca con le mani, indicare, tenere qualcosa di sottile con le dita. Secondo il coreografo toscano, quindi, la quarantena non rappresenta un limite giustificabile. Certo, il corpo è più fragile, ma può ancora imparare, inventare, reinventarsi. Restare a casa vuol dire vivere una quotidianità piena di stimoli, imparare a coglierli, per poi sfruttarli. Questo potrebbe essere un buon modo per “ingannare l’attesa”.
«L’attesa è qualcosa di più prezioso, di ricco – dice Sieni – un’esplorazione delle nuove infinite possibilità».
Le Lezioni nascono perciò come pretesto per “allenare” la creatività del danzatore. Eppure la riflessione di Sieni non si limita alla teorizzazione, ma mette in campo anche una forte componente pratica, legata soprattutto all’aspetto tecnico del video. Il coreografo, di fatti, sicuramente non impazzisce all’idea di unire due linguaggi così diversi come quello del gesto e quello del video.
«Il rischio è quello di banalizzare, perché non sempre il video restituisce la complessità della danza – spiega Sieni – Tuttavia, è una risorsa molto utile. Durante un mio viaggio in Asia, vedevo molte famiglie condividere uno stesso televisore. Si radunavano tutti all’esterno delle abitazioni per vedere cosa fosse trasmesso e imparare per mezzo della televisione. Questo è il primo, lampante esempio che mi è venuto in mente tentando questa fusione. Usato nel modo giusto, infatti, anche questo binomio può portare alla complessità».

(foto: Andrea Avezzù)

L’utilità delle Lezioni viene sicuramente confermata dalle continue richieste dei cittadini, i quali, a ridosso della quarantena, firmano anche un documento a riguardo: il Manfesto 111, il quale pone l’autocoscienza del corpo e il discorso ambientale come punti focali nell’arte del gesto. Secondo il manifesto, infatti, è il corpo a suggerire le decisioni che dovremmo applicare sull’ambiente in cui viviamo. Dare spazio al corpo nel suo essere-nello-spazio non vuol dire prendersi cura solo del corpo, ma anche dello spazio in cui si danza.
I pensieri e i timori di Sieni per il futuro dopo la quarantena sono quindi rivolti senz’altro anche alle tematiche ambientali: «Ci aspettavamo una catastrofe, anche se non sapevamo con precisione quando sarebbe arrivata. Eppure, quando arriva non si è mai pronti. Il mio augurio è che questo evento ci abbia insegnato qualcosa, e che tutti si impegnino a ripartire, quando sarà ora, sviluppando una coscienza ecologica. Prima della quarantena si parlava molto del futuro del nostro pianeta, ma ora è come se la questione fosse stata messa in pausa. Spero che, quando si ripartirà, lo si farà con maggiore cautela, per non ricadere negli errori del passato». Secondo Sieni, i social e internet sono il modo più veloce e diretto di avvicinarsi alle persone, in questo periodo. «Da questo senso di comunità e di vicinanza, si può imparare molto. È una cosa positiva, che mi auguro tenderà a ricorrere, nel futuro, anche nelle nostre vite fisiche in città quando tutto sarà finito. Potremmo riscoprire una decentralizzazione della città dando meno spazio a grandi supermercati e centri commerciali, e imparare a valorizzare il nostro territorio dando spazio ai piccoli produttori e alle aziende indipendenti. Adesso non è così: vedo file lunghissime davanti ai grandi negozi. Io non lo facevo prima, non lo faccio soprattutto ora, né lo farò quando riapriranno gli esercizi commerciali».

Su questo concetto di rieducazione del corpo alla natura nasce il secondo ciclo di video-lezioni di Sieni: Lezioni sull’arte e la natura, in cui il coreografo si reca in luoghi bucolici o boscherecci per praticare, illustrando le infinite possibilità per il corpo danzante di fondersi con la natura a lui circostante. Insomma, il danzatore fiorentino si è rivelato tra i più attivi nel corso di questa quarantena o, meglio, uno dei più presenti tra quelli della precedente generazione. Eppure, non ha mai espressamente desiderato pubblicare le sue Lezioni sui social, se non fosse per l’esplicita richiesta dei cittadini firmatari del Manifesto 111: «Vedo che molte persone realizzano nuovi contenuti pensati per il web – dichiara – soprattutto sui social. Non capisco, hanno davvero paura che la cultura si fermi? Certo che no, la cultura non si ferma, ma solo perché non può fermarsi. Bisogna accogliere l’attesa, creare da ciò che si sta vivendo, non da quello che si vorrebbe star vivendo se i teatri e le altre realtà fossero aperte. Così, la cultura non si ferma».

A cura di Laura Astarita
Intervista di Chiara Capizzi

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