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“L’amore ist nicht une chose for everybody”, intervista a Collettivo Treppenwitz

di Vittoria Majorana

Ballare tutta la notte per “buttare fuori” i pensieri e le inquietudini, per rendere il corpo energia pura. Ballare per giungere, nonostante tutto, al punto di partenza: uno spazio vuoto, amorfo, in cui saggiare il peso dell’attesa, della ricerca della parola, dell’incontro con l’altro. È un moto oscillatorio che rimbalza tra due poli – quello dell’azione da un lato e della sospensione dall’altro – simile all’andirivieni che il nostro sguardo esercita sul mondo, alla ricorsività dei nostri pensieri: questo sporsi oltre il limite garantisce una tensione dinamica che genera campi di relazione sempre nuovi.

Così, a proposito di ricorsività, Festival 2030 conclude la sua sesta edizione come l’aveva cominciata: mettendo al centro della scena la complessità delle relazioni affettive. Alla solida e plastica tridimensionalità autobiografica di Intimità di AmorVacui si sostituisce lo spettacolo “espanso” de L’amore ist nicht une chose for everybody del Collettivo Treppenwitz (Thomas Couppey, Aurelio Di Virgilio, Camilla Parini, Anahì Traversi, Carla Valente, Simon Waldvogel). Questo, “espanso” tanto nella multimedialità degli schermi quanto nel numero di voci coinvolte, esplora il tema dello spaesamento vissuto nei rapporti amorosi dalle nuove generazioni, alternando al linguaggio fisico del corpo quello della parola, sempre in bilico tra superficie degli schermi e superficie dei corpi, tra astrazione e realtà.

In questo dispaccio ne parliamo con il regista e attore Simon Waldvogel e con l’attrice Carla Valente, che abbiamo intervistato il 1° dicembre al teatro Arena del Sole, subito dopo la replica dello spettacolo. Buon ascolto!

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