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L'alchimia del teatro

di Altre Velocità

Sul finire dell’ottocento Émile Zola, nel volume Il naturalismo a teatro, in tono pungente, afferma: «Senza credere al progresso dell’arte, si può dire che essa è continuamente in movimento, nella civiltà, e che i momenti dello spirito umano si riflettono in lei. […] è così che l’arte cammina a fianco dell’umanità». Queste parole paiono quanto mai attuali se si guarda alle numerose svolte e cambi di direzione presenti nella storia del teatro. Se il teatro è lo specchio della civiltà, che cosa sta riflettendo in questo particolare periodo storico? Siamo sicuri che questo movimento sia infinito e che mai si arresterà? Stiamo assistendo alla morte del teatro?

Tutti questi interrogativi che paiono quasi apocalittici, sorgono se almeno una volta a settimana si è seduti su di una poltrona, dalla platea alla piccionaia. Capita, troppo spesso, di sentirsi come di fronte allo schermo della propria televisione con la sola differenza che si è intrappolati in scomode scarpe al posto che in confortevoli pantofole. Un giorno un documentario, un altro una fiction, l’altro ancora un video musicale. Sembrerebbe che il teatro si stia appiattendo e adagiando su formati tipici dell’intrattenimento. A favorire questa sensazione sarà anche il fatto che si utilizzino sempre più elementi multimediali in scena, come immagini e video.

A questo punto è opportuno chiarire cosa si vuole intendere con la tanto ambigua parola teatro. Direi che dare una definizione di questo termine è quasi impossibile. Teatro è un concetto fluido che assume volta per volta significati differenti. Anzi, pur essendo una forma particolare di arte, si comporta come un grande pentolone che ribolle nel quale sono mescolate varie componenti che individualmente rappresentano un mondo a sé stante. La musica, le arti visive, la letteratura sono i linguaggi di cui si serve il teatro per creare un proprio linguaggio. Come molto chiaramente afferma Claudio Vicentini nell’introduzione all’edizione italiana di Storia del teatro di Brockett: «La presenza di una pluralità di linguaggi, comunque valutata, costituisce così per il pensiero estetico moderno l’anomalia del teatro». Potremmo allora dire che il teatro è una formula alchemica e quando i suoi ingredienti non sono ben amalgamati il prodotto è letale, tanto da essere definito “anomalo”. Se anomalo è l’opposto di ciò che è nella norma, qual è questa norma che è andata persa (probabilmente ancor prima di essere creata)? Volendo essere puristi, tutte le forme teatrali che si sono sviluppate successivamente a quella greca non potrebbero più essere definite teatro. Ma si può affermare che Shakespeare, Moliere, Brecht non abbiano fatto teatro?

Il teatro è una forma di intrattenimento ma non è solamente questo, è un modo di fare spettacolo ma non è lo spettacolo. Allora se non c’è una “norma” alla quale appellarsi cosa ci fa affermare delle volte: «Questo non è teatro!»? Una delle probabili risposte potrebbe essere il disequilibrio. Quando una parte vuole imporsi sul tutto o risulta superflua, in quel momento si transiterà fuori dal teatro. Adesso, confusi da tutte queste domande e dai periodi ipotetici proviamo ad esemplificare il discorso, che senza un reale raffronto parrebbe vuoto e privo di senso.

Afghanistan

A cosa penso quando parlo di disequilibrio? Scorrendo tra gli spettacoli dell’appena conclusa stagione teatrale la prima immagine che mi appare è quella dello spettacolo Afghanistan (Il gioco delle parti ed Enduring Freedom). Dieci racconti per ben sei ore totali nelle quali l’esagerazione fa da padrona. Video-documentari che percorrono la storia afghana si alternano a parti recitate. Sovrabbondanza di suoni e di gesti riempiono le scene per colmare i vuoti di energia che gli attori lasciano. Un docu-spettalo che ha fallito su entrambi i fronti. Le immagini proiettate sono un sovrappiù rispetto al già corposo testo, così come gli effetti sonori (non ho bisogno di sentire esplodere effettivamente una bomba se le parole e la disposizione scenica hanno già creato nella mia mente la situazione di un bombardamento).

Per il perfetto equilibrio è fondamentale che ogni elemento abbia un ruolo, che sia necessario o per lo meno funzionale nella scena. Come interpretare delle generiche e poco caratterizzate immagini che riempiono i vuoti dello spettacolo Ellis Islan di Igor Meta? Onde del mare qualsiasi, un campo di grano qualsiasi occupano lo schermo per un tempo che pare infinito.

Penso ancora ai Rimini Protokoll e al loro ultimo spettacolo, Grandma. Metales de Cuba. La compagnia Svizzera è nota per i suoi giochi con elementi di altre arti e addirittura della scienza e quasi sempre riesce a creare equilibri perfetti e originali tra esse. In quest’ultimo lavoro, però, pare che la pura forma documentaristica abbia mangiato tutto il resto. Gli strumenti multimediali sono stati sicuramente utilizzati in modo mirabile ma hanno sovrastato la parte emotivo-recitativa.

Basandosi sugli esempi riportati, l’equilibrio sembrerebbe irrealizzabile. Ma allora cosa dire degli spettacoli di Motus che della compenetrazione di arti (anche le più moderne) hanno fatto la loro poetica?

Per concludere, è bene chiarire che con questo articolo, non si vuole arrivare alla presuntuosa azione di trovare una definizione precisa al termine teatro per riuscire a distinguere ciò che è teatrale da ciò che non lo è, non si vuole ridurre a mera teoria ciò che è innanzitutto esperienza ma semplicemente tentare di spiegare quel sentimento di insoddisfazione che spesso attanaglia lo spettatore all’uscita dalla sala. Viviamo in una società di disordini interni ed esterni che fa dell’abbondanza un culto, l’equilibrio mi sembra una ragione sufficiente per poter spegnere la tv e aprire il sipario.

Marcella Pagliarulo

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