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La digital curation dello spettacolo dal vivo. Conversazione con Enrico Pitozzi sul master IKONA

di Lorenzo Donati

Backstage Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi (2018) regia di M. Martinelli (foto di Marco Parollo)

Scadono l’11 novembre i termini per iscriversi al Master dell’Università di Bologna IKONA. Produzione, curatela digitale e valorizzazione del patrimonio audiovisivo dello spettacolo dal vivo. Si tratta di un percorso formativo, unico in Italia e dal carattere pionieristico, diretto da Enrico Pitozzi e ospitato dalla città di Ravenna. Il master ha una vocazione pratico-laboratoriale, pensato nei giorni di venerdì e sabato per poter incontrare le esigenze di coloro che lavorano. Come si legge nella scheda di presentazione, il Master intende «preparare e consolidare professionalmente figure che contribuiscono alla produzione di documenti audiovisivi e alla digital curation del patrimonio audiovisivo dello spettacolo dal vivo e alle riprese per eventi streaming».
Abbiamo incontrato l’ideatore e direttore Enrico Pitozzi, professore associato in Discipline dello spettacolo presso il Dipartimento delle arti all’Università di Bologna.

In questa conversazione provo a mettermi nei panni di un potenziale studente del Master. Forse ha senso partire dal concetto stesso di Digital curation.

«Digital curation è un termine in uso in ambito archivistico e pone il problema di come prendersi cura specificamente di un patrimonio digitale esistente, di qualsiasi tipo e natura (audiovisivo, sonoro, ecc.). Per valorizzare il patrimonio digitale occorre conoscerlo, da una parte, e dall’altra serve pensare ai diversi supporti attraverso i quali questo può permanere in una logica di rinnovamento della tecnologia. Questo Master punta a formare figure che sappiano pensare e operare, dunque anche tecnicamente, sull’immenso patrimonio che teatri, enti, fondazioni hanno a disposizione – o che devono ancora archiviare, come le nuove produzioni, per esempio – e spesso non sanno come valorizzare. A fronte di una domanda inevasa, abbiamo dunque pensato di ideare un percorso formativo per la nascita di figure professionali che si occupino di questi patrimoni, lavorando in una doppia direzione: da un lato sui materiali esistenti, che devono essere così valorizzati in modo nuovo, e sulle nuove forme di documentazione dello spettacolo dal vivo, sfruttando le tecnologie avanzate oggi esistenti.
Restiamo sulla valorizzazione e partiamo da aspetti operativi: come facciamo, con i nostri numerosi partner – da Ravenna Teatro ad ERT, Emilia-Romagna Teatro Fondazione (Modena) al Teatro al Piccolo Teatro di Milano, passando per il Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni (Firenze) o Scenario Pubblico/ Centro di Rilevante Interesse Nazionale per la danza (Catania) solo per citarne alcuni – a stabilire un protocollo di valorizzazione dei loro archivi audiovisivi? Possono, questi archivi, divenire un mezzo per promuovere le attività dei teatri e degli artisti all’estero? Possiamo operare perché vengano fruiti dal pubblico – a diverso tempo di distanza dalla produzione delle opere – così che entrino in un nuovo circuito e sia utilizzati nella didattica, o in altre forme?».

Il corpo docente è nutrito e articolato, e va da professionisti dell’audiovisivo a docenti di archivistica dei Beni Culturali, da registi a produttori…

«Come prima edizione del Master è necessario mettere in luce lo spettro ampio e polifonico delle attività. In merito al discorso intorno alla digital curation, ho chiesto al prof. Stefano Allegrezza, una delle figure più importanti in Italia nell’ambito dell’archiviazione digitale, docente presso il Campus di Ravenna, di concentrare la sua attenzione intorno alla trasmissione delle metodologie più avanzate di archiviazione digitale dei materiali audiovisivi.
Il Master però ha sempre un doppio binario, insieme alle tecniche di archiviazione si individuano anche pratiche per innovare la valorizzazione. Claudia Castellucci, artista e fondatrice della Socìetas Raffaello Sanzio e Leone d’argento alla Biennale di Venezia 2020, orienterà le sue lezioni rispetto all’idea di archivio d’arte. Il confronto con la Castellucci, anche responsabile dell’archivio della Socìetas, permetterà a studenti e studentesse di incontrare un pensiero che investe la selezione e valorizzazione di un archivio d’arte, in dialogo con i protocolli vigenti in materia di archiviazione. In questo contesto che guarda ad un approccio creativo all’archivio, determinante sarà anche il contributo del prof. Giovanni Corazza, presidente della Fondazione Guglielmo Marconi e fondatore del Marconi Institute for Creativity, che guarderà alle tecnologie applicate al pensiero creativo. La visione degli archivi che promuoveremo sarà dunque evolutiva e mobile, in dialogo stretto con le istanze artistiche in essi espresse.  Questo perché tra i docenti – e si tratta del numero maggiore di ore formative – figurano artisti di primo piano della scena nazionale e internazionale che si interrogano sulla relazione tra la scena, i suoi processi creativi, e la loro documentazione audiovisiva. Penso a Elisabeth Coronel, che ha seguito a lungo il coreografo Sabuto Teshigawara, realizzando documentari e film d’artista a partire dalle sue opere; oppure Marco Martinelli, che si muove tra scena e set cinematografico declinando la sua visione estetica. Penso a Giulio Boato e ai suoi film che ci hanno rivelato aspetti dell’opera di Jan Fabre, di Romeo Castellucci e di Shiro Takatani; penso al contributo fondamentale di Studio Azzurro alla loro attività pionieristica nel creare videodocumenti e ambienti sensibili. 
Dato che le istanze di cui ci occuperemo non riguardano solo l’immagine ma anche la dimensione sonora, è per noi importante la presenza di Massimo Carli, fondatore di BH, l’azienda leader nel settore audio: come sappiamo la registrazione, la diffusione e la spazializzazione del suono sono strumenti indispensabili per la regia e la coreografia contemporanee che lavorano su un’idea immersiva del suono. Sviluppare un pensiero “sonoro” nella realizzazione di materiali audiovisivi è dunque cruciale: il processo creativo va documentato esattamente come si documenta un’immagine, e la tridimensionalità acustica ne è un aspetto imprescindibile. Inoltre, grazie al rapporto con Ravenna Festival, avremo la collaborazione del consorzio Digitalia, specializzato nella riproduzione dello spettacolo dal vivo per lo streaming, con cui i e le partecipanti faranno esperienza di che cosa significhi preparare la ripresa di uno spettacolo in tempo reale. Queste indicazioni sommarie mi permettono di mettere in luce un aspetto del Master su cui punto molto: la vicinanza con gli artisti in forma di workshop permetterà di acquisire uno sguardo capace di osservare – e dunque documentare restituendoli in immagini e suoni – il processo creativo adottato dagli artisti in palcoscenico.
Queste e altre esperienze di carattere laboratoriale – che coprono, ricordiamo, 176 ore di formazione – sono affiancate, come prima ricordavo, da interventi teorico-seminariali. Uno di questi seminari sarà tenuto da Marco Müller – già direttore delle Biennale Cinema di Venezia e del Festival Internazionale del Film di Roma, oggi docente a Shangai (Cina) – e riguarderà l’individuazione di possibili strategie di produzione per questo mercato emergente. A che punto siamo, oggi in Italia? Quali sono le politiche culturali di valorizzazione di questi materiali nel resto d’Europa e nel mondo? Quali circuiti virtuosi possiamo innescare? Penso alla grande diffusione di portali d’arte all’estero, alle televisioni, una su tutte, Arte Tv – la televisione franco-tedesca. In questa direzione, l’obiettivo del Master è anche quello di aprire un dialogo con le aziende – penso a Sky Arte o Rai 5 – per comprendere se e come poter compiere un tratto di cammino insieme in questa direzione».

Enrico Pitozzi, professore Associato in Discipline dello Spettacolo presso il Dipartimento delle Arti (Università di Bologna) e direttore e ideatore di IKONA. Produzione, curatela digitale e valorizzazione del patrimonio audiovisivo dello spettacolo dal vivo

Si profila, dunque, una figura professionale che potrà davvero entrare nei meccanismi di archiviazione e documentazione di molte strutture…

«Fin dai primi incontri con i partner del progetto – oltre a quelli sopra citati ricordiamo, inoltre, Romaeuropa Fondazione (Roma), Ater (Reggio Emilia), Teatro Comunale di Bologna, L’Arboreto di Mondaino (Rimini), realtà imprenditoriali e produttive come Kublai film (Venezia) e altre – i direttori dei diversi Enti mi hanno manifestato la necessità di impiegare figure professionali che siano capaci di intervenire con soluzioni inedite nella valorizzazione del patrimonio audiovisivo esistente e, contemporaneamente, che abbiano competenza (anche tecnica) per improntare nuovi protocolli di documentazione per le produzioni in corso. Dunque, la figura professionale che andiamo a formare si definisce in questo quadro; ciò che ci auguriamo è che l’apprendistato nel master porti i partecipanti a impiegare in ambito lavorativo direttamente le competenze acquisite. Questo aspetto è particolarmente importante, dato che il master prevede 500 ore di tirocinio, che ogni partecipante svolgerà in uno degli enti partner, dimostrando sul campo le proprie competenze e professionalità. All’inizio non saranno forse grandi numeri, ma si tratta di sviluppare conoscenze pionieristiche, in cui queste figure sono quasi totalmente assenti a fronte di una domanda concreta e reale d’impiego. 
Se questo è vero per l’archivio esistente del materiale audiovisivo dello spettacolo dal vivo, a maggior ragione vale per la produzione dei nuovi materiali a partire dalle produzioni in corso: se è vero che ogni istituzione documenta regolarmente le opere presentate nelle sue diverse programmazioni (stagione o festival) – andando così a costituire un patrimonio qualitativamente e quantitativamente cospicuo – è senz’altro vero che nella stragrande maggioranza dei casi questa pratica è assolta senza un preciso criterio tecnico-metodologico di documentazione degli eventi, che possa poi essere curato, valorizzato economicamente e disseminato come patrimonio culturale, secondo apposite strategie comunicative. In molti casi la documentazione viene eseguita da maestranze esterne, magari tecnicamente preparatissime, ma spesso incapaci di cogliere il contenuto estetico dell’opera: la competenza tecnica da sola non basta, deve essere combinata con una sensibilità capace di intercettare i processi creativi in atto e saperli restituire in un audiovisivo. Questo è un obiettivo scientifico del master: dato il livello di tecnologia oggi a disposizione, penso che valga la pena tornare a documentare il processo creativo dall’interno. Questo permetterebbe la produzione e la circuitazione di materiali nuovi, digitalmente orientati, capaci di ricadere su contesti come l’editoria, la comunicazione, la didattica, per esempio».

Parliamo del rapporto con la città di Ravenna, pensando anche all’organizzazione logistica delle lezioni.

«Le lezioni del Master sono di venerdì e sabato, pensate appositamente per dare la possibilità di frequenza anche a coloro che lavorano. 
Ravenna è la città giusta per intraprendere questo percorso: da anni ormai è attivo un dialogo stretto con Ermanna Montanari, con la quali dirigo “Malagola”, centro internazionale dedicato alla ricerca vocale e sonora, e con Ravenna Teatro, partner determinante del Master per la sua strategia culturale. Presso la loro sede del Teatro Rasi ospiteremo le sessioni laboratoriali del Master, così da ancorare la formazione ad un dialogo stretto con la pratica artistica, a partire dal luogo in cui questa si tiene. 
Siamo inoltre in dialogo costante con il Comune di Ravenna, per far si che le attività del Master possano essere un’occasione di programmazione culturale aperta alla città, per esempio attraverso un ciclo di proiezioni di film d’arte, inediti in Italia, introdotti da una conversazione con gli artisti nazionali e internazionali che di volta in volta saranno in città per tenere le loro lezioni al Master. 
Il dialogo è inoltre attivo con diverse realtà della città (penso per esempio a Cantieri Danza e al già citato Ravenna Festival) e, come dicevo, con il Dipartimento di Beni Culturali del nostro Ateneo, che è un polo d’eccellenza per ciò che riguarda l’archiviazione e la valorizzazione del patrimonio culturale».

Fra gli enti partner figura anche il teatro nazionale, Emilia Romagna Teatro.

«Emilia-Romagna Teatro Fondazione ha un ruolo altrettanto determinante sia sul piano dei contenuti che sul piano delle politiche culturali: grazie a un suo intervento economico, potremo garantire a 5 studentesse o studenti del master una riduzione considerevole della quota d’iscrizione, pari a 1.000 euro. 
La retta del master è di 4000 euro, costo che si situa dunque in una fascia media rispetto all’offerta nazionale. Per dare un parametro, il biennio di una laurea magistrale è decisamente più costoso, oltre a rendere spesso necessario il trasferimento se si proviene da fuori regione, come spesso accade vista la capacità attrattiva del nostro ateneo.
Considerando l’approccio pratico del Master, ho immaginato questo contributo così che si possano combinare il diritto alla formazione professionale con un costo sostenibile, soprattutto in tempi come questi. Credo sia un dovere formativo, prima che etico, pensare e operare perché qualità dell’offerta, unita al rispetto e alla valorizzazione della competenza e delle professionalità degli artisti e dei docenti siano compatibili con un’altrettanto oculata capacità di spesa da parte delle e dei partecipanti».

Durante la pandemia, fra l’altro anche in Emilia-Romagna, si è dibattuto in modo polarizzato attorno al teatro in streaming. Mi pare che il Master contribuisca a portare la discussione su un piano diverso.

«Negli ultimi anni si è molto parlato di digitale, di streaming e di riproduzione-trasmissione dello spettacolo dal vivo. Il dibattito nazionale, come spesso accade, si è sviluppato attorno a delle emergenze in un tempo che dunque non permette una visione accurata. Il Master intende contribuire a mettere ordine nei pensieri e nelle pratiche legate a questi contesti. È chiaro ed evidente che introdurre il tema del digitale nello spettacolo dal vivo non significa in nessun modo immaginarne la sostituzione. Si tratta di comprendere i modi per i quali il digitale possa rafforzare, strutturare e alimentare la diffusione e la conoscenza dello spettacolo dal vivo. In altri termini: valorizzare il patrimonio culturale immateriale – così come sancito fin dal 2003 (ratificata dall’Italia nel 2007) con la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO, di cui le arti performative sono parte integrante. 
Per essere più esplicito: non si tratta di contrarre le risorse dedicate alla produzione dello spettacolo dal vivo, bensì di supportare l’elaborazione di strategie espansive e di diffusione di queste opere, così che si traducano poi in occasioni di presentazione dal vivo. Penso per esempio a un operatore culturale di Tokyo che può guardare – secondo uno standard di qualità della documentazione e in determinate condizione di protezione e salvaguardia del materiale artistico, per esempio on-demand – lo spettacolo di un artista italiano e decidere di invitarlo al suo festival, o di produrlo. 
Guardiamo a certe esperienze europee, dove lo streaming è considerato un supporto alla visione dal vivo. All’Holland Festival, per esempio, in molti casi la prima dello spettacolo avviene contemporaneamente anche in streaming. Dopo la prima dello spettacolo la riproduzione digitale entra in un circuito diverso, di promozione e archiviazione, e solo alla fine della circuitazione dell’opera può essere commercializzato sul canale on-demand del festival».

Per chiudere, vorrei tornare al concetto di documentazione “interna”. Mi pare anche degno di nota il confine fra documentazione e nuova creazione, anche con finalità artistiche (penso alla videoarte, alla video danza ecc.).

«Metodologicamente, il punto di vista di chi documenta è spesso esterno all’opera, legato alla restituzione delle forme dello spettacolo, in una logica di fruibilità rispetto al formato adottato: televisivo, cinematografico o via rete. Un nuovo protocollo di documentazione, soprattutto pensato sulla base delle funzioni offerte dalle tecnologie attuali, permetterebbe di impostare uno sguardo dall’interno, non solo pensato sulla ripresa delle prove, ma nell’organizzazione di tutti quei materiali che permettono di restituire-ricostruire il percorso che porta dall’intuizione creatrice alla forma dello spettacolo.
Rispetto ai due poli d’attrazione del Master – vale a dire la valorizzazione del materiale esistente e la produzione di quello a venire – abbiamo tenuto un confine labile. Penso ai nostri docenti, che usano il video come forma artistica autonoma, da Martinelli a Chaterine Maximoff a Studio Azzurro, e che si sono anche cimentati in processi di documentazione del lavoro altrui: artisti che guardano altri artisti; è il caso anche del ciclo filmico di Carloni e Franceschetti sull’opera Tragedia Endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio.
Questa labilità del confine è data dalla necessità di intercettare sia le legittime aspirazioni di coloro che intendono iscriversi al Master per alimentare il proprio linguaggio artistico, sia le aspettative di coloro che intendono invece sviluppare un pensiero di documentazione a partire dal lavoro di altri artisti. A livello di mercato riconosciamo l’esistenza della videoarte, della videodanza o del video-teatro, ma questi sono già linguaggi. A me interessa stare nella metodologia, stare nel pre-linguaggio.
Qui sta un punto per me cruciale, con il quale vorrei chiudere questa riflessione: chi partecipa al Master si confronterà dialetticamente con esempi e direzioni estetiche che non potranno essere semplicemente “replicate”. Siamo ancora troppo legati a un’idea della trasmissione della conoscenza intese come consegna di uno stile o di una forma da replicare. Non è così, il mio dovere formativo è mettere a disposizione strumenti, intercettare istanze e attitudini che vengono dai partecipanti e convogliarle nelle giuste direzioni, perché possano svilupparsi al meglio. Questa è forse la fase più delicata e al contempo la sfida affascinante del mio lavoro. Questo è lo spirito che guiderà il dialogo con i partecipanti nella scelta dell’Ente presso il quale sviluppare il loro tirocinio di 500 ore.
Devo e dobbiamo farci carico di comprendere l’inclinazione di ognuno, mettendola in relazione con le necessità degli Enti partner così che la competenza espressa si traduca in occupazione. Anche per questo motivo, dunque, dimensione creativa e tensione alla valorizzazione documentaria devono stare insieme, come due poli di un magnete».

L'autore

  • Lorenzo Donati

    Tra i fondatori di Altre Velocità, è assegnista di ricerca presso il Dipartimento delle Arti all'Università di Bologna, dove insegna Discipline dello spettacolo nell'intreccio fra arte e cura (Corso di Educazione professionale) e Nuove progettualità nella promozione e formazione dello spettacolo al Master in Imprenditoria dello spettacolo. Immagina e conduce percorsi di educazione allo sguardo e laboratori di giornalismo critico presso scuole secondarie, università e teatri. Progettista culturale, è tra i fondatori di Altre Velocità e dal 2020 co-dirige «La Falena», rivista del Teatro Metastasio di Prato. Fa parte del Comitato scientifico dei Premi Ubu. Usa solo Linux.

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