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Interrogare l’adolescenza. Una conversazione con Oriente Occidente

di Nella Califano

Nel corso dei tre giorni in cui siamo stati ospiti a Rovereto nell’ambito delle attività di Oriente Occidente
che precedono il Festival previsto per settembre 2023, abbiamo seguito il progetto Creature Selvagge
realizzato dallo IAC (Centro Arti Integrate) di Matera. Oriente Occidente è una realtà che ha ormai più di
quarant’anni ed è un’istituzione sul territorio, non solo per la qualità delle proposte artistiche, ma anche
per la capacità di fare comunità coinvolgendo le realtà del territorio. Da alcuni anni l’attenzione si è
spostata anche sugli adolescenti, per questo sono nati diversi progetti rivolti a questa fascia d’età, tra cui Creature Selvagge. Nadia Casamassima e Andrea Santantonio, rispettivamente attrice e regista di IAC, sono stati selezionati in qualità di formatori e fondatori di una cooperativa in costante dialogo con
infanzia e adolescenza e con alle spalle un grande lavoro sul territorio, per avviare un progetto che
coinvolgesse, su base volontaria, un gruppo di adolescenti. Il progetto, durato alcuni mesi, è stato frutto di un lavoro complesso di reclutamento dei giovani in contesti scolastici ed extrascolastici e di riflessione sulla condizione stessa dei partecipanti, cioè quella di essere adolescenti oggi. Abbiamo intervistato Susanna Caldonazzi, Anna Consolati e Gloria Stedile di Oriente Occidente rispettivamente responsabile ufficio stampa e comunicazione, direttrice generale e coordinatrice delle attività Studio e People del festival, per inquadrare il progetto Creature Selvagge all’interno di una realtà che opera su un territorio con le sue specificità e che si sta aprendo da alcuni anni agli adolescenti, interrogandosi costantemente sulle modalità di coinvolgimento di questa nuova fetta di pubblico. Attraverso le loro parole approfondiamo le tematiche e le finalità del progetto Creature Selvagge, il metodo di lavoro utilizzato da IAC per condurre il laboratorio, che si è concluso con una messa in scena nutrita delle intuizioni e dei suggerimenti degli adolescenti coinvolti, e il modo in cui è nato e si è sviluppato un dialogo tra due realtà geograficamente molto distanti, Matera e Rovereto, ma vicinissime nelle intenzioni.

Il tema del Festival Oriente Occidente di quest’anno è l’emergenza sociale e climatica. Secondo voi
l’arte deve guardare sempre al contemporaneo oppure la scelta di questi temi è diventata imprescindibile perché si tratta di questioni che ci coinvolgono tutti in maniera sempre più pressante? Inoltre queste tematiche si intrecciano con un’altra emergenza, quella dell’adolescenza. La sezione
People del festival infatti è dedicata ai progetti pensati a questa fascia d’età della quale soprattutto ultimamente si scopre la fragilità.

Oriente Occidente ha sempre lavorato sui temi del contemporaneo, è un tratto identitario della direzione. Negli ultimi anni ci siamo interrogati sempre di più sull’impatto che Oriente Occidente ha sul territorio oltre ai dieci giorni dedicati al festival. Il discorso più importante che abbiamo affrontato negli ultimi sei sette anni è stato quello sulle arti performative, sulle disabilità, sul corpo non conforme (anche grazie alla spinta di una serie di progetti europei), ma non eravamo ancora entrati in contatto con gli adolescenti. Da più di quarant’anni frequentiamo soprattutto le scuole primarie e le scuole secondarie di primo grado proponendo progetti come Danzare con l’altro. Abbiamo quindi iniziato a pensare ad attività specifiche per gli adolescenti e sono nate esperienze come Nobody Nobody Nobody con il danzatore Daniele Ninarello e la sociologa Mariella Popolla ed è stato subito chiaro che esiste un’emergenza sociale, una moltitudine di voci che non hanno spazio. La stessa cosa è accaduta con un progetto di Michela Lucenti, una sorta di finta audizione per un progetto cinematografico rivolta a quanti desiderassero di portare la loro storia in scena. Ci siamo ritrovati di fronte a un’enorme quantità di persone. La maggior parte di loro erano teen e avevano tantissime storie da raccontare. Da qui si sono aperte molte riflessioni. Per noi è una novità la relazione con gli adolescenti (se escludiamo esperienze come i servizi civili), ma abbiamo capito che vorremmo mantenere questo dialogo cercando di coinvolgere ragazzi e ragazze attivamente, mostrare loro il dietro le quinte di Oriente Occidente, metterli in relazione tra loro anche attraverso collaborazioni con altre realtà del territorio o attivando tirocini e progetti di formazione. Sono già tre anni, per esempio, che ospitiamo una Summer Accademy in cui ragazzi e ragazze dai 16 anni studiano nei nostri spazi. Lo scorso anno questa esperienza si è sovrapposta al festival, per cui dopo le lezioni venivano agli spettacoli.

Quali sono le difficoltà che avete riscontrato nel coinvolgimento degli adolescenti in un territorio geograficamente complesso e come si è inserito il progetto Creature Selvagge in questo tentativo?

È necessario prima di tutto imparare a conoscere gli adolescenti, instaurare con loro un patto fiduciario. Non potevamo farlo noi questo lavoro, per questo ci siamo affidati a dei formatori abituati a frequentare quella fascia d’età. Ci siamo lasciati guidare. Ed è così che abbiamo iniziato a collaborare con Nadia e Andrea di IAC, che insieme alla nostra collega, Gloria Stedile, hanno avviato un percorso durato diversi mesi. Ci eravamo conosciuti a Matera nell’ambito di un nostro lavoro sulla disabilità. È stato un incontro di intenti perché anche loro stavano lavorando sulle nostre stesse tematiche. Insieme a Gloria hanno fatto un lavoro lungo e complesso: a dicembre si sono messi in contatto con enti, istituzioni, cooperative, associazioni, vari gruppi del territorio per spiegare le intenzioni del progetto; a gennaio sono venuti a Rovereto e Gloria li ha accompagnati in assemblee di istituti, incontri informali e molte altre occasioni di incontro che hanno permesso anche a noi di conoscere luoghi in cui non eravamo mai stati e nuove realtà; a febbraio è partito il progetto… e non avevamo idea di quante adesioni avremmo avuto! È stato molto interessante anche seguire tutta la parte della comunicazione: abbiamo affidato la grafica a una giovanissima graphic designer perché volevamo coinvolgere il più possibile i giovani e lei è riuscita a trovare delle soluzioni di grande impatto pur mantenendo l’identità di Oriente Occidente. Per la prima
volta non abbiamo parlato agli adulti, ma direttamente agli adolescenti perché fossero loro ad aderire
spontaneamente al progetto. È stata una grande sfida perché una realtà come la nostra che ha oltre quarant’anni ha una voce molto chiara, quindi abbiamo dovuto coinvolgere una nuova fascia d’età senza
escludere quella che normalmente ci segue.
Per quanto riguarda la relazione con il territorio abbiamo sempre cercato un’apertura, un coinvolgimento
su larga scala, nonostante le difficoltà dovute alla distanza tra un luogo e l’altro e ai trasporti, perché l’idea del teatro come strumento di socialità è esattamente tra gli obiettivi di Oriente Occidente e della sezione People del festival. Quando abbiamo parlato con i ragazzi e le ragazze coinvolti nel progetto Creature Selvagge molti di loro ci hanno detto che senza questa esperienza molto probabilmente non avrebbero mai potuto conoscere quelli che ora sono diventati i loro amici e le loro amiche, anche perché abitano in luoghi troppo distanti. Il tentativo iniziale era quello di coinvolgere anche il territorio oltre il Garda, ma per loro sarebbe stato davvero troppo faticoso raggiungere Rovereto.

Che cosa vuol dire parlare di coscienza ambientale in un territorio in cui il rapporto con la natura è
quotidiano? E come si fa a non cadere nella retorica privilegiando un discorso che possa risuonare a
lungo nella sensibilità dello spettatore?

Il programma del festival non si concentra banalmente solo sul tema della sostenibilità in sé, ma sulle
conseguenze della scarsa considerazione di questo problema. È una questione che non è possibile
semplificare, perché quando parliamo di sostenibilità dobbiamo considerare tutto ciò che è necessario a
far funzionare in maniera equilibrata la società. A proposito di questo è fondamentale il tema dell’accessibilità, che rientra nella necessità di ragionare in maniera sostenibile da tutti i punti di vista. È tutto interconnesso: se proviamo a risolvere un problema da una parte, forse qualcosa cambia anche
dall’altra.
Per quanto riguarda il rapporto con la natura nel nostro territorio, si, è vero, noi in un quarto d’ora a piedi
possiamo trovarci in mezzo al bosco, questo è il Trentino. Resta comunque un tema fondamentale per noi, non ne siamo esenti solo perché siamo bravi a tenere le strade pulite e a fare la raccolta differenziata. Il problema del cambiamento climatico e della relazione tra essere umano e natura esiste: qui non nevica più, si spara la neve tutto l’inverno; in estate non c’erano mai stati 38 gradi in maniera costante, ora si; la Val di Non è contaminata dai pesticidi; le api sono sempre meno; nel 2018 a causa della tempesta Vaia sono caduti centinaia di pini cambiando la morfologia delle nostre montagne in una sola notte, anche perché verso la fine degli anni Settanta, per rimpiazzare gli alberi utilizzati per la legna da ardere, è stato messo in atto un rimboschimento che prevedeva solo la presenza di pini, senza tener conto della biodiversità. Le conseguenze del cambiamento climatico noi le sentiamo ancora più fortemente, proprio perché viviamo in stretto contatto con la natura.

Gloria, tu hai seguito il progetto Creature Selvagge dall’inizio. Puoi raccontarci com’è nato e come si è sviluppato nei mesi in cui ogni due settimane Nadia e Andrea di IAC incontravano i partecipanti a Rovereto?

Con Oriente e Occidente abbiamo già svolto una una serie di progetti collaborando con gli istituti scolastici. All’inizio andavamo nelle scuole a portare il nostro laboratorio, per cui gli studenti erano “obbligati” a seguirlo. Quest’anno invece è nato il desiderio di cercare un dialogo diverso con le nuove generazioni: con Nadia e Andrea siamo entrati in contatto con gli istituti scolastici non più per presentare i laboratori e poi condurli nelle classi, ma per raccontare il nostro progetto affinché fossero i ragazzi e le ragazze a decidere di partecipare o meno. E le scuole non sono abituate a questa modalità di intervento. Ci siamo mossi prima di tutto attraverso delle riunioni on-line in cui abbiamo spiegato il funzionamento del progetto e successivamente c’è stata una call pubblica alla quale hanno risposto circa 35 ragazzi. Con Nadia e Andrea sapevamo benissimo che il gruppo si sarebbe sfoltito naturalmente e infatti alla fine sono rimasti con noi una decina di ragazzi. Il gruppo però si è nuovamente allargato perché abbiamo coinvolto alcuni musicisti del Centro Didattico CDM di Rovereto, che hanno composto e suonato dal vivo le musiche dello spettacolo. A questi si sono aggiunti gli studenti e le studentesse di una scuola professionale che si sono occupati del trucco e delle acconciature. Volevamo che lo spettacolo fosse interamente fatto da loro, dagli adolescenti.

Quali sono secondo te le difficoltà nell’immaginare dei progetti rivolti a questa fascia d’età?

Prima di tutto può essere complicato coinvolgerli, anche perché ricevono tantissimi stimoli, hanno molti
impegni durante il giorno e anche per loro può diventare difficile capire che cosa scegliere, come
orientarsi. In più, per quanto riguarda il teatro, potrebbe accadere che scelgano di partecipare, ma che alla fine non trovino subito quello che si aspettano e abbandonino prima ancora di entrare nel vivo. Per questo è fondamentale l’aggancio degli adulti di cui si fidano, capaci di indirizzarli e incoraggiarli. È il caso per esempio del maestro di musica del CDM. Mattia, una persona fantastica, che è stato capace di coinvolgere i suoi studenti e convincerli a mettersi in gioco. A quel punto loro ci stanno, perché si fidano dell’adulto che conosce le loro potenzialità, i loro limiti, il loro carattere. Un altro tema è certamente quello della timidezza e della paura del giudizio, che riguarda non soltanto loro ma tutti noi, perché la nostra è una società che mira alla perfezione e alimenta gli stereotipi. Credo che i giovani sentano il desiderio di esprimersi, di provare, rischiare, ma c’è sempre questa paura che li frena. Molti infatti temevano di partecipare al laboratorio perché non conoscevano nessuno, ma è un peccato, perché avrebbero davvero tanto bisogno di esperienze come questa. Si tratta di difficoltà emerse più volte anche in altri progetti che abbiamo svolto nelle scuole, soprattutto dopo i due anni di pandemia.

Tu hai seguito anche le giornate di laboratorio con i ragazzi e le ragazze che alla fine hanno deciso
di proseguire dimostrando una grande costanza e serietà. Che cosa puoi dirci sul metodo di lavoro
di IAC?

Nadia e Andrea sono stati bravissimi fin dall’inizio perché hanno reso i ragazzi partecipi in tutte le fasi di
lavoro. Hanno immediatamente passato il messaggio che quello spettacolo doveva essere costruito
interamente da loro. In questo modo sono diventate quelle persone di riferimento di cui i ragazzi si sono subito fidati. Non è semplice riuscire a creare una buona sinergia con chi vedi come “il Maestro”, assorbendone il sapere ma senza sentirti in soggezione. Mi ha colpito anche il modo in cui sono stati capaci di coinvolgere i ragazzi affinché si lasciassero andare nel lavoro sul movimento, scardinando l’idea per cui fare teatro sia solo imparare a memoria un copione. Si sono concentrati molto anche sull’ascolto e hanno un modo molto personale di farlo. L’ho notato durante il laboratorio, ma anche nel modo di porsi con i ragazzi quando siamo stati nelle scuole a presentare il progetto. È stato bello osservare come li abbiano portati a mettersi in discussione facendo emergere i diversi punti di vista. Quando ho visto per la prima volta alcuni di loro ero convinta che non sarebbero mai arrivati fino alla fine del percorso, che li avremmo persi. Non avrei mai immaginato che potessero fare quello che hanno fatto e invece non solo ci sono riusciti scoprendo le loro potenzialità, ma per loro è stato anche un traguardo incredibile.

Le tematiche del progetto Creature Selvagge sono molto sentite dai ragazzi. Affiora non solo la questione dell’emergenza climatica, ma anche della difficoltà di essere adolescenti oggi. Alcuni ci hanno confessato di sentire un grande peso e una grande responsabilità. Secondo te in che modo si sono relazionati con questi temi durante il lavoro?

Credo sia vero quello che dicono. Non c’è più quella fase di passaggio dall’essere un bambino spensierato all’essere adulto, che è appunto l’adolescenza, cioè quel periodo in cui decidi cosa vuoi essere, sperimenti. Sembra che quel tempo si sia ridotto. Non è un caso se alla fine dello spettacolo il boato da parte del pubblico di adolescenti ci sia stato quando i loro coetanei sul palco hanno fatto un elencato di ciò che vuol dire essere adolescenti: crescere, sperimentare, avere fame di vita. Secondo me è questo che stanno perdendo e lo sentono. Lo stanno perdendo un po’ per il tipo di società nella quale ci troviamo a vivere, in cui tutto è accelerato e quindi anche il processo di crescita, un po’ perché si mette loro una pressione forte rispetto alla responsabilità del futuro. Tutto questo peso lo sentono, lo vivono, ed è normale che poi si perdano quel passaggio trasformativo che dall’infanzia li porta verso l’età adulta. Lo scorso anno, come si diceva, Daniele Ninarello ha presentato a Oriente Occidente un progetto sul bullismo e ha coinvolto dieci classi, circa 250 adolescenti. Emergeva anche in quel caso un malessere dovuto all’enorme peso che questi ragazzi e queste ragazze sentono, a un carico di responsabilità che non dovrebbero neppure essere prese in considerazione a quell’età. Inoltre, come per Creature Selvagge, venne fuori la questione della rassegnazione. È come se non ci fosse quella spinta a ribellarsi, a lottare per ottenere qualcosa in cui si crede. Una volta una ragazza in una scuola mi disse: “ Noi viviamo la vita un po’ come rassegnati”. Non fa bene sentire questo. Sono d’accordo con le parole di Davide, uno dei giovanissimi musicisti di Creature Selvagge, quando dice che invece è importante vivere l’adolescenza e non rinunciarci mai, neppure da adulti, perché vorrebbe dire fermarsi, mettere da parte la curiosità e la fame di vita, perdere quella spensieratezza e quella freschezza che ti permettono di prendere le cose con più leggerezza, di dare il giusto peso agli eventi.

foto di Gerardo Brentari

per ritornare a “Speciale. Da Matera a Rovereto: il lavoro di IAC a contatto con le nuove generazioni” dove trovi tutti gli altri materiali dedicati a questo progetto clicca qui

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