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Incontro con il Teatro della Valdoca al Laboratorio delle Arti

di Altre Velocità

“Intinge ogni cosa di spiritualità, la Valdoca. Di paganesimo antico e fisicità primordiale che non capiamo o, potrebbe darsi, che non possiamo ricordare; per questo ne abbiamo paura.” Bruno Bianchini

Laddove il verso poetico, declamato con attenzione alla musicalità e alla fonetica, incontra la fisicità dell’attore, nasceil teatro della Valdoca. Siamo a Cesena, nel 1983, quando Cesare Ronconi (regista e architetto) e Mariangela Gualtieri (poeta e drammaturga) sviluppano una ricerca innovativa che pone lo spettatore a fronte di un teatro fisico, evocativo e ibrido, in cui si mescolano musica, poesia, danza e ritualità. L’immaginario dei due artisti è il prodotto delle influenze di Kantor, Grotowski, Peter Shumann, Bob Wilson, ma anche e soprattutto di Carmelo Bene. L’ecletticità delle forme adoperate in scena è rafforzata dal confronto e dalla collaborazione con artisti, poeti, compositori e musicisti. Il repertorio della compagnia comprende numerosi titoli e il connubio fra la regia ronconiana e la drammaturgia della Gualtieri risulta felice sin dallo “anacronistico ed emozionante” spettacolo d’esordio Lo Spazio della Quiete, datato 1983. Come si legge nella didascalia della Gualtieri, che accompagna il trailer di una ripresa postuma dello spettacolo (2010): «Lo Spazio della Quiete era in quasi completo silenzio, con una scena poverissima ed essenziale. Nove pendoli, fatti con fili appesi al soffitto e nove sassi presi al fiume, alcune corde tese che Cesare aveva tratteggiato in bianco e rosso, un forcone di legno, un velo trasparente, una resistenza, qualche canna e poco altro. Restavamo notti a galleggiare lì dentro, disarmati, ebbri di quella visione che pareva contenerne infinite altre. Qualcuno dice che nel silenzio si accumula potenza. Noi, senza saperlo, abbiamo scritto lì il nostro alfabeto. Abbiamo imparato come abitare la scena, come scriverla. Abbiamo fondato il nostro teatro, la nostra lingua.» La lingua della Valdoca è data da una poeticità che conferisce ombra, ritmica e melodia alla parola, restituendole il proprio autentico significato, in una società in cui, come spiega la Gualtieri, la vera tragedia consiste nella desemantizzazione della lingua a opera del mercato: «La pubblicità ha preso parole e le ha piegate alla realizzazione dei profitti, le ha snervate, le ha incollate a certe merci, a certe immagini di queste merci, infilando nelle nostre teste abbinamenti fra parole e prodotti del mercato, abbinamenti che richiederanno tempo per essere dimenticati. […] Il difficile compito che credo mi attenda, come poeta attivo oggi in seno al teatro, va da un lato in direzione semantica nel rianimare le parole, ricaricarle della loro potenza di significato, e dall’altro nell’apertura della dimensione sacrale (anch’essa sempre più negata e surrogata con ritualità inefficaci).»

A conferire sacralità a questa parola è necessariamente l’attore attraverso la propria voce: importante elemento di espressività insieme al movimento. Fondamentale nella declamazione è il ruolo del microfono in grado di disumanizzare il timbro di un performer che deve risultare ambiguo e portare in sé il divino e il primordiale. A dare un senso ulteriore di ritualità allo spettacolo, contribuiscono l’utilizzo frequente della musica dal vivo. Un elemento comune ai fondatori della compagnia è la vocazione pedagogica, che nel percorso di ricerca poetica di Mariangela Gualtieri si è concretizzata, oltre che nella pubblicazione di Ruvido umano dell’86 e della trilogia Antenata, fra il ’91 e il ’93, nell’avvio di una scuola di poesia, che ha dato esito agli spettacoli Ossicine (’94) e Fuoco Centrale (’95). Nello stesso periodo Cesare Ronconi, ha alternato al lavoro di regista, un percorso di formazione di propri attori e ballerini. Fra i progetti cui la compagnia ha dato vita (rimandiamo a questo link per una teatrografia completa), ricordiamo in particolare il Parsifal “martire e guerriero, puro e folle, ebete e savio” del 1999, e ancora la trilogia Paesaggio con fratello rotto del 2005 (che si compone dei movimenti Fango che diventa luce, Canto di ferro e A chi esita), ancora Caino del 2011, “homo faber atemporale, arcaico e contemporaneo” e infine le ultime opere: Voci di tenebra azzurra del 2014, Porpora. Rito sonoro per cielo e terra (2016) e il recentissimo Giuramenti, frutto di un lungo lavoro che si è composto, fra le altre cose, di una residenza di tre mesi presso L’arboreto – Teatro dimora di Mondaino e il cui debutto è avvenuto il 12 Aprile al Teatro Bonci di Cesena.

Per un approfondito affondo su quest’ultimo percorso di lavoro della Valdoca, ricordiamo l’incontro che si terrà giovedì 11 maggio, alle ore 10:30, ai Laboratori delle Arti di Bologna, con la coordinazione di Marco De Marinis e la presenza di Cesare Ronconi, Mariangela Gualtieri, Laura Barlaam e alcuni giovani protagonisti dello spettacolo.

Martina Vullo

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