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Il futuro migliore possibile. “Candide” di Fabrizio Arcuri e Mark Ravenhill

di Altre Velocità

Candide, figlio dell’ottimismo, non conosce le regole del teatro. All’inizio della riscrittura di Mark Ravenhill siamo nel salotto di una ricca contessa in piena epoca volteriana, un settecento  imparruccato, sfarzoso e, nella visione di Fabrizio Arcuri, abitato da corpi tesi come corde di violino e voci incastonate nei binari della rappresentazione. Una “farsa in costume” che si sbriciola, dopo pochi minuti, in uno psicodramma metateatrale: nella trama di Ravenhill, la contessa è innamorata di Candide, e chiede consiglio al drammaturgo di corte per porre rimedio alla nostalgia di cui il giovane sembra essere ammalato. Lo scrittore propone di allestire una rappresentazione teatrale come cura, mettendo in scena la stessa vita di Candide, ipotizzando che una tale visone lo possa rendere più lucido e meno scontento. Alla vista degli attori che in scena interpretano Pangloss o Cunegonde, Candide li scambia per i suoi veri amici e si avventa su di loro, abbracciandoli e baciandoli al colmo della felicità. La farsa è un gioco introduttivo che ci fa ripercorre le vicissitudini raccontate nello scritto di Voltaire, dall’educazione all’ottimismo, alla scoperta dell’amore fino al terremoto di Lisbona.
Il racconto è diviso in cinque atti, e alla corte francese segue una stanza anglosassone situata all’interno di in un albergo, dove una ragazza, Sophie, al suo diciottesimo compleanno si fa simbolo della propria generazione, affranta e arrabbiata, contro quella dei genitori e dei parenti: la giovane uccide uno per uno i familiari radunati per la festa, lasciando se stessa per ultima. Rimane in vita la madre, Sarah, che nel quadro successivo elabora il lutto attraverso la scrittura di un film sulla tragedia. Da una parte sta la sua psicologa che tenta di preservare l’integrità del dramma e della propria paziente, censurando ogni mistificazione dell’accaduto che possa enfatizzarne gli elementi pulp e spettacolari, dall’altra c’è invece il produttore che vuole la pistola al centro dell’inquadratura e il sangue che sgorga copiosamente. Sarah, inizialmente restìa, si lascia piano piano assecondare dall’idea che il proprio vissuto possa farsi materiale di consumo, per gli altri e per sé. Il quarto atto apre una parentesi più leggera, e vediamo Candide a El Dorado dopo essere fuggito dal palazzo della contessa: tra cactus e canzoncine dalle note allegre – interpretate dal vivo da H.E.R., musicista che accompagna l’intero spettacolo dall’inizio alla fine – il nostro protagonista incontra un gruppetto di autoctoni, ignari di trovarsi in una terra ricca d’oro, elemento per loro totalmente superfluo. Candide, caricatosi di qualche pietra preziosa, riparte uscendo di scena in groppa a una pecora, che si solleva verso l’alto sorretta da palloncini rossi.
In questo viaggio nelle epoche e nelle sensibilità, Candide è il protagonista che rimane integro, indefessamente uguale a se stesso. Tutto attorno a lui cambia: il silenzio di una diciottenne può diventare sproloquio letale, un trauma personale può farsi morbosa materia pulp, fino a un presente che si tramuta in fantascienza, al quinto atto, ipotizzando soluzioni per tutti.
Allo scoccare dell’ultima scena, Francesca Mazza, interprete di Sarah, la madre superstite, ma anche dell’ostinata Contessa che voleva il giovane tutto per sé, si alza da una sedia della platea. Si muove tra le file chiedendosi dove sia finito Candide, e con lei si aggirano attori in camice bianco che danno risposte elusive, fino alla rivelazione. Scopriamo allora che Candide è stato ibernato, per sopravvivere a tutte le epoche e ora, risvegliato, è un frutto maturo dal quale estrarre il siero dell’ottimismo da iniettare negli embrioni umani. Per rendere i futuri nati tutti più felici, tutti più disposti ad accettare la realtà, con le sue ferite e le sue catastrofi. Niente più reazioni di contrasto, ma un solo colore dominante, nella speranza di gettare i semi, forse, per il futuro migliore possibile.
Oltre a questa produzione del Teatro di Roma, con l’Accademia degli Artefatti Fabrizio Arcuri aveva già affrontato Ravenhill nel progetto Spara/Ttrova il tesoro/Ripeti, testo del 2007 che si componeva di 17 drammaturgie sull’identità e sull’operato dell’Occidente, passando dal terrorismo alle violenze familiari. Fabrizio Arcuri, nel suo teatro, sa sempre dare vitalità alla parola che porta in scena, consegnando allo spettatore un testo attraverso la propria proposta visionaria, in grado di fornire chiavi di lettura e interpretazioni senza soffocare il punto di vista dell’autore. Ravenhill, Crouch, Jelinek o Crimp o ancora Brecht, la sua capacità è quella di produrre una visione teatrale che non comprime il testo né lo usa come ancora di salvataggio. È piuttosto un terreno sul quale fare germinare un altro testo, fatto di visioni e di spazi interpretativi, pensieri paralleli: ascoltiamo sempre almeno due voci, quella di chi scrive e quella di chi mette in scena. E in questo viaggio di parole e scene, battute e controcampi, sta una squadra di attori che ci accompagna fino dentro il senso e il carattere di ciò che abbiamo di fronte. In Candide ogni attore si muove fluidamente tra più personaggi, da Lucia Mascino, vera trasformista che interpreta il drammaturgo di corte, la psicologa e altri personaggi, a Francesca Mazza a cui sono affidati i ruoli della Contessa e di Sarah,  a Filippo Nigro, un Candide in grado di rinnovarsi in ogni scena. Sono attori, questi e gli altri che a loro volta ricoprono più ruoli nelle cinque scene dello spettacolo, in grado di giocare tra loro, in un’armonizzazione continua del racconto, e di lavorare su se stessi nei dettagli, della voce, delle intenzioni, della posa.

Candide ha debuttato al Teatro Argentina per poi spostarsi a Napoli, e ci auguriamo di rivederlo ancora nei diversi teatri italiani, per portare un po’ di crisi negli stereotipi dell’occidente, per raccontarci la vita aliena di un ottimista pieno di dubbi, e ancora per mostrarci un teatro che sta nel pieno di un’onda registica europea, che respira con le parole e sa scegliere i propri attori, che costruisce scenografie e soluzioni formali in grado di reggere la visionarietà di un racconto, senza perdersi nei confini di un testo ma potenziandolo con il proprio sguardo autoriale.
Il prossimo incontro di Fabrizio Arcuri con la nuova drammaturgia è la seconda parte di Materiali per una tragedia tedesca, testo di Antonio Tarantino scritto nel 1997 diviso in sei episodi. I primi tre capitoli hanno debuttato nell’inverno 2015, mentre i prossimi sono attesi al Teatro San Giorgio di Udine dal 10 al 18 giugno 2016.

Il testo di Mark Ravenhill Candide. Ispirato a Voltaire è edito da Titivillus (2016)

di Serena Terranova

foto di Achille Le Pera

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