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Il coraggio della giraffa: gioie e dolori di una spettatrice

di Altre Velocità

Gioie e dolori nella vita delle giraffe, da un testo di  Tiago Rodrigues e che ha debuttato a Modena il 13 gennaio per la regia di Teodoro Bonci del Bene, ha inizio con gli attori già in scena mentre gli spettatori entrano in sala. Un eterogeneo gruppo di outsider, forse intenti a giocare con qualcosa a terra, occupa un lato del palco della sala Thierry Salmon dell’Arena del Sole, allestito per l’occasione a vuoto parcheggio, al centro del quale troneggia un televisore a tubo catodico. Gli attori si alzano, si posizionano in schiera di spalle in fondo al palco e, su una colonna sonora rap/hip-hop sparata a tutto volume, iniziano a muoversi a tempo di musica, presto interrotti però dall’esplosione improvvisa di un colpo di pistola: quella che sembra una donna dai lunghi capelli neri e una vestaglia da camera cade violentemente a terra. Comincia così la narrazione della vita di Giraffa, una bambina di nove anni incarnata dall’attrice Carolina Cangini, una donna adulta sui trent’anni con tatuaggi e giubbotto di jeans che ha l’aria di volere sfidare il mondo intero e parla unicamente attraverso definizioni da vocabolario, a imitazione della pedante saccenteria dei bambini. Una recitazione che forse, a lungo andare, risulta un po’ meccanica. La protagonista, come lei stessa racconta rivolgendosi al pubblico in sala, dopo aver subito il trauma della perdita della madre si trova a vivere un tormentato rapporto col padre, interpretato da Dany Greggio, che si aggira barcollante sul palco, vestito secondo il gusto glam degli anni settanta con trucco, parrucca e vestaglia da donna. È evidente in Greggio lo sforzo di rappresentare un’ambiguità sessuale che rievochi l’assente figura materna. Questa è resa oltre che dalla scelta dei costumi anche attraverso un dialogo a due voci che l’attore mette in scena con il proprio alterego femminile, la moglie morta. Tuttavia il focus dello spettacolo è più che altro centrato sul fatto che il padre, troppo preso da astratti pensieri, come la disoccupazione e il lutto, da dandy “sbandato” qual è, trascura i ben più reali problemi che tormentano la figlia: il mancato pagamento dell’abbonamento a DiscoveryChannel ha oscurato il canale tv, per cui lei non potrà svolgere la sua ricerca per la scuola sulle giraffe. Ecco che la presenza del televisore al centro del palco prende peso all’interno della narrazione, animandosi a tratti con alcune riprese video di Giraffa, stavolta veramente bambina, che racconta al pubblico i passaggi salienti della sua ricerca sulle giraffe. Quest’oggetto, solo apparentemente uno scarto abbandonato nel parcheggio, rappresenta lo strumento grazie al quale la protagonista soddisfa la propria spinta conoscitiva verso il mondo e in mancanza del quale decide di rompere il legame con il padre allontanandosi dalla casa paterna. Ha così inizio, entro lo spazio chiuso del parcheggio, una peripezia notturna e trasognante alla ricerca di una soluzione al problema economico, in una giungla urbana dove si incontrano vecchi con cani, stupratori-pantere e altri personaggi immaginari. Nonostante le suggestioni magiche e fiabesche insite nel racconto, quest’avventura sembra non compiere mai quel salto verso l’al di là fantastico necessario in teoria a rendere credibile una fiaba, seppur contemporanea. A cominciare dagli attori, che nel mutare la propria “forma-personaggio” in scena, mantengono sempre la stessa recitazione affettata e lo stesso ritmo, non sembra esserci nello spettacolo una precipua volontà di cambiare conformazione al racconto. Portare a teatro il fantastico, la trasfigurazione del reale così come avviene nella mente dei bambini, è certo un compito arduo e insidioso, e in questo caso non sembra essere stato completamente portato a termine. Forse, viene da pensare, perché lo spettacolo nasce fin dall’inizio un po’ troppo “adulto”: adulta è la bambina, adulto è l’attore che interpreta il peluche di Giraffa, il bolognese Jacopo Trebbi, così come lo sono il padre e il multiforme “pantera”, l’attore zambiano Martin Chishimba. Il ritmo di questa avventura on the road scorre così lento fino alla fine dello spettacolo, che si conclude con il ritorno a casa di Giraffa e la riconciliazione col padre, momento coincidente con il passaggio all’età adulta, sancito dalla morte inferta all’amico peluche. Un viaggio di formazione sui generis quello di Giraffa, affidato a scambi di battute e azioni-reazioni giustapposte in scena tra figure stereotipate, in un susseguirsi di eventi meccanicamente in-scenati, cui solo le immagini video della bambina trasmesse nella televisione lasciano intravedere una maggiore libertà di immaginazione.  

Vittoria Majorana

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