altrevelocita-logo-nero
Screenshot 2024-03-25 alle 17.34.15

Il clubbing tra ricerca e radici: intervista a Marco Molduzzi (E-production)

di Alex Giuzio

La prima spinta che si riceve entrando a Club Adriatico è senz’altro violenta. Le pulsanti vibrazioni musicali possono impaurire, le note alte e ripetitive sono frastornanti, la potenza dei bassi sembra voler spingere fuori. Ma lo stimolo, per chi non ci è abituato, sta proprio nel penetrare questo muro per entrare in un’atmosfera nuova, quella che la musica elettronica sta creando nel nuovo millennio, e che da un paio di mesi si può trovare anche alle ex Artificerie Almagià di Ravenna. Qui la cooperativa E, formata dalle compagnie romagnole Fanny & AlexanderMenoventigruppo nanou ed ErosAntEros, lo scorso ottobre ha dato vita a un progetto che ha meno a che fare con le forme teatrali in cui si esprimono usualmente nei loro lavori, ma che per estetiche e valori è in totale affinità e comunanza di riferimenti.
Club Adriatico si iscrive nel concetto internazionale di clubbing come luogo di sperimentazione musicale dove convivono sia la socialità che l’intimità dell’ascolto, fruito fisicamente e in maniera totalizzante. Una condizione di danza post-tribale, si può dire, evocata in particolar modo dalla musica elettronica che, nelle sue immense contaminazioni odierne, è il filone oggi più articolato, avanguardistico e continuamente in discussione all’interno del panorama musicale. Non a caso, anche la ricerca teatrale fa ampio uso di queste narrazioni – incluse le compagnie che producono Club Adriatico, dove ogni trenta giorni trovano ampia espressione dei set elettronici di stampo techno che permettono di abbandonarsi a pure sensazioni fisiche e mentali, reazioni emotive talvolta illogiche, fluttuazioni in spazi intergalattici o trance narcotizzanti.
Per far germinare tutto questo a Ravenna, l’architettura industriale delle ex Artificerie Almagià è stata completamente trasformata e dotata di un impianto sonoro dettagliato e trascinante, che esprime al meglio le sfumature cosmiche dei set musicali proposti, nonché di una scenografia di luci curata da Alessandro Panzavolta (Orthographe) per aggiungere qualche suggestivo strato visuale.
L’arte proposta da Club Adriatico non è di intrattenimento né di indottrinamento; è pura emotività che lascia ampio spazio di liberazione al pubblico. E che intende creare nuovi intrecci partendo dai capisaldi del clubbing: ricerca artistica, contaminazione di generi, straniamento del pubblico. Nella prossima serata di venerdì 27 dicembre, ad esempio, a fianco dei set di Mirto Baliani e dell’ospite speciale Rødhåd – un artista profondo e sentimentale nell’oscurità distopica e malinconica dei suoi racconti – ci sarà la performance Ba’al-zebùb reinterpretata da Sergio Policicchio, un cult della Teddy Bear Company, compagnia che ha sperimentato performance da discoteca, fondata 20 anni fa da Gerardo Lamattina.
Con Marco Molduzzi, organizzatore di Fanny & Alexander e anima di Club Adriatico, abbiamo parlato delle tensioni che hanno fatto partire questo nuovo progetto e delle direzioni che intende intraprendere.

Dal programma di Club Adriatico emerge la presenza di artisti, sia resident che guest, rappresentanti di una precisa idea di musica techno/elettronica: la sua declinazione più ipnotica, psichedelica, oscura e incalzante. Quali esigenze di rappresentazione vi hanno portato alla scelta di questa poetica?
L’ambiente musicale che proponiamo intende offrire uno spettro ampio della ricerca musicale legata all’elettronica, talvolta allontanandosi dalla techno per prendere altre direzioni verso le sonorità legate all’africana, alla black music o alla deep house di influenza balearica. In particolare, ci interessano le declinazioni psichedeliche di queste sonorità: gli artisti proposti portano i loro viaggi musicali attraverso la musica techno, incalzando l’ascoltatore a partecipare a quel rito, che nella techno contemporanea di qualità è una componente molto importante. Nei loro set, questi artisti ci accompagnano da un punto di inizio a un punto di arrivo, con una sorta di ipnosi che crea una dimensione tribale; in pista si forma una comunità che assiste a un discorso musicale fatto non solo per ballare, ma anche per distaccarsi dal proprio quotidiano attraverso il suono. Si tratta di un atto liberatorio raggiunto attraverso delle vibrazioni emanate da artisti che non hanno una vocazione commerciale e che non si esibiscono per soldi, ma solo per comunicare le loro visioni attraverso produzioni e set elettronici. Oggi è infatti nella musica elettronica che sembrano esistere il maggiore quoziente di ricerca e la più ampia spinta all’innovazione: d’altronde, per un ragazzo che voglia esprimere la sua visione musicale, è quasi naturale buttarsi nell’elettronica, che ha costi più ridotti rispetto agli strumenti tradizionali. E questo genera una maggiore freschezza dei contenuti. Si tratta insomma di un “qui e ora” del nostro tempo; per questo come E-production ci interessava supportare un progetto di questo tipo: come nel teatro e nella danza, che sono i nostri ambiti principali, ci interessa portare al pubblico di Ravenna sia i nostri percorsi sia quelli di altri artisti; così in ambito musicale ci sembrava che la musica elettronica fosse quella che più di tutte parlasse a noi e si avvicinasse al nostro percorso. Ad esempio, da sempre Mirto Baliani e Luigi De Angelis, nelle loro composizioni per il teatro di Fanny & Alexander, usano la musica elettronica in maniera massiccia. Insomma, si tratta di un interesse che non nasce a caso in noi, ma che portiamo avanti da tanto e che quest’anno ha preso corpo anche grazie a collaborazioni esterne alla cooperativa: quelle diMatteo Pit,Gianluca Gabellini e Fabrizio Brasini, che già organizzavano eventi di questo ambito in luoghi come l’Officina 49 di Cesena.

Sembra che E-production, cooperativa formata da quattro compagnie molto attive per la costruzione della loro comunità teatrale, attraverso Club Adriatico intenda creare anche una comunità musicale. C’è differenza tra le due comunità? E perché la prima ha più difficoltà a raggiungere il pubblico rispetto alla seconda?
Dal punto di vista del senso artistico, per la cooperativa E il percorso di Club Adriatico non è separato dal resto che facciamo, dalle produzioni teatrali e di danza, dai laboratori e dagli altri due progetti principali di programmazione che attualmente proponiamo (Ravenna viso-in-aria e Fèsta). Lo viviamo e percepiamo con unità di intenti; si tratta solo di una diversa articolazione di un mondo artistico che ci interessa a 360 gradi e per 365 giorni all’anno. Ci interessa sempre lavorare con musicisti e artisti che operano in ambiti diversi dal teatro e dalla danza. Penso che l’arte, nei fatti, sia oggi molto più aperta: pensiamo a Jan Fabre che espone le sue opere visive al Museo di Vienna e allo stesso tempo porta uno spettacolo di danza in un teatro a Roma. Questo tipo di artista non si riconosce né come regista, né come attore o musicista o pittore, ma è una personalità poliedrica che lavora con vari mezzi a seconda delle proprie tensioni. Per noi la cooperativa E è proprio questo: ci sta stretto il vestito unico di teatro-danza, e già al progetto Fèsta cerchiamo di unire musica e arti visive all’arte scenica, che rimane il nostro punto di riferimento principale. Invitiamo in una stessa serata uno spettacolo di danza e poi un dj che fa un set, senza che l’uno sia pensato di serie A e l’altro di serie B. Purtroppo però può succedere che a livello di fruizione ci siano numeri diversi, anche perché i mass media non promuovono più le performing arts. Ma mi auguro che Club Adriatico possa far arrivare un pubblico interessante e curioso all’Almagià, facendo sì che questo luogo sia sempre aperto.

La musica techno richiede anche un po’ di educazione all’ascolto: quella commerciale è vuota e ripetitiva, ma trova un pubblico più ampio; mentre gli artisti raffinati, che raccontano qualcosa sia negli album che nei loro set, hanno difficoltà dal punto di vista del pubblico. Lo avete riscontrato anche al Club Adriatico?
Si è trattato di compiere la scelta più difficile, ma per ora sono contento perché il pubblico è rimasto ad ascoltare con grande interesse e fino alla fine. Abbiamo proposto dei set tosti, ma tantissimi si sono fatti trascinare e si sono fermati a fare i complimenti. Credo che sia giusta questa direzione di portare live e dj set di artisti che abbiano una qualità nella loro ricerca, cercando di farli conoscere. Crearsi un pubblico significa anche abituare chi non lo è a fruire di certe visioni; portarlo dentro una dimensione e fargli capire che, oltre a una produzione di musica elettronica più “di consumo”, c’è anche una ricerca molto interessante che va valorizzata. Gli artisti che portiamo al Club Adriatico non fanno grandi numeri, ma offrono una visione integralista rispetto alla musica. Poi il fatto che sia orientata al ballo, come chiediamo che sia, non significa che sia musica facile o commerciale. Tenta invece di essere una narrazione e non un intrattenimento, con un dialogo sviluppato tra gli artisti a partire dalla line up, con tutte le imprevedibilità del caso: non siamo davanti a spettacoli teatrali provati e riprovati, ma a un accadimento unico durante il quale il musicista stesso può sorprendere, entrare in un mood e oltrepassare gli schemi prefissati in fase di costruzione della serata.

Il concetto di clubbing in Italia è spesso distorto verso la spettacolarità e l’intrattenimento, con dj superstar esibizioniste senza riguardo per la qualità musicale. Club Adriatico è invece una scatola nera dove l’impianto audio e le scenografie di luci spingono all’ascolto e al movimento, e la consolle è quasi del tutto coperta dal fumo. Che cosa vi ha influenzato a prendere questa inusuale scelta di “nascondere” il protagonista?
L’ambiente che abbiamo creato all’interno dell’Almagià per Club Adriatico privilegia il contenuto. Gli allestimenti e le luci disegnate da Alessandro Panzavolta sono particolarmente curati, e con pochi e semplici elementi, sobri ma ponderati, cerchiamo di valorizzare il più possibile la componente musicale e creare una situazione confortevole per chi ha voglia di ascoltare e ballare. Spesso è difficile portare le persone al ballo, ma creando la giusta situazione in pista, con la luce studiata per non creare imbarazzo, si favorisce la liberazione facendo sentire il pubblico protetto e disposto al trasporto. Per esempio è una scelta quella di non utilizzare i video, oggi secondo me abusati nelle discoteche. Naturalmente non escludiamo di aggiungere una componente video in futuro, anche perché esistono molti artisti interessanti in merito, ma se questo avverrà, sarà con un pensiero preciso e non solo per aggiungere degli effetti di contorno.

Il termine “Adriatico” è un riferimento geografico sia alla nascita dei primi club avvenuta proprio in Romagna, sia al bacino di gestazione del genere italo disco che, grazie a gruppi pionieri come N.O.I.A. e Gaznevada, ha anticipato l’esordio della house a Chicago e della techno a Detroit, ispirate proprio da questi primi gruppi italiani a usare synth e drum machine. Come vi relazionate a queste radici?
Il progetto del Club Adriatico vuole proprio richiamare la tradizione del clubbing in Romagna, che è molto cambiato oggi, ma che per anni è stato un’avanguardia internazionale. Avevamo il desiderio di rimettere in circolo quel mondo che nessuno di noi ha veramente vissuto per motivi anagrafici. Club Adriatico è un nome molto ironico che richiama il clubbing anni ’80 – ’90, quando in Romagna c’erano produttori che dettavano il gusto della musica di quel periodo insieme agli Usa e alla Gran Bretagna. Si tratta di una continuità con quanto è nato qui trent’anni fa, ma con uno sguardo al futuro e a come superarlo. Club Adriatico è nato con l’ottica di richiamare una storia musicale importante della Romagna, che si allaccia ad altre sperimentazioni artistiche nate nella stessa epoca. Ma non si tratta di un revival, bensì di un tentativo di reinterpretazione e di ricerca all’interno della contemporaneità.

L'autore

  • Alex Giuzio

    Giornalista, si occupa di teatro e di economia ed ecologia legate alle coste e al turismo. Fa parte del gruppo Altre Velocità dal 2012 e collabora con le riviste Gli Asini e Il Mulino. Ha curato e tradotto un'antologia di Antonin Artaud per Edizioni E/O e ha diretto la rassegna biennale di teatro "Drammi collaterali" a Cervia. È autore de "La linea fragile", un'inchiesta sui problemi ambientali dei litorali italiani (Edizioni dell'Asino 2022), e di "Critica del turismo" (Edizioni Grifo 2023).

Condividi questo articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

articoli recenti

questo articolo è di

Iscriviti alla nostra newsletter

Inviamo una mail al mese con una selezione di contenuti editoriali sul mondo del teatro, curati da Altre Velocità.