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Fuori Programma al teatro India. Tre osservazioni

di Francesco Brusa

Non già con la natura in sé né, tanto meno, con la “naturalità” (dei corpi, della/e specie, del movimento…) bensì con il naturalismo, inteso come principio di osservazione e composizione, sembrano confrontarsi i tre spettacoli di “Fuori Programma”, festival che si è tenuto al teatro India di Roma dal 29 al 31 luglio. Tre coreografie (Lava bubbles di Roberto Zappalà e Nello Calabrò, Lute – arrivo delle scintille e bagliori di ogni cosa di Fabrizio Favale, Last Space di Marco Di Nardo e Frantics Dance Company) che partono da un elemento materico, “microcosmico” – dallo scoppiettare di una bolla, allo scintillio della brace, all’espressività fisica che si genera nel divenire delle relazioni interpersonali – per poi elaborare orditi, intrecci che dalla singolarità d’ispirazione si sviluppano in trame collettive e poi ancora convergono verso un’unica visione d’insieme. Lava bubbles, un progetto site-specific che ha debuttato nel 2015, vede inizialmente sul palco i due batteristi Francesco Cusa ed Enzo Zirillie con il solo Roberto Zappalà a muoversi e a introdurre anche verbalmente la performance a venire. «Blll-bll-blll…»: l’onomatopea, ripetuta dal coreografo che a poco a poco va a posizionarsi seduto all’estremità della scena, lascia spazio ai corpi dei danzatori che fanno il loro ingresso in maniera scaglionata. Con assoli a distanza e poi, mano a mano che si susseguono le entrate, accoppiati, Maud de la Purification, Filippo Domini, Marco Mantovani, Sonia Mingo, Adriano Popolo Rubbio, Fernando Roldan Ferrer, Valeria Zampardi, Joel Walsham ed Erik Zarcon sviluppano una particolare “meccanica dell’attrazione”: l’uno nell’orbita dell’altro, replicano vicendevolmente gesti e movenze come si trovassero entro la stessa onda di riverbero, in un misto di diffidenza e fascinazione. È un pulsare sincopato, eppure fluido nell’insieme, che a tratti si fa disegno di gruppo, “concerto” d’intenti. L’accompagnamento sonoro non fa che ribadire un tale andamento, passando da ritmiche marcate a fraseggi maggiormente destrutturati. Lute – arrivo delle scintille e bagliori di ogni cosa sconta invece l’imprevisto dell’infortunio di uno dei danzatori, lasciando così il compito a Daniele Bianco di sostenere una versione solista dello spettacolo. La pulizia e la “esattezza” dei gesti vanno quasi a scandire lo spazio scenico, dividendolo in traiettorie e quadranti sempre più riconoscibili, precisi. Similmente, il corpo del performer – attraversato dall’articolazione netta e a tratti “spigolosa” del movimento – sembra anch’esso sezionato e suddiviso in diverse “aree”, preso in un andirivieni di scomposizione e ricomposizione che richiama appunto il “bagliore” del titolo, l’inerpicarsi fatuo di una fiammella al calar della luce. Se il naturalismo dello spettacolo di Zappalà è quasi più un dato di partenza, un principio d’ispirazione che assume l’elemento naturale come incipit da cui poi eventualmente debordare in multiformi direzioni, il procedere di Favale sembra invece andare in senso opposto, esplorando in primo luogo la concretezza della fisicità umana, in tutti i suoi punti di interruzione e discontinuità, per rinvenirvi solo successivamente delle possibilità mimetiche, delle allusioni figurative. Last Space, cambiando ancora traiettoria e anzi andando quasi a rinsaldare le due precedenti, prende come oggetto d’osservazione e d’ispirazione coreografica la relazionalità umana, incarnata nelle iterazioni specifiche – dentro e fuori la scena – dei danzatori. In altre parole, lo spettacolo della Frantics Dance Company prova a rappresentare e mettere in scena, “danzandoli”, i rapporti creativi e anche quotidiani che intercorrono fra i performer sul palco Carlos Aller, Marco Di Nardo, Juan Tirado. Ne risulta una sorta di “prosimetro”, dove gesto e movimento possiedono un accento quasi sempre narrativo, al punto da alternarsi con vere e proprie “scenette” dialogate e recitate e da creare così uno sviluppo che pare giocare a tratti con stilemi prettamente cinematografici.

Tre modi diversi, dunque, per esprimere una medesima volontà di aderenza all’oggetto osservato, nella sua realtà composita e spesso pulviscolare, ricca di articolazioni. Quasi a voler reclamare un possibile potere della danza non solo mimetico, ma anche – e più propriamente – “descrittivo”, fra l’analisi partecipata (Zappalà, Favale) e il racconto auto-ironico (Frantics). Un potere che, a poche settimane dal termine delle misure di lockdown nel nostro paese, sembra assumere anche nella sua semplicità un carattere primigenio, un “rinvenire al mondo” che diventa ritratto dal vero, veduta d’insieme.

L'autore

  • Francesco Brusa

    Giornalista e corrispondente, scrive di teatro per Altre Velocità e segue il progetto Planetarium - Osservatorio sul teatro e le nuove generazioni. Collabora inoltre con il think tank Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, occupandosi di reportage relativi all'area est-europea.

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