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Frammenti di storie e identità nel Tessuto di Cascina Barà

di Altre Velocità

Buio. La scena si satura di sensazioni e di poesia, per poi trascinare con modalità espressive diverse gli spettatori in un abisso di ombre e poi di nuovo su in alto verso immagini poetiche sfuggenti. Al centro di #Tessuto l’esclusione dello straniero, la ricerca dell’identità, lo scontro intergenerazionale. Un esperimento teatrale creato dal Collettivo Cascina Barà, originario della campagna pisana. Un monologo spurio in cui la voce e il corpo di Daniela Scarpari, unica attrice in scena, dialogano costantemente con il diario di un tessuto scritto da lei e da Alessandra De Luca (Aledelu Letra), la scenografia, il videodisegno di Alessio Trillini e la musica di Lorenzo Grisha Declic. Tutto rigorosamente dal vivo. Si legge nella presentazione della trama:

«Teresinha è un’immigrata che lavorava in Italia come sarta, scomparsa misteriosamente. Fin da piccola collezionava parole, stava costruendo un diario-patchwork. Mia, sua figlia, ha affrontato un luongo viaggio per cercarla. Un viaggio in cui si è persa ed ha scoperto se stessa, ma ancora non conosce a fondo le sue origini, ha bisogno di costruire un nesso fra la persona che è ed il suo passato. Mia racconta la storia di sua madre dal momento in cui ritrova il diario di tessuto all’arrivo in casa sua, ma la casa è vuota. L’assenza di sua madre continua ad essere una specie di persecuzione ineluttabile. Leggendo il diario scopre parti di se stessa ed inizia a conoscere più a fondo la storia di questa donna che non ha mai potuto occuparsi di lei: la durezza della sua vita, la fuga, la violenza, la miseria. La sarta operaia è sempre vissuta in clandestinità, incastrata in un mondo sospeso, che non si trova né nella sua patria d’origine né in quella che la accoglie per lavoro. Il patchwork è incompleto e Mia decide di finirlo, ma si punge con un ago e inizia a dissanguarsi, prova a fermare l’emorragia ma non ci riesce come per un lento, malvagio incantesimo. Le manca una parola, le manca uno scopo, le manca sua madre. Dovrà prendere delle decisioni…»

Immagini e visioni di una ragazza in cerca di sua madre in un paese straniero. Un tipo di teatro sociale che indaga due ordini di conflitti contemporanei: l’esclusione dello straniero che trova la sua deriva nell’annientamento dell’individualità e l’impossibilità di comprendere in pieno il punto di vista dell’altro all’interno di un rapporto intergenerazionale, in specifico quello tra madre e figlia. «Questo esperimento è frutto dell’incontro di persone dedite ad attività artistiche diverse e con background differenti, che hanno lavorato alla sua realizzazione come trovandosi in uno spazio pubblico astratto, poroso, privo di confini e di restrizioni categoriche. Un lavoro lungo, fatto di presenze e distanze che hanno permesso ad ognuno meditazione e maturazione delle singole scelte, sia organizzative che estetiche. Ciò ha dato vita ad uno sconfinamento, laddove possibile, l’uno nel campo dell’altro per dare maggior forza e fluidità al risultato. Ne nasce una regia collettiva, un lavoro corale sul testo, un Collettivo che ha sede nello spazio ideale della Cascina Barà, una specie di isola che c’è e non c’è». Questo leggo nella presentazione e poi una volta riaccese le luci e aperta la porta faccio conoscenza con il musicista Lorenzo Declic (che è uno dei massimi esperti di mondo islamico contemporaneo, traduttore dall’arabo e collaboratore di Limes e di Internazionale) e Daniela Zambon Scarpari, l’attrice, l’ideatrice del progetto e co-scrittrice del testo multipremiato #Tessuto. E con tanta naturalezza riprendo col cellulare ancora parole, fili, tempi, spazi, storie; tessuti affini di noi persone simili nel viaggio della vita.

Ifigenia Faye Kanarà

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