L’alba scosta le porte della tenda in cui La Tigre della Malesia riposa, si alza e ci viene incontro, iniziando a narrare le sue vicende; di come si è vestito di rosso. Il tramonto delle 7 di sera, monotono in questi giorni che sembrano tutti uguali, oggi, riecheggia di selvaggi gridi e colpi di cannone. L’equipaggio dei «tigrotti» sta facendo rotta verso Labuan, terra in cui dimora “la perla”. Sul ponte un gruppo di uomini si agita, al seguito di colui che, rosso bardato, si capisce essere il capitano. Sandokan, con il petto rigonfio di ardore, la scimitarra dorata e la collana di diamanti che brilla sul petto, è deciso a uccidere chiunque gli si pari dinnanzi; di distruzione sarà quindi il destino che aspetta alle navi nemiche. Sono quasi le 8 quando la ciurma sbarca sulle coste dell’isola.
Ma ecco, che durante il riposo notturno, alle 9 di sera, un colpo di cannone desta i pirati che corrono verso la spiaggia, attratti e inebriati dall’odore del sangue che ribolle tra le onde. Ci ritroviamo così sulla spiaggia, dove presto raggiungeremo il mare aperto: una feroce battaglia tra i due velieri malesi – i prahos! – e l’incrociatore inglese sta per avere luogo. Sentiamo i tigrotti urlare; Sandokan da una parte, i Leopardi dall’altra. Il coraggioso cannoniere Patan si preparava già a morire: tutto, ma non la sconfitta. Improvvisamente l’incrociatore si allontana, ma il fuoco lo raggiunge. Dopo un primo massacro, tutto si arresta. Restiamo dunque in attesa, si aspetta la notte, perfetta per attaccare nuovamente quel nemico troppo rapido: onde nere, cielo scuro, occhi rosso sangue. Nessun pirata degno di far parte dell’equipaggio di Sandokan mollerebbe mai. D’un tratto, parve loro di vedere uno scintillio…
Era il via al nuovo violento conflitto, sono quasi le dieci di sera, già notte. Vascelli, scimitarra, scialuppa: le parole e la voce di Diana Manea riecheggiano come proiettili fumanti nel caos della battaglia. Dopo poco, solo qualche sopravvissuto. Ebbene anche Sandokan è ferito, ma vivo. Saluta la morte e si lancia tra le scure onde del mare. E ora il nemico più temuto di sempre siede di fronte al nostro eroe.
Ferito, febbricitante, delirante, Sandokan ci ricorda, con un’umanità quasi toccante, quel che siamo disposti a fare, noi esseri umani, per restare aggrappati alla vita: il nostro istinto di sopravvivenza che, come specie, ci porta a fare qualsiasi cosa pur di vincere la morte, molto più di quanto non facciano le tigri. Sandokan giunge a Labuan, una terra nemica. Ma sono nemici ben diversi che lo vengono a trovare, nel suo sonno febbricitante: vediamo fantasmi di pirati, tutti coloro che furono uccisi dalla scimitarra della Tigre della Malesia, si manifestano e promettono vendetta. La sua forza di volontà è ammirevole e gli permette di restare in vita nonostante le gravi ferite, ma cosa ne sarà di questa sua vita, dopo che si sarà salvato? L’uomo che non vuole morire, è davvero destinato a continuare a vivere, solo per dedicarsi ogni giorno, per sempre, all’odio e alla vendetta? Stremato, Sandokan si accascia al suolo di Labuan, terra nemica, e perde i sensi.
Chissà ora cosa sta sognando l’eroe, proprio in questi frangenti difficili, quando si avverte l’impotenza che prende il sopravvento; avremmo bisogno di favole? Di evadere? In questa sua nuova, seconda vita, nel cuore di Sandokan c’è finalmente spazio per qualcosa di diverso dall’odio. All’improvviso, si scopre emozionato dalla bellezza di piccole cose per le quali, in passato, aveva sempre provato indifferenza: il profumo di un fiore, il suono di uno strumento a corda…
Tutto questo dovuto, naturalmente, all’incontro con una ragazza: Marianna Guillonk, finalmente l’eroe ha trovato la sua “perla”, colei che «ha vinto il cuore di un uomo che credeva averlo invulnerabile». Allora, tutt’a un tratto, La Tigre non pensa più alla vendetta, ma solo all’amore. Forse per questo Sandokan ha lottato così duramente per restare in vita, e forse è per questo che ogni essere umano cerca di rimandare la morte quanto più a lungo possibile: nessuno può dire di potersene andare con serenità, accettare di morire senza aver mai amato davvero qualcuno.
E allora noi dobbiamo scegliere: ci lasciamo cullare da quella lingua che parla di avventure improbabili e foreste tropicali o torniamo alla realtà a osservare l’attore chiuso in un salotto adibito a palcoscenico che legge delle parole scritte all’inizio di un secolo di speranze e immortalità.
Laura Astarita, Elisa Ciofini, Giorgia Pagano, Eleonora Poli
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Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee.