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Farsi suono. Echi da Lucia Festival

di Ilaria Cecchinato

Cullati da onde di bassa frequenza, le difese gradualmente si allentano e il respiro si sintonizza con i moti oscillatori. È a quel punto che il corpo si ritrova attraversato dal suono, perde la sua materialità e diviene vibrazione. È un’immersione acustica totale nelle frequenze armoniche emesse da due Gong Planetari, che distendono il tempo terreno fino a sospenderlo, facendo posto al ritmo calmo di un altrove.

Non poteva che aprirsi con un bagno di gong la domenica di Lucia Festival (9-11 dicembre 2022), la rassegna internazionale di opere radiofoniche, podcast e storie audio dal mondo, ideata e curata da Ilaria Gadenz e Carola Haupt (Radio Papesse), giunta alla quarta edizione. Ospite di CANGO Cantieri Culturali Goldonetta di Firenze nell’ambito de La Democrazia del corpo, il festival si è strutturato in tre ricche e intense giornate, tra incontri, talk, ascolti e performance live, con una programmazione declinata intorno alla riflessione sui confini del corpo, imposti o percepiti; ma anche – come si legge dalla presentazione – «alle energie che lo attraversano, alle sue identità multiple e mutevoli, alla porosità tra singolo e gruppo, alle coreografie dei riti collettivi e delle isterie di massa».

È proprio su questi tracciati che si pone La grotta del sonno / Bagno di gong, la performance di apertura dell’ultima giornata, qui scelta come inizio del racconto di Lucia Festival in quanto emblematica di come l’esperienza sonora abbia il potere di espandere i nostri limiti materici, suggerendoci un’intima relazione tra noi e il mondo e viceversa. A suonare i gong Sole, Mercurio e doppia Venere, i due artisti multidisciplinari Maria Pecchioli e Daniele Giannetti, che – con addosso delle maschere di mostri marini realizzate da Aldo Lanzini – accompagnano i partecipanti, stesi a terra a occhi chiusi, a immergersi negli abissi di un viaggio onirico e collettivo.

Ridestarsi dal torpore e tornare a sentire il proprio peso attratto dalla gravità è un processo faticoso, ma la sensazione di sconfinamento ha un rilascio graduale: ci si sente più sensibili e in connessione con noi stessi, con il fuori, con l’altro.

Foto di Alisa Martynova

Ascoltare come atto d’intimità

L’ascolto è in fondo una pratica che, per la natura stessa dello strumento “orecchio”, ci pone in una relazione intima tra interno ed esterno: il nostro sistema auricolare reagisce di riflesso ai suoni, li traduce in impulsi nervosi che, giunti al cervello, vengono decodificati. Non è necessario essere focalizzati sull’ascolto, veniamo sempre e inevitabilmente attraversati da suoni e rumori, anche quelli che non ci paiono udibili: esistendo in quanto vibrazioni, vengono percepiti dai nostri corpi su altri livelli sensoriali.

Lo illustra con delicati accenti poetici la sound artist e antropologa danese Nanna Hauge Kristensen in Loss, Rain and Listening as an act of intimacy, una delle masterclass di YASS! You are so sound, il programma di formazione, scambio e approfondimento attorno alla narrazione audio, che ha accompagnato la rassegna sia con incontri online nel mese di novembre, sia con appuntamenti programmati nei giorni di festival, organizzati da Radio Papesse e tenuti da producer, audio maker, artisti del suono italiani e internazionali.

«Sounds can move through walls – spiega Hauge Kristensen – and through our bodies. We are always exposed to sounds. We are part of the sounds of the ambient with our bodies. Relocated ourselves in the environment means trying to listen in something and not to something».

Dobbiamo considerarci parte del contesto acustico e non solo un corpo estraneo e meramente ricettivo: questo sembra suggerire l’artista affinché l’atto di ascoltare possa avvenire nel pieno delle sue potenzialità. L’ascolto dunque per Nanna è una modalità di incontro sincero e ravvicinato con ciò che ci circonda, ma anche con il mondo interiore dell’altro

«Through listening you have access to the life of other people […] Staying near a person allow to be closed and to be at the same time into the environment, open to the situation you both are in […]. There is so much in the voice of people, it is connected to what is going on in that person».

Recorded

Una parte fondamentale del processo creativo di opere audio risiede nella raccolta dei suoni e delle voci: il registratore è l’alleato fondamentale di chiunque si cimenti nella realizzazione di narrazioni audio, ma è bene ricordare che esso cambia la relazione con l’altro perché, suggerisce ancora Nanna, «with the recorder you materialize the moment. It is a co-presence, it is an act of trust».

Esemplificativo in tal senso è Sleep Talks, la creazione della giovane autrice inglese Talia Augustidis, presentata in anteprima a Lucia Festival e che è ora parte del suo UnReality, una serie di racconti audio tra realtà e immaginazione. In Sleep Talks il registratore si intrufola nello spazio privato dei discorsi tra sonno e veglia che Eddie, il fidanzato di Talia, si ritrova a fare senza accorgersene quando torna a casa ubriaco. L’autrice per anni lo registra, incalzandolo con domande e sollecitazioni: il tentativo è di entrare nella sua mente per esplorarla, conoscerla meglio. Gli attimi colti nella loro intimità e spontaneità non si materializzano in una mera restituzione di registrazioni giustapposte, bensì attraverso un processo di manipolazione dei materiali che ha una forte impronta autoriale, facendo della delicata verità immortalata una sua rappresentazione.

Un curioso esperimento artistico che ricerca costantemente lo sconfinamento tra testimonianza e finzione, proteggendo in tal modo il privato dal rischio di una spiacevole violazione e trasformando l’interiorità in oggetto universale. L’ascoltatore non si trova infatti nella condizione dell’intruso, ma del com-partecipe: a essere protagonista del racconto non sono tanto Eddie e Talia quanto lo spazio liminale tra sonno e veglia, che per il suo essere intangibile e solitamente inespresso non potrebbe avere altro esito che nell’audio e nella parola orale, da cui emerge una delicata e fragile genuinità, universalmente umana.

Foto di Alisa Martynova

Ai confini del reale

Il registratore, a differenza della macchina fotografica o della cinepresa, ha un alto potere ingannatore: immortalando una materia invisibile, le può far indossare qualsiasi abito.

In questi sfumati confini siamo stati condotti durante il focus dedicato a Giorgio Bandini, tra i più grandi maestri della radio italiana degli anni Sessanta e Settanta, che tra il ‘66 e il ‘69 ha firmato testo e regia di due radiodrammi, Il guerriero scomparso e Il guerriero di provincia. Quest’ultimo, introdotto dallo studioso Rodolfo Sacchettini, si può definire il primo esperimento di diario sonoro della radio italiana: narra il viaggio di ritorno di Bandini da Roma a una città di provincia del Sud, ricostruito attraverso incontri, interviste, pensieri interiori e suoni ambientali. Tutto appare realistico, tuttavia non ci è dato sapere se il viaggio sia avvenuto davvero, né tanto meno quanto siano ricostruite le voci e le testimonianze che sentiamo, sebbene qualche dubbio sorga per gli accenti caricaturali e alcuni momenti che paiono letti. Nonostante ciò, l’ascoltatore si trova in viaggio con l’autore, sull’auto, e a contatto con i suoi pensieri. Finzionalizzare per raccontare qualcosa di reale diviene così uno strumento per restituire una visione e una prospettiva personali, nel tentativo, in questo caso, di mettere in luce le ipocrisie della propria città natale, senza puntare il dito contro singoli soggetti ma proponendo agli ascoltatori un gioco di riconoscimento/disconoscimento, distacco e immedesimazione, capace di stimolare riflessioni e curiosità.

Il suono creatore di mondi

Tra le storie in audio che sfocano i confini tra realtà e finzione mascherando l’una dell’altra, De Buffalo Beaches dell’artista olandese Eva Moeraert è forse la più significativa. La serie narra la ricerca di Kimberley e Tiffany, le due fondatrici del club femminile di hooligan della squadra di calcio del KAA Gent, che Moeraert dice di aver conosciuto quando era una giovane studentessa di radio, vent’anni prima. Tra amori, illusioni, vita pubblica e privata, Eva cerca di organizzare un nuovo incontro tra le due, tentando di scoprire i motivi per cui non si parlano più.

L’ascoltatore si trova immerso in una narrazione che ha tutte le caratteristiche di un documentario: se non fosse per il riconoscimento ottenuto nel 2022 al Prix Europa come miglior podcast di fiction, nulla farebbe pensare che si tratti di una storia inventata. Un po’ come avvenne nel lontano 1938 quando Orson Welles alla radio raccontò – in un crescendo progressivo di dati e tensione – di un’invasione aliena a cui gli ascoltatori finirono per credere, così anche questa serie, sebbene realistica, si può dire si ponga su questi tracciati. De Buffalo Bitches, infatti, restituisce in un racconto finzionale l’approfondito lavoro di ricerca che l’autrice ha condotto attorno alla vita degli hooligans e degli ultras di Utrecht e di Gent. Il mockumentary, categoria dentro la quale si potrebbe ascrivere questo podcast, è una tendenza narrativa che negli ultimi anni si è fatta comune in diversi formati, ma il tratto interessante è che in audio ogni avvenimento, anche il più strano e inusuale, se fatto accadere, se mostrato come vero, può diventarlo sul serio per l’ascoltatore. È il potere ingannatore e immersivo del suono, che, con il suo potere di creare mondi, porta a mettere in dubbio ciò che comunemente si considera reale, facendo arrivare a credere anche all’implausibile. In questo caso l’esperimento è curioso anche perché è tutto molto realistico e – sebbene ogni elemento sia ri-costruito – si racconta effettivamente il mondo degli hooligans olandesi, nelle sue atmosfere e questioni.

A giocare con la finzione, ma secondo una diversa modalità, è anche Variazioni su M. di Martina Melilli & Botafuego, seconda opera vincitrice del Premio Lucia 2021, che ricostruisce la corrispondenza epistolare tra Leo e Miriam Colautti: la donna ha infatti donato all’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano soltanto le lettere di Leo, senza lasciar traccia delle sue. Gli artisti decidono allora di fantasticare sulle risposte, invitando una serie di persone a immaginare la metà mancante dello scambio e di immedesimarsi nella situazione e nella relazione tra Leo e Miriam. La finzione diviene così un espediente creativo capace di innescare un lavoro ai confini tra la testimonianza storica, memoria viva, documentario e ricerca socio-antropologica. Ne esce infatti un’opera sul filo tra reale e immaginario, un viaggio nel tempo in cui si incontrano biografie, relazioni e voci da diverse epoche e parti di mondo, delicata ed estremamente umana.

Materializzare l’invisibile

La permeabilità dei nostri corpi al suono, concede alle frequenze di accedere ai nostri mondi interiori e a dar loro voce: condividendo l’essenza dell’invisibile, parlano lo stesso linguaggio.

Ne abbiamo la prova ascoltando Shadow Work di Ariel (Ari) Mejia, un brevissimo podcast di poco meno di cinque minuti, trasmesso per la prima volta su Short Cuts BBC4, che invita a prestare attenzione a ciò che c’è oltre la superficie e a sconfinare nei lati oscuri dell’interiorità. Sembra di essere nel flusso controllato dei suoi pensieri, mentre di sottofondo si sente dell’acqua che scorre da un rubinetto e si “intravvedono” rumori casalinghi. Ariel riflette su ciò che si può imparare osservando le proprie ombre a partire dall’episodio di una brutta litigata con la sorella, di cui sentiamo la voce che appare lontana: intervalla i pensieri di Ariel come se fosse un suo ricordo che ritorna a galla, andando a completare il suo processo di introspezione. Siamo in un altrove a questo punto: il suono di accompagnamento è un’onda semplice, un leggero fischio, come se il mondo fuori si fosse momentaneamente ovattato e ci fossimo tuffati – con Ariel – nel non-luogo buio della mente, del ricordo e dell’inconscio. Dura un attimo e risaliamo in superficie: si tornano a sentire i suoni quotidiani, ma quell’immersione nell’ombra ha permesso una guarigione e una trasformazione.

Due universi interiori in dialogo fra loro sono invece protagonisti di Cantilenano le onde di Alice Pontiggia, opera vincitrice del Premio Lucia 2021, ideata a partire dal diario di Houda Latrech Il confine tra noi. Storie migranti. Il confronto tra Alice e Houda avviene sulle sponde di alcuni corsi d’acqua che hanno fatto parte delle loro vite e storie, il cui suono diviene metafora di flussi di ricordi, pensieri e memorie trasposti da una corrente che mescola e fa incontrare non tanto le persone di Alice e Houda quanto le loro due interiorità: si affrontano, liberi, i temi dell’identità, dei legami con la terra di provenienza e le emozioni che da essi scaturiscono.

Foto di Alisa Martynova

Raccontare il nascosto

Nel 1958 il giornalista Sergio Zavoli fa entrare un microfono in un monastero di clausura, quello di via Siepelunga a Bologna, catturando per la prima volta la vita in convento (Clausura, Rai, 1958, vincitore del Prix d’Italia). L’invisibile non è soltanto negli universi interiori, dunque, ma anche nel mondo fuori e nuovamente il registratore viene in aiuto per materializzare ciò che non si può (o non si vuole) vedere; ma anche per dare voce a chi decide, o è costretto, a stare nell’ombra.

I documentari ascoltati a Lucia Festival paiono porsi in questa direzione, affrontando tematiche e situazioni complesse, che hanno necessità di restare invisibili e poco esposti, ma di essere comunque raccontate e problematizzate. Tra questi, alcuni partono da fatti intimi e privati, solitamente nascosti: è il caso di It’s Alright di Phoebe Mclndoe, che si interroga sui turbamenti dei figli abbandonati, raccontando di un episodio in cui a essere protagonista è suo fratello adottivo: preso da una rabbia incontrollabile e apparentemente irrazionale è arrivato a farsi arrestare, ma sembrava che «aspettasse quel momento da tutta la vita». Sono riflessioni accennate, che lasciano ampio spazio di interpretazione all’ascoltatore, immerso nel racconto orale capace di trasmettere, grazie al suono della voce, il profondo amore e dolore della sorella.

Un altro dolcissimo e profondo lavoro è Gilles, ma soeur et moi di Camille Descroix, sorella minore di Mathilde, una ragazza con la sindrome di Tourettes. L’approfondimento di questa patologia viene affrontato attraverso un interessante scelta drammaturgica: le due sorelle viaggiano alla ricerca del responsabile dei disturbi di Mathilde, il signor Gilles de la Tourettes, mentre i tic vocali della ragazza vengono trasformati in ritmo e musica che accompagna la narrazione. Tutti espedienti artistici capaci di informare l’ascoltatore coinvolgendolo, ma soprattutto di manifestare la bellezza di questa diversità e di legittimarla, mettendo in discussione il comune concetto di normalità.

Amplificare l’indicibile

A volte certe questioni sono troppo fragili per essere urlate, perciò si raccontano sussurrando: è accogliendo il silenzio e annullando per un attimo il proprio Io che è possibile udirle e sentirle davvero. Riportare i bisbigli in un audio-documentario è dunque un processo delicato, perché inevitabilmente amplifica ciò che a mala pena le nostre orecchie percepiscono e che, spesso, ha bisogno di restare sussurrato. Tuttavia l’ascolto è una pratica sensibile e gentile e riuscire a riportare – secondo un’urgenza – qualcosa che non si è soltanto osservato ma a cui si è anche prestato ascolto si rivela funzionale a una restituzione profonda e rispettosa.

In tal senso, diversi sono stati i lavori presentati a Lucia Festival, tra i quali Finn and the Bell di Erica Heilman, che affronta il tabù del suicidio di un adolescente del Vermont non trattando direttamente il tema, quanto ascoltando i racconti della piccola comunità in cui il ragazzo viveva, dei pensieri e delle loro reazioni in relazione all’indicibile fatto. Oppure Naar buiten dell’olandese Lieselot Mariën, che si addentra nella solitudine silenziosa di Erik, che da cinquant’anni vive isolato ed escluso: dopo essere uscito dalla comunità dei Testimoni di Geova nemmeno la moglie, con cui ancora convive, ne riconosce l’esistenza. O ancora Le village des fous di Pauline Augustyn, che esplora un caso di isteria collettiva, avvenuto nel 1951 nel villaggio francese di Pont-Saint-Esprit, in cui la comunità inizia ad avere collettivamente delle allucinazioni, dopo che il giovane Charles strangolò la madre. Una tematica tanto affascinante, per certi versi, quanto scomoda da trattare, perché può suscitare tali turbamenti che si preferisce lasciarla a basso volume.

Ancora una volta, l’ascolto permette di cogliere e amplificare questioni poco discusse con profondità inusuale, che va a toccare non solo le corde della ragione, ma anche dell’emozione e dell’empatia. In tal senso, la produzione RaiPlay Sound Io ero Milanese di Mauro Pescio, – presentato nella sua versione dal vivo – affronta il legittimo e complesso ritorno alla vita dopo il carcere attraverso la storia del rapinatore Lorenzo S. Sempre su questa linea si pone anche la serie Malafemmina, quattro puntate sullo sfondo di una Roma decaduta nate dall’incontro tra la producer francese Chloé Barreau e l’artista trans Lilith Primavera, che danno voce, in una sorta di diario sonoro, ai tanti modi di essere donna.

Foto di Alisa Martynova

Audio Network

A contribuire a questa totale immersione nei racconti sonori è stata anche la scelta di programmare la rassegna in un unico luogo, differentemente dalla precedente edizione, pensata invece come un festival “diffuso”. Se in quel caso l’esperienza aveva reso pervasivo l’ascolto ma parcellizzata l’esperienza, questa volta avere come punto di riferimento uno “spazio festival” non ha soltanto contribuito a una maggiore organicità, ma ha anche reso possibile la costruzione di una comunità di producer, artisti e ascoltatori.

Le occasioni di incontro e scambio informale nelle pause sono state fondamentali per instaurare relazioni e così anche gli appuntamenti di approfondimento che hanno accompagnato la programmazione. Tra questi, Santini – un aiuto quando serve è stata un’opportunità preziosa e non scontata, forse unica, in cui potersi incontrare tra colleghi e altre figure del mondo del podcasting e della radiofonia per uno scambio di pratiche, consigli e saperi, tra Italia e estero. Arricchente è stata inoltre la presenza degli autori a presentare le loro opere, utili – anche per ascoltatori meno allenati – per avvicinarsi alla narrazione audio e alle modalità di produzione e ideazione; e il focus Bambini in ascolto un’opportunità per conoscere le potenzialità dell’ascolto e della narrazione sonora per l’infanzia (con: Sara de Monchy, Gianfranco Bandini, Radioimmaginaria, Tjeerd van den Elsen, Le Collectif WOW!, Ana Gonzalez).

(Ri)suonare

I tre intensi giorni di Lucia Festival si confermano un unicum nel panorama italiano. A distanza di mesi, le orecchie fischiano ancora: le onde e le vibrazioni accolte e rilasciate dai corpi e dalla loro materia, hanno inciso dei segni nelle nostre sensibilità. Il nostro apparato auricolare è forse ora più teso, attento e ricettivo, mentre i nostri corpi si sono riscoperti acustici e trovano così una nuova postura nell’ambiente che abitano: si lasciano suonare e risuonare.

L'autore

  • Ilaria Cecchinato

    Laureata in Dams e in Italianistica, si occupa di giornalismo e cura progetti di studio sul rapporto tra audio, radio e teatro. Ha collaborato con Radio Città Fujiko ed è audio editor per radio e associazioni. Nel 2018 ha vinto il bando di ricerca Biennale ASAC e nel 2020 ha co-curato il radio-documentario "La scena invisibile - Franco Visioli" per RSI.

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