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"…éramos semillas". Introduzione a Desaparecidos#43 di Instabili Vaganti

di Altre Velocità

poesia di Lily Rivera En memoria, no sólo de 43… e la ritroviamo anche in numerosi striscioni durante le manifestazioni per chiedere chiarezza e giustizia riguardo al rapimento e massacro di 43 studenti a Iguala, nello stato di Guerrero in Messico la notte tra il 25 e il 26 settembre 2014. E da queste sementi sono germogliati movimenti di protesta, azioni, poesie, libri, spettacoli teatrali, modi diversi per non dimenticare, per non lasciare sole le vittime e le loro famiglie ma anche coloro che quotidianamente vivono nel terrore dei cartelli della droga e di una polizia e uno stato collusi. Alcuni germogli sono arrivati anche in Italia e a Bologna: lunedì 13 marzo alle ore 20.30 presso il Dipartimento delle Arti, tornerà in scena lo spettacolo DESAPARECIDOS#43 della compagnia teatrale Instabili Vaganti per raccontare questa triste vicenda, partendo dalla propria esperienza di lavoro in Messico e dalle testimonianze di alcuni studenti. Quarantatré studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa scomparvero in una azione che vide coinvolta la polizia locale, un gruppo criminale dal nome Guerreros Unidos e, secondo molti giornalisti investigativi, di esercito e governo federale. La versione ufficiale cerca infatti di ridurre l’accaduto all’ambito locale incolpando il sindaco di Iguala José Luis Abarca, il cartello dei Guerreros Unidos e la polizia locale. Questi si sarebbero trovati coinvolti in un regolamento di conti con il cartello rivale de Los Rojos. Questa versione è stata rifiutata fin da subito dai genitori e dai parenti delle vittime, come testimoniato anche dal video-documentario fatto da Emily Pederson e dalla giornalista messicana Anabel Hernández che nel libro La verdadera noche de Iguala cerca di dimostrare l’implicazione dell’esercito e, di conseguenza, del governo federale (qui un estratto del libro). Secondo la giornalista il movente non starebbe nello scontro tra cartelli rivali ma nel recupero da parte dell’esercito di un carico di eroina per un valore di due milioni di dollari, presente sui due autobus a insaputa degli studenti. L’esercito tentò di recuperare la droga per conto del cartello Guerreros Unidos ma gli studenti se ne accorsero e fu questo il motivo della loro scomparsa, un monito per impedire di parlare a loro, alle loro famiglie e ai loro concittadini. Oltre alle ricostruzioni giornalistiche, fu anche una commissione di esperti della commissione interamericana per i diritti umani, il GIEI, a rifiutare la versione ufficiale sostenuta dal governo di Enrique Peña Nieto. Come scrive Fabrizio Lorusso su “Huffington Post”, «a Iguala vi fu una vera e propria operazione di contro-insurrezione, un’azione orchestrata come una cacciagione o persecuzione, messa in atto da polizie di tutti i livelli con la partecipazione dell’esercito oltre che del crimine organizzato». Le confessioni che avvallano la versione ufficiale sembrano essere state estorte con la tortura ed è praticamente certo che nella discarica di Cholula in cui, sempre secondo la versione ufficiale, sarebbero stati bruciati corpi dei quarantatré studenti, non sarebbe stato possibile cremare e far sparire così tanti corpi. Inoltre, secondo testimonianze raccolte da Anabel Hernández, sulla scena del crimine vennero raccolti bossoli di proiettile direttamente riconducibili all’esercito. «Vivos se los llevaron vivos los queremos», così recitava uno degli slogan che accompagnavano le marce organizzate in tutto il mondo a sostegno degli scomparsi. A distanza di anni non si è ancora fatta chiarezza e c’è ancora bisogno che da questi quarantatré semi germoglino fiori che possano riprodursi per non dimenticare e continuare a chiedere giustizia. Non solo per i quarantatré desaparecidos ma anche per tutti gli altri dispersi e morti di una “guerra alle droghe” che non cessa di mietere vittime.

Pietro Perelli

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