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E la Luna si tinse di rosso nella "Salome" di Strauss

di Altre Velocità

Una misteriosa Luna piena sul fondale che emana una luce fredda e bianca in contrapposizione al palcoscenico di color sangue, di un Santo decapitato o di una pericolosa passione non corrisposta. Questo è lo spazio ideale, accuratamente scelto dal regista Gabriele Lavia, per enfatizzare il pathos della celebre storia di Salomè, riscritta da Oscar Wilde nel 1891, che ispirò Richard Strauss a portarla in musica e metterla in scena per la prima volta nel 1905 a Dresda. Questo lontano 1905 viene celebrato nella rappresentazione di Salomè nel Teatro Comunale di Bologna attraverso la scelta dei costumi per i personaggi dell’opera.

La storia è quella di Salomè, figlia di Erodiade che, presa dalla dirompente passione non corrisposta da Jochanaan (Giovanni Battista), chiede a re Erode la testa del profeta come ricompensa per la sua seducente danza.

La scena si apre con una Luna solitaria, che poi rimane una costante nella scenografia. C’è un legame evidente tra essa e Salomè; all’inizio dell’opera il paggio di Erode esclama che la Luna sembra una donna che sorge dalla tomba o una donna morta. E quando Salomè entra in scena il suo sguardo si rivolge alla Luna comparandola a una vergine che non si è mai abbandonata a un uomo, come le altre dee. All’apertura della partitura la scala ascendente del clarinetto introduce un’atmosfera sensuale e allo stesso tempo decadente. La partitura di Salomè è carica di descrizioni e analisi sonore, spinte ai limiti estremi. Nella scena in cui per la prima volta sentiamo la voce di Jochanaan (interpretato da Sebastian Holecek), che si trova nei sotterranei in quanto prigioniero del re, la musica è in netto contrasto con la precedente melodia sensuale. Le parole oracolari del profeta, che annuncia la venuta del Messia sono accompagnate da una melodia piana e lineare. Nel momento in cui portano fuori il Battista dalla cisterna un interludio orchestrale riprende i temi fin qui ascoltati, rielaborati in una trama contrappuntistica. È un momento di estrema bellezza musicale in cui l’orchestra dipinge tutti gli stati d’animo dei due personaggi: la stessa struttura corale di prima accompagna la figura di Battista che si intreccia al tema di Salomè creando così un gioco di rimandi che simboleggiano i suoi sentimenti sia di attrazione che di repulsione.

Le passioni che divorano Salomè sono stravolgenti, ci portano a percepirla non più come una donna ma come una forza bruta e insensibile. L’opera giunge al suo climax nella famosa scena della danza dei sette veli maestosamente interpretata da Manuela Uhl (secondo cast). La protagonista è ben consapevole del potere dell’eros e offre uno spettacolo indimenticabile al re Erode (interpretato da Ian Storey) per ripagare il proprio desiderio ossessivo guadagnando finalmente la testa del profeta resistente. Il regista riprende l’idea già presente nell’opera di Wilde con il suo enigmatico gioco di nascondere-svelare attraverso i veli che indubbiamente ricordano la celeberrima danza di Loïe Fuller. L’attrice si impadronisce con i suoi affascinanti e seducenti movimenti dell’intero palcoscenico, fermandosi in alcuni istanti alla cavità che funge da centro magnetico della sua danza e che allo stesso tempo è il collegamento con i sotterranei dove si trova Jochanaan. La grande orchestra, diretta da Juraj Valčuha, accompagna la scena creando un vero e proprio ritratto del desiderio sensuale estetico, accompagnato dagli sconvolgenti suoni barbarici che si incastonano con le sensuali melodie orientali. Erode, ancora una volta, non può far altro che obbedire ciecamente alle richieste di una donna determinata a ottenere quello che desidera.

La Luna si tinge di rosso nello spettacolo finale in cui Salomè tiene fra le braccia la testa del decapitato profeta. La scena del bacio è allucinante e terrificante, ma allo stesso tempo di una straordinaria bellezza estetica la cui carica passionale non poteva che dissolversi nella morte.

Jovana Malinarić

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