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Dove sono "Les Misérable"?

di Altre Velocità

Molte persone del pubblico temevano per la lunghezza dello spettacolo, ma Les Misérables di Franco Però pone problemi forse più relativi all’intensità che alla durata, alla qualità che alla quantità. Io, per esempio, mi aspettavo dalla messa in scena e dall’intreccio narrativo una forza dirompente che però non ho percepito. È vero, nell’opera diretta da Franco Però ci sono numerosi elementi riusciti e accattivanti: la scenografia, per esempio, l’ho trovata suggestiva e al tempo stesso funzionale. Si trattava di pareti a incastro che venivano spostate dagli stessi attori, i quali facevano vari usi degli oggetti di scena, trasformandoli in qualcos’altro: un tavolo diventava una barricata per i rivoluzionari, ma anche una banca della chiesa per Jean Valjean (Franco Branciaroli) al momento di decidere se rivelare o meno la propria identità, per liberare l’uomo ingiustamente accusato di essere il galeotto stesso: nella sua triste disperazione ha racchiuso l’ingiustizia della legge che voleva in galera – a vita – chi rubava un pezzo di pane per non morire di stenti.
Tuttavia, la sottile ironia che accompagnava la recitazione di alcuni attori strideva con la storia in sé. Ho percepito uno sguardo contemporaneo troppo distante dalla vera vita miserabile narrata da Victor Hugo: per esempio, parlare della morte di un bambino in ospedale come di un fatto su cui riflettere per la sua atrocità stona con la Parigi ottocentesca, nella quale realtà le persone morivano tra il sudiciume, nelle strade.
La ripetitività dei dialoghi inoltre ha appesantito la rappresentazione e tolto importanza e spazio a fatti estremamente peculiari: è possibile che una figura meravigliosa come quella di Fantine sia rilegata a letto fin dall’inizio? Che la sua sofferenza sia solo raccontata? E ancora, che una giovane innamorata Éponine non mostri il suo dolore se non tramite la pazzia? Anche Cosette, da povera bambina che ha conosciuto troppo presto il dolore, una volta cresciuta non mi sembrata per nulla maturata.
Le musiche erano delicate e bellissime; se fossero state più consistenti avrebbero potuto dare più vivacità a una rivoluzione che mi è apparsa monocolore. Ho pensato, dopo, a quanto sarebbe stato suggestivo vedere le bandiere sventolare tra i palchetti del teatro: essere avvolti da un’ondata di fragore barricadiero.


Inoltre Gavroche, il piccolo fuoco fatuo, è un personaggio speciale nel romanzo. Canta e gioca a nascondino davanti alla Guardia Nazionale; nella sua incoscienza si annida qualcosa di magico, infatti egli “non era un bambino, non era nemmeno un uomo, era uno strano ragazzino fatato”. Nello spettacolo, però, la sua figura perde molta complessità e il personaggio viene semplicemente ridotto a “un bambino che non deve bere il vino”.
Sicuramente – ed è stato inevitabile – ho paragonato questa rappresentazione teatrale ad altre opere artistiche tratte dal romanzo di Hugo, primo fra tutti il magnifico film di Tom Hooper. Questo mi ha portato a pensare che avrei vissuto un’esperienza simile a quella della visione cinematografica, sono dunque arrivata a teatro con un carico di aspettative fin troppo grande.
In conclusione dico che il romanzo è molto complesso, ricco di dettagli e vicende; lo stesso Luca Doninelli, che ha curato l’adattamento dell’opera letteraria per lo spettacolo in questione, spiega che «portare I Miserabili sulle tavole di un teatro di prosa è un’impresa sicuramente temeraria, una sfida per chiunque sia disposto a sopportare un grande insuccesso piuttosto che un successo mediocre.» Io ammiro questo coraggio, purtroppo però si è forse persa la complessità delle tante essenze delle azioni, dei momenti, delle passioni dei protagonisti. Personaggi che raccontano ciascuno una storia diversa, che si intersecano tra di loro – negli anni – nelle sventure, nei dolori, negli amori, corrisposti e non. Una storia ciascuna particolare, ma anche ricca di legami e somiglianze con tutte le altre: i miserabili sono le persone che lottano per sopravvivere, che si tolgono i denti per pagare le finte (poiché inventate dai Thénardier per rubare denaro) cure della propria bambina, che piangono di nascosto per un amore struggente, che lottano sputando il proprio sangue per vedere realizzati i propri ideali, che muoiono per la rivoluzione… Infine, loro: i veri miserabili, che lo sono effettivamente solo perché poveri. Nei fatti sarebbero da considerare i più romantici della storia.

Giorgia Pagano

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