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Dopo Edipo. Frammenti da Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa

di Altre Velocità

Disegno di Marta Vettorello[/caption]   Coro Il coro, elemento portante nella tragedia greca, è una presenza fondamentale anche nell’allestimento della compagnia. Formato da pochi attori, agisce in scena in maniera compatta, diretta e immediata. Come in una squadra, tutti indossano lo stesso costume e una parrucca color cenere e si presentano con grande coordinazione. Anche la loro recitazione procede all’unisono, seguendo lo stesso ritmo, calibrata anche nel respiro. I loro movimenti, assolutamente lontani dalla realtà, sono costruiti fin nei minimi dettagli e procedono quasi sempre insieme, sembrando quasi meccanici talmente sono precisi. È un’architettura corporea che gioca perfettamente con la scenografia, viva e dinamica attraverso i diversi piani, le passerelle mobili o le botole. Talvolta qualcuno dei coreuti veste i panni di un personaggio della tragedia. Sono trasformazioni che avvengono in maniera improvvisa, le avvertiamo subito perché l’attore o l’attrice in questione si distacca dal gruppo e si arricchisce di particolari oggetti scenici: compare quindi prima il profeta Tiresia in monopattino e con un paio di mani giganti, lo segue Creonte protetto da una sorta di armatura dorata e infine i due pastori, con degli enormi pantaloni bianchi. Tuttavia questo mascheramento è breve, gli interpreti finiranno per disfarsi della nuova identità e perdersi di nuovo nella mischia. Se nella lettura della tragedia la parte destinata al coro può risultare spesso statica, questa forte integrazione visiva, recitativa e corporea contribuisce, oltre a incuriosire lo spettatore e a restituire una messa in scena fortemente dinamica, a rendere le sue azioni fondamentali nello svolgersi della vicenda. (Camilla Fiore) Contrasti È tutto un gioco di contrasti e smussamenti quello che avviene nell’Edipo Re di Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa. L’alternarsi di coloriture divergenti sembra la cifra comune ai diversi elementi dello spettacolo. Il pathos della tragedia sofoclea sembra attutito, in primo luogo, da una scenografia improbabile: un castello giallo, di macchine e botole, realizzato su tre livelli, dove animali che emergono lateralmente (agganciati ad aste in ferro), metaforizzano il tema della bestialità, ma anche quello della peste che tutto travolge. I personaggi sembrano immagini stilizzate, quasi macchiettistiche con cui risulta difficile immedesimarsi: il Creonte con gilet di campanelli, che batte le mani innalzandosi su un trono degno della regina di Alice in Wonderland, così come i cori in movimento dal sapore queer a cui si alterna sembrerebbero inseguire l’ottica di uno straniamento, se solo la mancanza del ritmo nella narrazione non compromettesse l’attenzione dello spettatore. Il nobile Edipo che si acceca per la vergogna dell’incesto attuato, veste una giacca multicolore e spagnoleggiante, costituita da sole mollette (di cui invano abbiamo aspettato un’evoluzione scenica). La declamazione tragica e prolissa tende verso un’enfasi che inverte di segno il tono, rendendolo grottesco, quasi a simboleggiare lo svuotamento e l’inattualità della tragedia. Riprendendo una definizione data a seguito dello spettacolo, quello che abbiamo visto è stato «un Edipo pieno di contrasti». (Martina Vullo) Ma che fine ha fatto Edipo? Una figura buffonesca dalle movenze impostate ed accentuate all’eccesso, lontane da qualsiasi realismo, si erge con fierezza dall’alto della sua piramide-reggia color giallo acceso. La sua voce ha un tono declamatorio e cantilenante, tanto che il significato delle parole tende a perdersi a favore del loro aspetto fonetico. Questo individuo ha tutto meno che l’immagine di un sovrano quale dovrebbe essere: indossa una giacca piumata dalle tinte rosse e gialle e dei pantaloni blu jeans, ha colori e sembianze di un pappagallo. Si presenta così Edipo (Marco Isidori) al suo primo ingresso in scena per l’Edipo re di Sofocle, tenutosi ai Laboratori delle Arti il 28 febbraio. Edipo è reso in maniera grottesca, tanto distante dal pubblico da apparire una maschera carnevalesca, caricaturale. Perde, almeno in parte, l’aspetto tragico del dramma. Tuttavia l’effetto pare voluto. D’altronde, se guardiamo alla tragedia sofoclea, la figura di Edipo presenta effettivamente dei tratti paradossali, è razionale e irrazionale al tempo stesso: risolve l’enigma della sfinge, ma non vede (o non vuole vedere) l’evidenza dei fatti, ovvero che l’oracolo dal quale voleva tanto sfuggire si è avverato. La progressiva caduta di Edipo nella disperazione per la scoperta, o meglio accettazione, della sua identità, è resa scenicamente con lo spostamento del personaggio da una iniziale posizione sopraelevata, a una finale sottostante: alla fine esce da uno dei cunicoli che stanno alla base della piramide-reggia, sommerso nel buio e cieco. Anche nella disperazione finale si mantengono i toni declamatori e le movenze esagerate e convenzionali. Una simile recitazione, seppur giustificata da un Edipo dai tratti paradossali, ha comportato una certa pesantezza nella narrazione, in quanto è mantenuta per l’intera pièce non solo da Isidori, ma anche dagli altri personaggi, coro compreso (l’unico a cui pare appropriata). Nonostante l’orchestrazione unitaria degli elementi scenici (attori compresi) sia ben riuscita, sembra essersi perso il senso e ciò che potrebbe comunicare, a seconda delle interpretazioni, il dramma di Edipo. (Ilaria Cecchinato)  ]]>

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