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Dietro alla parola c'è un essere umano. "Masculu e fiammina" di Saverio La Ruina

di Altre Velocità

(ph:Paolo Galletta)

«Le parole hanno un peso». Una frase abusata e per questo apparentemente svuotata di senso ma che nasconde una verità assoluta. Saverio La Ruina sfrutta questa idea e ci costruisce uno spettacolo intero, andato in scena lo scorso 13 Marzo ai Laboratori delle Arti. Masculu e fìammina è un gioiello intimista che riesce a ritrarre uno scorcio di vita sentimentale di «nu masculu ch’i piacciono i masculi», la cui unica volontà è quella di vivere il sentimento d’amore che la provincia accecata da un soffocante bigottismo non permette e ostacola fin da subito. Peppino, alla cui voce La Ruina dà corpo, è ormai un ultracinquantenne che va a trovare la madre al cimitero. Le porta dei fiori, la aggiorna sugli ultimi fatti del paese e delle esistenze di coloro che un tempo animavano la sua vita. Ma fin da subito lo spettatore, identificato con la silenziosa madre, coglie che c’è qualcosa di taciuto, una verità che ancora non è stata detta, un termine che lo stesso uomo sa di voler pronunciare ma che trattiene ancora un po’ per sé. La scenografia quasi inghiottita dalle tenebre, composta dalla lapide della madre e da un tronco che funge da sgabello allo stesso Peppino, incoraggia ulteriormente questa tensione. L’atmosfera confidenziale viene sottolineata dal fine strato di neve che ricopre ogni cosa e ovatta il mondo esterno, presente solo attraverso le parole che diventano immagini e colorano un palco altrimenti povero. Attraverso la voce di Peppino, caratterizzata da un magnetico dialetto calabrese che disegna le giornate adolescenziali del protagonista, vengono messe in scena le inevitabili difficoltà che un determinato orientamento sessuale negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta portavano con sé. In particolar modo viene mostrato il ritratto di una vita per lo più taciuta, sottratta alla luce del sole, e pur sempre vissuta attraverso le cene con le zie e le giornate passate in compagnia dell’unico amico, anche lui «ricchiù», come viene chiamato per le vie del paese dai coetanei. Saverio La Ruina riesce nell’impresa di tratteggiare un personaggio ben definito, veritiero e per nulla patetico, che cerca di accettarsi con il passare del tempo, sebbene venga schiacciato più e più volte da una semplice parola dalle mille gradazioni. E questa parola è “omosessuale”. Un’etichetta che rischia di marchiarlo a fuoco non permettendogli di essere se stesso ma solo come gli altri lo vorrebbero. E allora non rimane che utilizzare l’unico strumento possibile in grado di isolarla e dissezionarla nelle diverse esperienze e chiarire una volta per tutte che dietro alla parola c’è un essere umano che prova un sentimento universale. E questo strumento è il teatro narrativo.

Margherita Piccoli

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