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Di fronte alle parole di Levi. La memoria e il teatro a Bologna con Fanny & Alexander

di Altre Velocità

Se questo è Levi. In uno degli spettacoli precedenti della compagnia dal titolo Him (2007), parte di un progetto molto ampio dal nome O/Z, un Hitlerino inginocchiato si arrogava tutte le voci e i suoni del lungometraggio Il Mago di Oz di Victor Fleming, seguendo senza tregua l’intero doppiaggio e assumendo i panni di un direttore d’orchestra trafitto dal sonoro. Il progetto Discorsi (2011-2014) raggruppava ben sei lavori e interrogava le forme dei discorsi pubblici rivolti a una comunità attraverso la presenza sulla scena di emblematici soggetti, che subiscono il linguaggio eterodiretto dei mass media fino a divenire fantocci o terribili creature destinate a replicare le voci e i movimenti di personaggi esistenti o esistiti più o meno celebri, appartenenti ad ambiti differenti della nostra società, creando di conseguenza un cortocircuito della parola resa automatizzata e intermittente in scena. In Se questo è Levi ritroviamo un unico attore sulla scena, che attraverso le inflessioni vocali, la mimica facciale, i gesti, le pause, il vestiario, la precisa terminologia utilizzata nei suoi discorsi (i movimenti del corpo, i silenzi e alcuni contenuti ricavati dai testi) plasma magistralmente una copia conforme e assolutamente non affettata o parodistica dello scrittore torinese, dimostrando quanto siano potenti, provocatorie e attuali ancora oggi le riflessioni lasciate da un autore, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz, a contatto con un uditorio. Il viaggio intrapreso sabato 27 gennaio si snoda lungo tre luoghi-simbolo, ognuno dei quali racchiude ciascuna performance e condiziona fortemente gli spazi dell’interprete e la ricettività dello spettatore e si ricongiunge alla sfera personale e pubblica dello scrittore. I luoghi scelti sono un’abitazione privata, l’Aula Magna del Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, contenente banchi, lavagne a muro, una poderosa cattedra e una tavola periodica degli elementi chimici, e infine la Sala del Consiglio di Palazzo Malvezzi, pronta a ospitare un’eccentrica riunione del Consiglio Provinciale il cui protagonista questa volta è il pubblico stesso, in possesso di microfoni da tavolo per prendere la parola. Dato l’elevato numero di spettatori intenti a seguire l’intero lavoro e la scarsa quantità di posti disponibili per accedere alla prima performance, perdo la possibilità di assistere al primo appuntamento fissato per le 17.17. Da via G.B. De Rolandis mi dirigo allora verso piazza Verdi in attesa dell’inizio della seconda performance in via Francesco Selmi, segnata per le ore 19.00. [caption id="attachment_1535" align="alignnone" width="850"] Disegno di Vittoria Majorana[/caption] Nel secondo lavoro, dal titolo Il sistema periodico, alla grandezza dell’aula di chimica corrisponde la riflessione di Levi sulle due funzioni di segno opposto che lo hanno accompagnato nella sua vita: la chimica e il “non mestiere” di scrittore. Da una parte troviamo le discipline scientifiche, manovrate abilmente da un alchimista e destinate a trasmutare e sublimare la materia fino a ricavare l’essenza e l’anima di un elemento e a fornire un ordine e una legge al caos universale. Dall’altra parte c’è la scrittura, che messa a repentaglio da presunte storie distorte e nauseanti, quando attinge alla chiarezza di un’arte magica come la chimica si rende salvifica e nobile fino a farsi servizio pubblico, a cui tutti i lettori devono avere libero accesso indistintamente. Attraverso un paragone assai indicativo con il quale Levi, ritornato in Italia dalla Polonia, si accosta al vecchio barbuto della ballata di Coleridge, pronto a intrattenere i commensali con un racconto sui morti, egli ridimensiona la propria scrittura, fino ad avvicinarla a quella di un reduce di guerra, lontano dal mondo dei vivi. Ma a mano a mano che il tempo passa la parola cambia nei suoi scritti e diviene testimonianza lucida e concreta della permanenza ad Auschwitz, rinvigorendo come una pianta e proiettandosi al futuro per lanciare una sfida a tutto e tutti. Il pubblico è chiamato a farsi esso stesso portatore di memoria della violenza e delle repressioni causate dalle forze naziste, da una parte attraverso l’ascolto del resoconto dell’autore, teso a divenire anche una profonda riflessione sul tempo presente, e dall’altra attraverso un elenco di domande da porre all’interprete. È quanto accade nell’ultima performance dal titolo I sommersi e i salvati, nella quale gli spettatori vengono trascinati in un “question time” all’ultimo respiro in cui devono rivolgere all’autore-attore alcune domande, elaborate per iscritto dalla compagnia stessa e destinate a sovrapporsi alla voce di Primo Levi alimentando con nuovi input l’andamento della performance e spostando il centro dell’azione teatrale nella platea. Il movimento unitario di un gruppo indistinto di persone, che attraversa a grandi passi le vie cittadine e segue l’intero progetto, diviene esso stesso un itinerario della memoria, destinato a tenere vivo il ricordo di quelle vittime ma soprattutto a sollecitare un dibattito comune, aggiornato e partecipativo su quei fatti che hanno sconvolto l’intero territorio europeo. Come l’autore ebbe la certezza di potere perpetuare la memoria di quei fatti brutali nel popolo tedesco, attraverso l’edizione di Se questo è un uomo pubblicata in Germania nel 1961 dall’editore Fischer e la cui traduzione venne seguita con somma scrupolosità dallo stesso Levi, allo stesso modo oggi le vie cittadine del centro di Bologna continuano a interrogare questa profonda ferita, rimasta ancora oggi insanabile.

Damiano Pellegrino

(disegni di Vittoria Majorana)

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