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C’era una volta in Europa. La follia di Angela Demattè

di Alex Giuzio

È l’Europa della liberté-egalité-fraternité solo apparente, dell’austerità e della divisione tra popoli; è l’Europa affamata e non garante dei diritti umani, l’Europa che respinge chi supplica, l’Europa ribaltata e spogliata dei suoi “valori fondamentali”, quella che vomita Angela Demattè in Mad in Europe. Futura madre-clochard, ex impiegata al Parlamento europeo, davanti la cui sede si ritrova priva di memoria e di linguaggio, Demattè impersona una donna in gravidanza, capace di parlare solo un misto di inglese francese tedesco spagnolo, e che è abbandonata dalle istituzioni, dall’assistenza sociale, dagli uomini. Un virtuosistico monologo, quello dell’attrice trentina, autrice e regista di questo spettacolo che ammonisce l’idea di Europa intesa come prosperità, benessere e uguaglianza. Un teatro che raggiunge il suo apice nelle parti in cui Demattè è parlata da quattro lingue amalgamate ma confuse, come i popoli diversi che abitano l’Unione, continente di follia e individualismo alla ricerca della redenzione dai propri peccati.

Angela Demattè incarna il mistero di una donna incinta che non ricorda più il proprio idioma natìo e che impreca, infuriata e spaventata, davanti alla sede dell’europarlamento a Bruxelles. Irrita e provoca repulsione tra i passanti incravattati, la presenza di questa rabbia eretica che profana la massima istituzione del vecchio continente con i suoi rigurgiti antieuropei, finché non trova accoglienza in una chiesa che fa riemergere la sua memoria, la sua infanzia, le sue origini e un amore lontano, che riaccendono la padronanza del dialetto friulano con cui Demattè recita la seconda parte dello spettacolo, nel complesso un meticciato di lingue difficili da comprendere appieno. Ma al di là delle parole e del loro significato in senso stretto, l’attrice riesce comunque a comunicare bene la contraddizione di cui è portatrice, che è quella dell’Europa intera: una donna con in grembo un’altra vita – il futuro – ma che non possiede quella stabilità necessaria a generare e a costruire il presente.

Tra surreali confidenze con una statua della Madonna e intimi dialoghi con gli innumerevoli fantasmi che la circondano, Angela Demattè trova nel corso dello spettacolo anche il modo di uscire da questo personaggio rabbioso per interagire talvolta col pubblico, infilando qualche battuta che fa ordine nell’illustrare l’origine di una figura altrimenti spaventosa e misteriosa. Con leggerezza e senza essere didascalica, ma anzi sfociando in un’ironia leggera e nutriente, Demattè realizza uno spettacolo nel complesso straniante, piacevole e potente. Vincitrice meritata del Premio Scenario 2015, con questo spettacolo trasmette la nevrosi di un intero continente dalle origini perdute, chinato su un baratro verso cui tuffarsi appare l’unica soluzione possibile per portare a termine la propria inconsapevole autodistruzione.

foto di Manuela Giusto

L'autore

  • Alex Giuzio

    Giornalista, si occupa di teatro e di economia ed ecologia legate alle coste e al turismo. Fa parte del gruppo Altre Velocità dal 2012 e collabora con le riviste Gli Asini e Il Mulino. Ha curato e tradotto un'antologia di Antonin Artaud per Edizioni E/O e ha diretto la rassegna biennale di teatro "Drammi collaterali" a Cervia. È autore de "La linea fragile", un'inchiesta sui problemi ambientali dei litorali italiani (Edizioni dell'Asino 2022), e di "Critica del turismo" (Edizioni Grifo 2023).

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