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Cartoline da Ipercorpo 2023. Giorni #3-4

di Altre Velocità

Questo articolo è prodotto dai partecipanti al Laboratorio itinerante di giornalismo culturale in Romagna, organizzato da Altre Velocità, che attraversa il festival Ipercorpo 2023 come sua ultima tappa.

Incontrarsi

Un corpo, due corpi, poi ancora un corpo solo. Il terzo giorno del festival forlivese Ipercorpo celebra l’esperienza del conoscersi attraverso l’alterità, indagando coraggiosamente l’incontro tra due figure dissimili che interagiscono, che si riscoprono in un doppio specchiamento. Accade in Brave, di Paola Bianchi e Valentina Bravetti, e poi in Go Figure di Sharon Fridman, due spettacoli complementari che coesistono e si potenziano attraverso la presenza assoluta dei corpi dei danzatori.
La prima performance indaga la figura umana, schiacciata dalla forza di gravità, nel suo solido senso orizzontale: essa si palesa agli occhi dei fruitori per mezzo di una danza condotta esclusivamente a terra, che mai vuole conquistare la posizione eretta. Il secondo spettacolo invece, fortificato da un ricorrente movimento circolare, esplora impavido gli spazi aerei: lo fa attraverso le azioni calibrate e lunari dei due performer, che permettono ai corpi di galleggiare nella dimensione misteriosa del teatro; le figure fluttuano liquide e si trasportano come fossero degli inediti astronauti.
La prima performance vuole il pubblico fortemente vicino, lo chiama a sé come ad attorniare le attrici, al fine di indagare ogni espressione delle due, ogni sussurrio, ogni silenzio. La seconda al contrario sceglie una fruizione più classicamente frontale, in cui lo spazio dell’azione e quello dell’osservazione si sfiorano appena, accarezzandosi fumosi. La prima presenta come unico elemento scenico un largo tappeto rosso, dai contorni ben delineati, che domina la scena: è colorato di un rubino infuocato, bruciante, abbagliante. La seconda, di contro, disegna un ambiente ceruleo, freddo e in penombra, in cui si è invitati ad abbandonarsi in un’aura marziana, trasportati dalla morbidezza rotonda dei corpi.
Entrambe le opere fanno i conti con la carne che si confonde e si mescola, sovrappongono di volta in volta le pieghe della pelle, le movenze e i respiri. Gli arti dei danzatori – magnificamente intersecati – sono prolungati, proiettati verso contorni inediti, e il continuo radicarsi nelle ossa dell’altro contribuisce alla genesi di creature imprevedibili e fascinose. Per mezzo di movimenti in cui coesiste l’attrazione e allo stesso tempo il respingimento, in cui le figure lottano e si confondono, si odiano e si amano, avviene sotto ai nostri occhi la celebrazione dell’essere due, che precede e dà forma all’essere uno.

Margherita Alpini

Epifania

«Ci sono nella nostra vita attimi di tempo che con differente importanza hanno una virtù rinnovatrice, da dove […] le nostre menti, soprattutto il potere dell’immaginazione, sono nutrite e invisibilmente riparate». Questi attimi di tempo ci sono stati regalati nelle ultime due giornate di Ipercorpo. A partire da un pavone, che è apparso a Marta Roberti, al quale l’artista ha dato la luce e che poi ha trovato una nuova vita nel deposito dell’Exatr. L’animale appare senza essere invitato, per definizione, inatteso, e impone la sua presenza. Lo stesso fanno i corpi di Valentina Bravetti e Paola Bianchi nel loro meraviglioso spettacolo Brave, che parla proprio di un modo nuovo e potente di cercare una presenza sulla scena, o meglio una compresenza, fatta di corpi diversi che appaiono e anelano, con tutta la loro forza, a nuove modalità di dialogo e relazione.
Di corpi diversi in relazione parla anche Go figure di Sharon Fridman, spettacolo dirompente che ci mette di fronte alla verità e alla purezza della relazione tra due mondi differenti, che cercano un dialogo e si fondono, pur mantenendo la propria unicità. Come Brave, anche Go figure mette in scena magistralmente l’incontro con l’altro e la potenza del sostegno reciproco, senza dover rinunciare alla propria personale forma di espressione, alla propria natura.
Infine, sono una ricerca sulla propria natura anche i due soli di danza del trittico Metamorphosis (in particolare, Larva e Blatta) del coreografo Carlo Massari/C&C Company, che ci vengono regalati all’inizio e alla fine della presentazione del libro Logosomia. Kafka Joyce Céline. Il teatro di Città di Ebla. Massari squarcia il velo dell’apparenza, della superficie patinata, per arrivare all’essenza della natura umana, al suo rapporto con la bestia. Con il suo linguaggio sarcastico ma profondo, quest’opera ci conduce letteralmente nella spaccatura tra natura e cultura, senza darci vie di scampo. Mutuando un concetto di Joyce, protagonista di uno degli spettacoli raccontati nel libro presentato, le ultime due giornate di Ipercorpo sono state una rivelazione intima e improvvisa, un’epifania.

Caterina Langella

Corpi in dialogo

La terza di Ipercorpo è un giornata intensa, sia in termini di attività che di emozioni e sensazioni provate. A fare da padrone è il tema che indaga la relazione e il dialogo fra corpi diversi. Il primo spettacolo che vediamo è Brave di Città di Ebla, che vede in scena Paola Bianchi, coreografa e danzatrice, e Valentina Bravetti, co-fondatrice di Città di Ebla, che torna sul palco con questa performance dopo otto anni di inattività a causa dello sviluppo di una sindrome neurologica. Le due danzatrici conducono i loro movimenti prima da sedute e poi da stese. Una danza lenta ma precisa nei movimenti, che rende i loro corpi complementari, facendoli avvicinare e aggrovigliare, per poi repentinamente allontanarsi e guardarsi da lontano. La prossimità al palco delle sedute per gli spettatori permette di osservare ogni movimento e lo sforzo fisico a esso associato, insieme alle espressioni che si formano sul viso delle due donne, prima di stupore, poi di fatica e infine di gioia.

Sul filo dell’euforia finale che porta Brave, ci dirigiamo successivamente a vedere Go figure della Sharon Fridman Company: anche qui ci troviamo di fronte alla bellezza di due corpi, questa volta maschili, che si cercano e imparano a sorreggersi a vicenda, creando un equilibrio frutto di uno sforzo condiviso e fiducia nell’affidarsi all’altro. La giornata si conclude infine con la visione di Acqua alta, installazione temporanea in realtà aumentata che ancora una volta ci parla di una coppia, di due anime anch’esse in cerca di un equilibrio che viene distrutto da una fitta pioggia che li costringerà a separarsi e ritrovarsi solo alla fine di un lungo percorso.

I tre spettacoli mi fanno riflettere sull’impossibilità, alle volte, di reggersi solo sulle proprie gambe, e sul sollievo provato quando si sa di potersi poggiare su qualcun altro senza paura di cadere, mantenendo però la presa salda, nel caso in cui ad appoggiarsi fosse l’altro. Ciò che mi resta è la consapevolezza che da soli si può sopravvivere, ma scegliere di aprirci all’altro è un atto di coraggio che ci rende più solidi.

Alessandra Sabbatini

Connessioni

È come se si chiudesse in un cerchio, questo percorso di circa tre mesi di visione e scrittura giornalistica. Dalla performance (nel) SOTTOBOSCO di Chiara Bersani vista il primo giorno di Santarcangelo Festival a Brave di Paola Bianchi e Valentina Bravetti che si è tenuta a Ipercorpo. Artiste che, pur con storie di vita diverse, ci hanno mostrato che qualsiasi corpo può manifestare un messaggio e la sua bellezza su un palcoscenico.

Bianchi e Bravetti hanno affrontato un lavoro di connessione profonda tra loro e creato uno spazio intimo tra spettatori e performer, sviluppato attorno a un tappeto rosso che risalta su uno sfondo nero. Sedute a terra, con le braccia distese, sussurrano un dialogo che viene coperto da suoni e rumori che portano lo spettatore ad avvicinarsi. Poi i due corpi in scena iniziano a intrecciarsi e guidarsi l’un l’altro, in uno scambio fluido di energie. Partiture fisiche in cui si alternano abbandono e lentezza, oltre a una grande forza comunicativa. E alla fine si vedono solo piccole ali che si muovono, e anche a noi spettatori viene il dubbio se volare via oppure restare fermi in attesa di un contatto che ci possa salvare. Una domanda che porta all’inaspettato: calano maniglie dall’alto, simbolo di una rinnovata sincronicità delle performer da cui nasce una danza collettiva.

Nello spettacolo successivo, Go figure di Sharon Fridman, la condizione del corpo disabile è declinata in modo diverso. Un respiro affannato al buio, due lucine che appaiono e scompaiono, e a fare il suo ingresso è l’artista su una carrozzina elettrica, che inizia a disegnare cerchi solcando il palco. Tra dispositivo scenico e mezzo necessario per il performer, la sedia non si ferma mai e su di essa si sviluppa l’intera azione performativa. Lentamente il performer scivola a testa in giù, fino a fare un passaggio completamente sdraiato sul mezzo, con i piedi che toccano terra e il suo volto rivolto verso di noi. Immobile passa fissandoci, per poi scivolare giù dalla carrozzina. Nel mentre appare un suo alter ego, e la performance prende una piega inaspettata, uno scambio di acrobazie fra corpi. Insieme i due danzatori sembrano in missione verso la ricerca di un posto perduto nell’ignoto spazio profondo, o semplicemente vogliono creare un ponte tra loro in cui l’uno è sostenuto e accolto dall’altro e viceversa, sfruttando le proprie forze e rispettando le proprie caratteristiche.

Tommaso Daffra

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