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Cambiare il mondo fra contest e filosofia. Appunti da Vie Festival

di Altre Velocità

Si conclude prematuramente la XV edizione di VIE Festival, dopo una serata inaugurale due giorni di intensa programmazione, in seguito all’ordinanza emanata domenica 23 febbraio dal presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini e dal Ministro della Salute Roberto Speranza che prevede la sospensione delle attività delle scuole di ogni ordine e grado, asili nido, Università, di manifestazioni, eventi e di ogni forma di aggregazione in luogo pubblico o privato, per contrastare la diffusione del nuovo coronavirus.


Unica tappa italiana al Teatro Bonci di Cesena per il Concorso europeo della canzone filosofica, un contest ispirato a Eurovision in cui testi scritti da filosofi e pensatori europei contemporanei sono arrangiati e interpretati dal vivo con tanto di orchestra. Le musiche, accattivanti e con forte personalità nazionale, rendono orecchiabili testi che affrontano temi filosofici di notevole importanza – legati alle questioni della nostra epoca – come la crisi climatica, le disuguaglianze, l’avvento del populismo, il rapporto con la tecnologia. La finzione teatrale viene ibridata con il linguaggio e gli strumenti del format televisivo, dalla conduzione del regista Massimo Furlan e di Federica Fracassi, agli outfit improbabili ed estremi dei performer, alla presenza di schermi video e di un operatore in scena, al voto e al commento della giuria, presieduta dalla giornalista e scrittrice Loredana Lipperini e composta dalla scrittrice Michela Murgia, dal giornalista e critico letterario Mario Sinibaldi, dal cantautore Daniele Silvestri e dal filosofo Stefano Bonaga. Il risultato è una performance ironica ma densa di contenuti, capace di coinvolgere il pubblico in modo pop ma allo stesso tempo di offrire spunti di riflessione e pensiero. Sofia Abatangelo

Quando le parole non riescono più a dire, scegliamo il silenzio. Ultima tappa all’Arena del Sole di Bologna anche per Architecture, storia di una famiglia di nevrotici conscia di vivere in un mondo che sta precipitando. Protagonisti nove esponenti dell’intellighenzia europea del primo Novecento: architetti, giornalisti, pensatori e artisti, uniti da legami familiari fragili e incerti, attraversano oltre trent’anni della storia europea, dall’inizio del secolo alla Prima Guerra Mondiale, dal dopoguerra all’Anschluss. Il secolo più buio della storia occidentale visto attraverso gli occhi della classe sociale borghese, artisti e intellettuali che di fronte ai massacri della guerra vedono dissolversi i propri tentativi di conoscenza del mondo attraverso la bellezza e il pensiero.
Pascal Rambert mette in scena un viaggio nel regno del linguaggio, con un dispositivo scenico che somma una fittissima drammaturgia testuale a una simbolica restituzione visiva. Per oltre tre ore i nove protagonisti della tragedia – perché di una vera e propria tragedia si tratta, con uno sviluppo drammatico che da un’iniziale e precaria stasi trascina i personaggi nel caos degli eventi, fino a sancirne, per ognuno, una morte violenta – si muovono su una scena dominata dal colore bianco, in un’alternanza di dialoghi, monologhi e momenti corali. Il linguaggio rappresenta una ribellione alla centralità tirannica di un padre folle e violento, irremovibile nella fermezza dei suoi valori, capace di lunghe e aspre invettive nei confronti dei figli. A lui si oppone apertamente il figlio Stan, filosofo, che scompone le parole del loro significato ed elegge il non senso verbale a strumento di dissenso. Si aggiungono poi la balbuzie, la musica, le parole confezionate e racchiuse in slogan, le urla e il silenzio.
Ma ogni tentativo di cambiare il mondo attraverso la parola si rivela vano e utopico. Tutto quello che resta è il valore consolatorio della poesia, l’utile inutilità dell’arte. Valeria Venturelli

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