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A teatro col politologo. Una chiacchierata sul Tocqueville di Castellucci con Raffaele Laudani

di Altre Velocità

Democracy in America, dopo l’esordio italiano di Prato, è approdato, all’Arena del Sole, dove ha fatto registrare il tutto esaurito. Liberamente ispirato al trattato di Alexis de Tocqueville, il lavoro di Romeo Castellucci sembra averne «colto lo spirito profondo in una lettura sofisticata e non superficiale», come ci spiega al termine della rappresentazione Raffaele Laudani, professore associato presso il Dipartimento di Storia Culture e Civiltà della Facoltà di Lettere e Beni Culturali all’Università di Bologna, dove insegna tra le altre materie Storia delle Dottrine Politiche. Ci siamo soffermati col professor Laudani perché, dato l’evidente riferimento nel titolo dell’opera a uno dei maggiori pensatori dell’ottocento, ci è parso interessante provare a cogliere l’opinione di un esperto.

Nonostante non sia un critico teatrale, quali sono le sue impressioni a caldo su Democracy in America?

Premettendo che non è il primo spettacolo di Castellucci che vedo, posso dire di averne apprezzati maggiormente altri. È uno spettacolo difficile che presuppone un pubblico colto. Bello, ma ne ho preferiti altri.

Cosa vede di Alexis de Tocqueville e della sua opera in questo spettacolo?

Sono rimasto molto sorpreso, soprattutto dopo aver letto la scheda di presentazione che sembrava mostrare una grande distanza tra testo e opera. Sembrava che il trattato fosse uno spunto piuttosto che un confronto. Conoscendo però il lavoro di Castellucci mi aspettavo di poter riscontrare qualcosa di più interno a de Tocqueville. Non tanto nei continui riferimenti a eventi fondamentali della storia degli Stati Uniti, estrapolati in particolar modo da quei fatti che si collocano temporalmente attorno al periodo in cui l’autore ha costruito il testo, quanto nell’introduzione allo spettacolo nella quale è stato colto il senso profondo dell’opera. Un’opera capace al tempo stesso di raccontare alcuni tratti fondamentali della neonata democrazia americana cogliendone la natura e di fungere da specchio per poter parlare della Francia e più in generale della modernità. Il primo punto si coglie chiaramente nei continui riferimenti al linguaggio biblico e in quei corpi saltellanti a metà tra un gregge e uno sciame di cavallette che aprono la pièce e che ricordano molto le pagine in cui Tocqueville descrive una società in continuo movimento. La funzione di specchio invece è molto ben rappresentata nell’anagrammatico gioco di parole iniziale che serve a mostrare come il libro sia anche un pretesto per parlare di democrazia nel suo complesso mostrandone le contraddizioni.

Mi è parsa molto tocquevilliana anche la divisione dello spettacolo: una prima parte, “il dialogo dei puritani”, con il bassorilievo di sfondo a rappresentare la cultura occidentale e la sua doppiezza e una seconda parte, “il dialogo degli indiani”, a rappresentare l’altra America, quella che è stata distrutta dalla “civiltà” e che la mostra da un altro punto di vista. Castellucci sembra aver colto lo spirito del testo di Tocqueville in una lettura sofisticata e non superficiale.

Una delle domande più frequenti rivolte a Romeo Castellucci nelle interviste rilasciate riguardava l’aspetto di attualità politica della sua opera e lui ha sempre contestato questa visione spiegando come non sia voluto alcun riferimento alla politica statunitense attuale. Lei cosa ha notato, cosa pensa dell’attualità politica di questo spettacolo?

Sicuramente non vi è un carattere politico in senso didascalico. Si potrebbero trovare riferimenti alla situazione attuale soprattutto nella prima parte, nell’enfasi posta su una religione afona, al limite del ridicolo, che in certi passaggi potrebbe essere letto come una critica a quel cristianesimo che ispira la destra americana oggi al governo. Però pensando a come la religione sia presente anche in altri lavori di Castellucci questo riferimento non mi pare calzante. È però un testo politico nel suo cogliere, come dicevo prima, l’America come specchio della democrazia moderna e più in generale dell’occidente, un tentativo di scandagliare l’anatomia della democrazia e della violenza ricorrente che la attraversa e che oggi esplode in maniera evidente.

Pietro Perelli

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