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TRASPOSIZIONI_3 SETTEMBRE-9

#2 Un’opera…divisa in due

di Altre Velocità

«Divisione dei compiti giornaliera: mercoledì 3 settembre Angela e Ottavia alla Mostra Trasposizioni, nella sede dell’ex Enoteca, il cuore di In\Visible Cities»
Entriamo: di fronte a noi cinque opere.
Non c’è silenzio: c’è rumore. Strada, motorini che passano, voci di persone. La curiosità si fa viva.
Leggiamo: capiamo che la mostra è il risultato di una connessione tra artisti e persone cieche o ipovedenti, a cui è stato chiesto di collocarsi nei loro luoghi preferiti e di descriverli. Gli artisti da qui hanno creato, reinterpretandole a loro modo, queste cinque opere, ognuna accompagnata dal sottofondo sonoro del luogo.
«Ah ecco cos’era questo rumore».
Continuiamo a leggere: è una mostra interattiva. Le opere si possono toccare.
Tra un ingresso e l’altro, quando abbiamo dei momenti vuoti, io e Ottavia ci avviciniamo per osservarle e toccarle. Spinta dalla curiosità, mi avvicino a Ottavia e le chiedo quale fosse la sua opera preferita.
«Questa qui», risponde convinta.
Inizialmente sono confusa, poco prima mi ero detta che quella era l’unica che non mi convinceva.
Poi Ottavia inizia a raccontare: «Toccandola sento, qui alla base, il contrasto delle temperature diverse, grazie al freddo del marmo; poi sopra, posto su un’altalena, c’è un modellino di un corpo per metà forse femminile, costantemente in movimento».
La mia mente intanto inizia ad immaginare, e nel mentre tocco l’opera e la vivo così, attraverso i suoi occhi.
«Sotto l’altalena» continua Ottavia «ci sono queste radici che non riesco bene a interpretare, ma il tutto mi ricorda la nascita e lo scorrere inarrestabile della crescita».
Mi rendo conto che in quel momento la mia percezione della mostra cambia: ero convinta fosse un’esperienza esclusivamente individuale, da vivere singolarmente, solo io e l’opera di fronte a me. Ma il confronto con Ottavia mi ha aperto a un duplice modo di “vedere” la mostra: da un lato ho ascoltato la sua narrazione, dall’altro ero io, sola, a guardare l’opera. E sì, guardavo, ma poi ho seguito l’istinto: inizialmente ho osservato l’apparenza; poi, decidendo di chiudere gli occhi, mi sono abbandonata a nuovi sensi, il tatto e l’udito, con cui solitamente non siamo abituati a provare emozioni. Solo grazie a questa scelta e al confronto con Ottavia sono riuscita a percepire più a fondo il vero significato di questa
esposizione: ovvero che una mostra può essere non solo un’esperienza individuale e monosensoriale, ma anche una condivisione di prospettive e sensazioni.

Angela Antoniali

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