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Teatro come elaborazione dell’esperienza. Da Santiago del Cile #1

di Rodolfo Sacchettini

Dal Centro Cultural Estaciòn Mapocho ci vuole troppo tempo ad arrivare al Teatro de la Palabra. Nonostante i taxisti di Santiago del Cile siano rapidissimi a sgusciare tra le auto, il traffico sudamericano impedisce calcoli precisi e quando arrivo, lo spettacolo in programma nell’ultima edizione di Santiago a Mil è appena cominciato. L’organizzatrice mi spiega che l’ingresso in sala dà proprio sul palcoscenico, che oggi il teatro è molto pieno, e che non c’è davvero possibilità di entrare a spettacolo iniziato. L’appuntamento è atteso, si presenta Escuela (scuola) di Guillermo Calderòn, uno dei drammaturghi e registi più noti della generazione del cambiamento teatrale cileno. Suoi spettacoli hanno girato mezzo mondo e nel 2013 una versione americana di Neva ha riscosso un gran successo al Public Theater di New York. Calderon è uno dei consiglieri artistici di questo piccolo – ma sempre più importante – teatro di Santiago. L’organizzatrice mi spiega che il Teatro de la Palabra è uno spazio dedicato alla diffusione della drammaturgia nazionale e internazionale, classica e contemporanea, dove si cerca di dare alla parola un ruolo centrale, per importanza e bellezza. Si vuole sviluppare il lavoro drammaturgico anche tramite la pubblicazione dei testi che vengono messi in scena, e attraverso momenti di riflessione e studio, di residenza e produzione. C’è un forte elemento politico che tiene assieme tutto quanto e che vede il teatro come momento di elaborazione dell’esperienza e dei lutti collettivi. È un teatro che vuole mantenere una necessità all’interno di una rete sociale che dopo Pinochet e i lunghi anni della concertazione inizia adesso a esprimere nuove energie. L’organizzatrice cilena dice anche che ormai da un po’ di tempo il teatro non fa altro che parlare di Allende, la dittatura e Pinochet. Pare che non si possa discutere di argomenti differenti. Il problema è che la storia cilena, nel confrontarsi continuamente con gli anni bui della dittatura, non riesce a liberarsi del proprio passato. Per di più Allende e Pinochet, nella produzione di film, libri, spettacoli teatrali sono diventati dei veri e propri “marchi”, ed è una storia che ha tanto successo in Europa: «la dittatura cilena vende bene all’estero». È una questione su cui molto stanno riflettendo – è evidente – e in effetti a sfogliare il catalogo di qualunque teatro a Santiago emergono tantissimi spettacoli che si portano dietro, fin dal titolo, un riferimento chiaro agli anni della dittatura. Ma naturalmente il discorso è complesso e contraddittorio, i piani si mescolano continuamente e dopo pochi minuti si torna a parlare dell’importanza del teatro e in particolare del lavoro portato avanti dal Teatro de la Palabra negli ultimi anni in un quartiere così periferico; un lavoro radicale che guarda alla drammaturgia distinguendosi dalla scena tradizionale, ma tenendosi «alla larga anche dalle mode del mercato internazionale e capitalista».

«Il Teatro de la Palabra», mi dice «è un luogo dove si riflette sul passato e sul presente del Cile, è un luogo in cui il teatro ha una forte funzione politica e sociale». Tutti gli artisti teatrali più importanti del Cile passano da lì: «Escuela è un lavoro straordinario, racconta la storia di un gruppo di militari di sinistra che ricevono istruzioni per fabbricare armi e resistere alla dittatura. È una generazione che provò a usare tutti i mezzi per combattere in nome della libertà». Nella presentazione dello spettacolo si riporta il Bando n. 30 della Intendencia de la Provincia de Cautìn: «Qualunque azione di resistenza da parte di gruppi estremisti, obbliga le forze armate ad adottare le più drastiche sanzioni, non solo nei confronti dei loro aggressori, ma anche contro coloro che sono detenuti o agli arresti domiciliari o sotto sorveglianza. Le forze Armate e i Carabinieri saranno energici nel mantenimento dell’ordine pubblico, per il bene della tranquillità di tutti i cileni. Per ogni innocente che muore saranno giustiziati dieci marxisti indesiderati, immediatamente, e sotto le disposizioni che il Codice di Giustizia Militare stabilisce in tempi di guerra». Mi dice che è molto interessata al lavoro di un giovane attore cileno, ospitato quest’anno al festival Santiago a Mil. «Ma è sempre su Pinochet» osservo, avendolo visto proprio la sera prima. Risponde che i cileni sono così: «Non possiamo che detestare il nostro passato, ma ci siamo legati profondamente e ancora non riusciamo a distaccarcene». Oggi, anche per i cambiamenti politici in corso, in Cile questo bisogno allo stesso tempo di memoria e di futuro appare sempre più forte.

Leggi anche Il Cile in rosa. Da Santiago del Cile #2

L'autore

  • Rodolfo Sacchettini

    Critico teatrale, è tra i fondatori di Altre Velocità e collabora con la rivista Gli Asini. Dal 2004 conduce una rubrica radiofonica di attualità teatrale su Rete Toscana Classica. Ha curato svariate pubblicazioni nell'ambito del teatro ed è stato codirettore del Festival di Santarcangelo per il triennio 2012-2014 e presidente dell'Associazione Teatrale Pistoiese.

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