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(foto di Masiar Pasquali)
(foto di Masiar Pasquali)

La tragicomica abbuffata di “Re Chicchinella”

di Anita Fontana

Nasce prima l’uovo o il re? Sulla scena buia, con una luce bianca puntata sulle creste rosse, un gruppo di uomini-gallina sussurrano davanti ad una montagnetta fatta di stoffa nera. Qualcosa si muove lì sotto, si sforza di uscire dal buco alla sommità. La montagna si alza, si abbassa, si contorce e… nasce il Re. Esce da quello strano ventre-terra che gli si accomoda sui fianchi e diventa la sua gonna pennuta. La giornata di Re Chicchinella, scritto e diretto da Emma Dante, in scena al Teatro Studio Melato dall’8 al 20 marzo, inizia col lavaggio mattutino. Due servitori in calzamaglia color carne che fascia gambe e testa, portano un carrellino con tutto il necessario: l’asciugamano, la bacinella d’acqua per il risciacquo, nella quale il Re noncurante, sputa rumorosamente. Acqua vera, spruzzi veri, dialetto napoletano seicentesco con parole assurde per l’orecchio dello spettatore odierno: la bellezzitudine di Sua maestà, la perdonanza. È la lingua de Lo cunto de li cunti, raccolta di fiabe di Giambattista Basile, da cui lo spettacolo, che conclude la trilogia iniziata da Pupo di zucchero e La scortecata, trae liberamente ispirazione.

I tre attori si muovono sul palco rumorosamente, i servi in mezzepunte bianche da danza, si affannano a seguire i movimenti del Re, scalzo e in regime di digiuno. Non ci sarà alcuna evacuazione oggi, il Re rifiuta di mangiare. Re Chicchinella è stato così ribattezzato perché un giorno, di ritorno dalla caccia, ha usato come pezza per pulirsi il sedere una gallinella trovata in strada, che gli è rimasta simbioticamente attaccata alla carne, peggio di una zecca. Ma la chicchinella in questione ha un potere speciale: produce uova d’oro. Il Re allora, insieme ad essa diventa l’incubatore di un tesoro molto prezioso, costretto a mangiare e a produrre uova, come una gallina nel pollaio. Fanno ingresso le damigelle di corte, vestite con copripetti da danzatrici del ventre, perline scintillanti e tintinnanti, calzamaglie rigonfie a formare delle grasse cosce di pollo. Inizia una danza in cerchio veloce, quasi spasmodica, a suon di musica lirica. Una damigella intona un assolo virtuosistico e spalanca la bocca (o forse il becco?) in modo esagerato, facendo scoppiare le risa di tutta la sala.

È il turno della princess, la figlia di Re Chicchinella, che ricorda al padre i suoi nobili titoli: re Carlo III d’Angiò, re di Sicilia e di Napoli, principe d’Albania, re titolare di Costantinopoli! Nomi che suonano insulsi e desueti per un re ridotto, come lui stesso dice, a un vegetale, costretto ad ospitare una gallina che gli si è insinuata fino alle viscere e che abita il suo corpo. “Un Re senza cavallo che cos’è?” “Un pedone” risponde un servo, in coro le damigelle ridono. E dopo la figlia è la volta della moglie, con cui nasce una ridicola discussione sulla superiorità del cibo francese su quello napoletano. Lei francese d’origine, regina dalla lingua tagliente, maledice il giorno in cui ha sposato suo marito. Lui le rinfaccia la stitichezza di sentimenti, la bruttezza delle sue mammelle avvizzite, l’incapacità di stare attaccata alla gonnella della figlia. I due si rincorrono, sembrano due galline imprigionate nel recinto rotondo, costretti in una corte-gabbia, dove tutti fanno sempre le maschere, dice il Re, dove tutti si ingozzano a spese sue.

(foto di Masiar Pasquali)

Arriva allora l’ora del tè, il momento più atteso, quello più bello della giornata! Sedie a semicerchio, tazze ben disposte e comincia il cocodè di insensate frasi, ripetute sputando parole e pezzi di biscotto. A turno ogni damigella-gallina interviene coronando un discorso inutile, fino a che a terra una spiaggia di briciole e sputi copre il pavimento. È la volta allora del cerchio della mortadella, che aggira il regnante dalla pancia incavata. Le damigelle sventolano in tondo, avidamente, lande di affettato e sulla canzone Passacaglia della vita (Bisogna morire) di Stefano Landi, brindano alla salute del re (o delle sue uova d’oro?). L’ora del tè si trasforma in un’abbuffata, in una mangiatoia collettiva. Vengono serviti spaghetti al pomodoro, piovono pepe e formaggio a volontà, le bocche si ingozzano. Il Re, alla fine, delibera: mangerà solo un’oliva e una fetta biscottata di Gragnano. Ma anche questo misero spuntino sortisce l’effetto indesiderato: arriva il momento del cacatoio, la pancia del re si gonfia e si sgonfia e infine dona l’anelato uovo d’oro. Una nascita a cui segue una sorta di tremendo e doloroso parto di morte. Un servo dalle mani igienizzate cerca di estrarre con le tenaglie la gallina dal Re, volano piume mentre l’uomo si contorce, urla, si dispera. Si contorce fino a non avere più fiato, esala l’ultimo respiro e completamente nudo si accascia a terra e muore. Entrano, vestiti a lutto, le damigelle e i servitori, la moglie e la figlia. Costruiscono una bara fatta di sedie, circondando il corpo del Re-gallina. Una croce di luce neon blu lampeggia come un’insegna pubblicitaria, la gonna del re ricopre ora il suo corpo senza vita. Dal nulla compare una gallina, osannata e riverita come nuova Maestà, mentre fra i sussurri la corte lancia in aria le preziose uova d’oro.

Il lato comico e tragico della storia di Re Chicchinella sono in un equilibrio ironico e doloroso, si toccano e si fondono. Lo spettacolo è una condanna all’ipocrisia, all’avarizia di sentimenti sinceri. Marito e moglie si odiano, la figlia riflette nei comportamenti l’ingordo ambiente di corte in cui è cresciuta. Il re non ha nulla dell’autorevolezza del sovrano, è disperato, lasciato solo a partorire dolorose uova d’oro. La brama delle damigelle di corte, a cui non basta vivere nell’abbondanza di cibo e di averi, ricorda il nostro bisogno odierno di non avere mai abbastanza. Se la vita è un impedimento al possesso, si normalizza la morte. Se qualcuno inadatto a governare ci promette tesori luccicanti e insostenibili, lo acclamiamo. Un animale diventa re: il comico e l’impossibile diventano realtà e quindi tragedia. Forse non è un caso che sia una gallina, emblema degli allevamenti a cui chiediamo di produrre sempre di più e in maggiori quantità, la protagonista dello spettacolo della Dante. La gallina costretta ai ritmi di produzione tutt’altro che naturali, fino all’esaurimento, fino a che diventa inutile e messa a morte.

E se il mondo si capovolgesse come nello spettacolo della Dante? Se l’uomo diventasse animale e soccombesse come Re Chicchinella? Il banchetto luculliano che viene mostrato di fronte al re affamato dimostra, in fondo, la facilità e il godimento che stanno dietro alla crudeltà dell’uomo. Le damigelle non si limitano a mangiare ma danzano col cibo, giocano, si abbuffano e scherniscono il loro re sventolando tutto ciò che egli non può mangiare. È la lama pungente del loro gioco sadico che più di tutti scintilla nello spettacolo, come un inquietante monito.

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