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foto di Chris Van der Burght
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“Out of context-For Pina”, forza di gravità e desiderio

di Anita Fontana

Fragilità e forza del controllo, potenza della danza di Bausch che ispira i corpi: Out of context – for Pina della compagnia belga laGeste di Alain Platel porta chiara traccia della poetica della coreografa tedesca. Il palco del Teatro Ariosto di Reggio Emilia è vuoto e silenzioso. Dopo qualche secondo di attesa una donna si alza dal pubblico e a grandi passi rumorosi si incammina verso il palco. Sale e inizia a svestirsi. La seguono gli altri interpreti, insospettabilmente confusi nella platea. Tutti si spogliano e rimangono in intimo, quasi a mostrare quello che separa chi siede in sala da chi danza.

La prima parte dello spettacolo è cupa, la dimensione privata, fragile e problematica di ciascun interprete è portata sulla scena in modo quasi violento e intrusivo. I movimenti convulsi, disarmonici e disarticolati sono frutto in realtà del controllo magistrale di un corpo appositamente distorto. Lo spettatore entra nel silenzio mentale dentro cui è racchiuso ciascun interprete: pare infatti che il movimento non sia motivato da alcun pensiero, come quelli di marionette i muscoli sono mossi dalla volontà di qualcun altro o da qualcos’altro. Perché si muovono così? È una malattia che li costringe? I corpi vorrebbero raggiungere un obiettivo ma deviano costantemente in altro: una caduta, un cambio di direzione, un movimento scomposto che ne cambia l’equilibrio. La gravità, loro unica “padrona”, detta incontrastata la sua legge e li muove. Un uomo afferra un microfono e con fatica prova a portarlo verso il corpo di una ballerina. Poi ne raccoglie un secondo ma il peso di entrambi lo sbilancia in avanti e cade su di essi provocando un tonfo. L’uomo lungo e disarticolato si trova a camminare sui microfoni, prolungamenti dei suoi arti, pestandoli a terra come fossero piedi. I suoni prodotti sono forti, sordi, quelli di una camminata artificiale e amplificata.

L’incomunicabilità fra gli interpreti e la fatica nel trovare uno scambio permeano la scena fino a che, contro ogni pronostico, subentra l’ironia ad aprire uno spiraglio diverso. Una donna di mezza età è al centro del palco, avvolta in un drappo rosso. Lo lascia scivolare in modo sensuale giù per le spalle, le cosce. Dietro di lei un uomo timidamente si avvicina, è sul punto di toccarle la spallina del reggiseno quando intimorito e vergognato ritorna sui suoi passi. Lei a quel punto si gira, lo coglie voltato e infastidita continua, verso il pubblico, la mostra di sé. Il loro attrarsi e respingersi continua, suscitando curiosità. Così lo spettacolo cambia rotta, si divide. Ora i corpi sono chiaramente mossi dalla loro stessa volontà. Si distendono in movimenti più sciolti, spontanei, naturali. Un interprete comincia a muovere il bacino, le gambe e poi le braccia in modo sempre più avvolgente. Si lascia andare, si perde nella leggerezza del movimento. In sottofondo una musica ballabile e calda comincia ad avvolgere l’aria e a scacciare i rumori freddi e asettici. Uno a uno i ballerini si dirigono verso il microfono per intonare motivi canori famosi. Frasi come “No woman no cry”, pronunciate “Out of context” suscitano a più riprese l’ilarità del pubblico. Ogni interprete abbandona la propria bolla di isolamento ed entra in un mondo nuovo, più musicale e comunicativo. La musica è un’onda pervasiva e coinvolgente che porta naturalmente al movimento. Un uomo si lancia in un ballo liberatorio, quasi provocante, scende fra la platea, si arrampica fra le sedute, muove il bacino. I movimenti si fanno sensuali, più ravvicinati, volti a scoprire anche i corpi degli altri.

Lo spettacolo sembra essersi con forza avviato verso una nuova fase, quando inaspettatamente sorprende di nuovo lo spettatore. Avvicinandoci alla chiusura, come in un movimento circolare, i movimenti liberi si mescolano a quelli più trattenuti e sacrificati, tipici dell’inizio. La difficoltà e la fatica ritornano, andando a confondersi alla leggerezza della grande sequenza centrale. Cosa significa questo? Chi sono davvero i ballerini che vediamo? Interpretano altri da loro o solamente se stessi? È difficile rispondere. L’unica cosa certa è la difficoltà nel distinguere i confini fra il movimento controllato e quello sciolto, abbandonato, come se i corpi volessero rompere questa distinzione. Come se la danza fosse, alla fin fine, un unico grande mondo in cui solo la gravità e l’espressione di sé hanno valore.

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