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La locandina dello spettacolo "Cipì", in programma domani al teatro Laura Betti di Casalecchio

Mario Lodi fa cent’anni. Una rassegna a Casalecchio

di Francesco Cervellino

Questa settimana, a Casalecchio di Reno, si commemora il centenario della nascita di un pedagogista, scrittore ma soprattutto insegnante che ha fatto con le sue pratiche la storia della pedagogia e non solo. Stiamo parlando di Mario Lodi, che nella sua carriera da uomo di cultura poliedrico ha lasciato un segno indelebile sul rapporto tra arte e bambini, ma vanta anche prestigiose collaborazioni col mondo teatrale come quella con Dario Fo e Franca Rame. Nelle giornate in questione (qui il programma completo), organizzate grazie all’impegno del Teatro Belli e di ATER, verranno proiettate immagini esclusive estratte dagli archivi Rai, ci sarà una tavola rotonda che vuole discutere su una delle opere di Lodi, “Il paese sbagliato”, ma anche spettacoli e laboratori destinati ai docenti. Abbiamo intervistato Cira Santoro, responsabile di ATER per le iniziative legate al teatro ragazzi e alla formazione.

Un programma molto ricco di eventi diversi. Cosa vi aspettate da questa serie di incontri e da dove parte l’idea per raccontare Lodi?

«L’idea arriva da lontano. Nel 2020 sarebbe stato il centenario della nascita di un altro grande come Rodari, e non abbiamo potuto organizzare grandi eventi a causa della chiusura dei teatri, ma per una strana coincidenza arrivano in questo e nei prossimi due anni, i centenari delle nascite di grandi personalità che hanno dato tanto alla scuola italiana come Don Milani nel ’23, Alberto Manzi nel ’24 e quest’anno è l’anno di Mario Lodi. Sono figure fondamentali per la scuola italiana, hanno messo al centro non solo pratiche didattiche e pedagogiche nuove, ma sono anche persone che hanno messo al centro dei discorsi sull’infanzia che io trovo ancora molto attuali. Quindi l’idea del progetto è di riprendere il loro pensiero, tornare a ragionare su quei concetti e riportarli all’attualità.
Mario Lodi inizia a insegnare subito dopo la seconda guerra mondiale, dunque il primo problema che si pone è come adottare un metodo democratico nella scuola, come far capire e “far praticare” la democrazia. Quando si parla di bambini si parla anche di cittadini, e Mario Lodi ha sempre lavorato sul concetto di cittadinanza applicato all’infanzia. Nel chiedersi come riuscire a fare questo, mette al centro i linguaggi artistici e creativi oltre al metodo scientifico. Per lui il teatro è sempre stato uno dei linguaggi principali, sia di didattica e apprendimento, ma soprattutto di conoscenza di sé.
Perciò, vogliamo impostare il discorso non sul “cosa si fa” ma sul “come si fa e intorno a quali soggetti”, tornare a ragionare sul perché ci rivolgiamo alle scuole, perché ci rivolgiamo all’infanzia. L’alleanza che formiamo con l’infanzia e con le scuole, su che base si poggia? Quindi da una parte vogliamo ritornare a ragionare sui pensieri di questi grandi maestri, ma allo stesso tempo penso sia necessario rimettere al centro il “perché” ci rivolgiamo all’infanzia e alle scuole. Speriamo che in questi tre giorni si attivi una connessione tra il teatro che si rivolge alla scuola e una scuola che spesso chiede al teatro delle risposte. Insomma, Mario Lodi può aiutarci a ricostruire questa connessione interrotta da questi anni di pandemia».

Giorgio Scaramuzzino (foto di Daniela Zedda)

Come avete pensato agli eventi in calendario e cosa dobbiamo aspettarci?

«Siccome abbiamo visto che in questi anni ci sono state molte produzioni di teatro ragazzi legate ai maestri di cui ricorre il centenario, abbiamo pensato che attraverso la scelta di spettacoli si potesse fare un racconto attorno alla loro figura. Quindi ogni anno c’è e ci sarà uno spettacolo dedicato al maestro che verrà ricordato. L’artista di quest’anno è Giorgio Scaramuzzino, che lunedì 12 dicembre si è impegnato in un laboratorio destinato ai docenti, mentre il giorno successivo ha incontrato le classi del liceo socio-pedagogico Leonardo Da Vinci di Casalecchio per raccontare chi era Lodi. Infine, domani mercoledì 14 dicembre alle ore 20 presso il Teatro Betti presenterà il suo spettacolo Cipì, co-prodotto da Teatro Evento e Zaches Teatro, e tratto dall’opera che Lodi scrisse insieme alla sua classe. Giorgio si considera un allievo di Lodi, lo ha incontrato, ha lavorato con lui alla “Casa del gioco e delle arti”, ma diciamo che in fondo ha da sempre usato le parole di Lodi per costruire il suo approccio al teatro. Non solo, ma a lui è stato affidato il compito di curare Cipì e Bandiera in scena!, edito da Einaudi Ragazzi, una raccolta di quello che Lodi scrisse con la sua classe, quindi si potrebbe definire un esperto di Mario Lodi».

Lodi era un artista oltre che un insegnante. Oggi come comunicano il mondo del teatro e la scuola?

«Questa è la domanda che ci poniamo. Comunichiamo con le scuole, per una pratica, per portare i ragazzi a teatro o per portare spettacoli a scuola, per formare docenti o per parlare di formazione dello spettatore, c’è una comunicazione ma è comunque una comunicazione settorializzata e che ha messo il teatro al centro spostando il focus dal soggetto che è il bambino al linguaggio, che è il teatro. Non credo che sia la forma di comunicazione corretta, è sempre una comunicazione interessata. Io comunico con la scuola per portare i ragazzi a teatro, appunto, mentre quando parliamo di Lodi, Rodari e gli altri grandi maestri, loro erano sì degli artisti, ma in realtà stavano tutti cercando un modo per comunicare col bambino. Avevano tutti lo stesso obiettivo. L’obiettivo di Lodi, anche durante i suoi spettacoli, era mantenere il senso, il fatto che quello che andava in scena nel caso di Cipì, fosse un testo scritto da bambini per i bambini. Quando si assicurava che gli attori erano fedeli a questo lasciava le prove e non metteva più bocca. L’obiettivo dunque non era il teatro ma il bambino. Oggi forse dovremmo cercare di andare in questa direzione nella comunicazione con le scuole».

L’arte come strumento maieutico e di educazione. Come Lodi ha utilizzato le arti nel suo lavoro con i bambini?

«Entrando nel merito dei testi di Lodi, mi sento di dire che lui sia stato frainteso. Lui non parla dell’arte come uno strumento educativo, lui parla di un linguaggio dei bambini: prima di tutto c’è il metodo scientifico, cioè il bambino osserva, cerca, si pone dei perché, poi dopo questa fase, il bambino trasforma, cioè questa trasformazione avviene in uno dei possibili linguaggi che il bambino conosce, e uno è il teatro. Quando in classe c’erano delle discussioni o si era di fronte a un problema di cui non si trovava la soluzione, Lodi era solito metterlo in scena. In questo modo il teatro non è uno strumento di didattica, ma un linguaggio per capire, e per capire di più. Attraverso il teatro il bambino si riconnette con se stesso, con la sua parte più profonda, perché mette in gioco anche il corpo. Lodi sosteneva che i teatranti hanno tante pratiche utili alla conoscenza del bambino, non che bisogna insegnare teatro ai bambini, ma che ai docenti, conoscere quelle pratiche non solo è utile ma necessario. È molto di più dunque di uno strumento, Lodi scrive che “il gioco espressivo è interazione, conoscenza, comunicazione e crescita personale e correttiva”. È molto chiaro, non insegna le tabelline attraverso il teatro, ma attraverso il teatro ci liberiamo e impariamo a conoscerci e a stare insieme».

Il Teatro Laura Betti di Casalecchio di Reno

Cosa possono recuperare i docenti dalle pratiche di Lodi e dal teatro odierno?

«Vorrei che l’incontro con Mario Lodi lasciasse ai docenti un approccio più libero verso il teatro. Lodi aveva un’apertura totale verso i linguaggi artistici, e mi auguro anche che possa far uscire i docenti dal pregiudizio di un teatro che serve a qualcosa, che serve a riparare a qualche danno. Mi piacerebbe dunque che il laboratorio di Giorgio lasci ai docenti la capacità di vedere il teatro come un linguaggio di conoscenza di sé, di relazione, che possa ricostruire un dialogo. Giorgio racconterà il suo incontro con Mario Lodi e un po’ spero di far giocare gli insegnanti, perché gli insegnanti devono saper fare anche questo, anche questo è loro compito. Ci interessa incontrarci comunque e fare qualcosa insieme intanto. C’è bisogno di rimettere al centro il corpo dei bambini per capirli, ma per farlo bisogna prima ricollegarsi con il proprio corpo, e il teatro può aiutare i docenti nell’uno e nell’altro».

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