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Cronache di un progetto fuori sync. Intervista a Giselda Ranieri (“Isadora TikTok dance project”)

di Giulia Penta

Se potessimo usare i social network come ci pare, liberi da costrizioni programmatiche e censorship, che cosa ne uscirebbe fuori? Riusciremmo ad affermare di più la nostra individualità oppure si genererebbe quel connaturato effetto a catena – il go viral! sul quale oggi non riusciamo più a scherzare?
Isadora – The TikTok dance project di Giselda Ranieri e Simone Pacini si è posto (anche) questo interrogativo. Vincitrice, assieme ad altri cinque progetti, il bando Residenze Digitali 2020, Giselda Ranieri, danzatrice di formazione classica e contemporanea, ha provato a spiegarci che cosa ha significato per lei cambiare prospettiva e affidare la sua ricerca artistica a un mezzo in apparenza alieno – nel suo significato letterale di alienus “altrui”: in sostanza, è possibile creare un movimento di danza sperimentale sul famoso social dei millennials?
Intanto sappiamo che condividere lacrime (non artificiali) su TikTok è riuscito a influenzare positivamente le vendite del mercato editoriale. Quindi tutto è possibile. O quasi.

[question]Che cosa vi ha spinto a partecipare al bando di Kilowatt? Avevate pensato di lavorare con il digitale prima della pandemia?[/question]

[answer]«All’inizio non avevo tempo di interrogarmi sul digitale, ero molto impegnata con il movimento dei danzatori per sostenere i diritti dei lavoratori. Poi è arrivata la proposta da parte di Simone Pacini, Elisa Siriani e Isabella Brogi di partecipare a Residenze Digitali. Nonostante la curiosità, TikTok era lontanissimo da me. Ho cercato di capire se esistessero già account di danzatori e come portare il mio linguaggio specifico sulla piattaforma. Durante il primo lockdown, confrontandomi con molti amici e colleghi ho avuto l’impressione che le persone che più fruivano delle proposte online non fossero professionisti del settore, bensì spettatori. Attraverso il progetto Isadora ho potuto davvero interrogarmi sul mezzo, le cui specificità inevitabilmente vanno a influenzare la forma spettacolare. A interessarmi è questo tipo di approccio, non la mera riproduzione di un formato live».[/answer]

[question]Chi non si cimenta in produzioni digitali oggi rischia di perdere pubblico?[/question]

[answer]«Da qui in poi, l’utilizzo di devices farà sempre più parte della nostra vita. Sta a noi capire come approcciarsi ai nuovi strumenti. I prodotti online non sono un sostitutivo dello spettacolo dal vivo, sono un’altra cosa. In ogni caso, però, spero torneremo presto con un pubblico in carne e ossa».[/answer]

[question]Quindi credi che il teatro online sia una glossa temporanea, o potrà invece avere una sua autonomia?[/question]

[answer]«Dovrà avere una sua autonomia, il problema è che la deve ancora trovare. Dobbiamo creare qualcosa di specifico: solo in questo senso potrà convivere con le altre forme spettacolari. Una cosa positiva è che il teatro online dà la possibilità di un accesso alla visione di spettacoli molto più ampio rispetto alla forma live».[/answer]

[question]Come hai vissuto TikTok? Quanto hai sperimentato prima di spogliarti dei pregiudizi?[/question]

[answer]«Come un invito a mettersi in gioco con meno preoccupazione e con più ironia e leggerezza, che non significa superficialità, bensì provare a interagire con un linguaggio che non è consono alle proprie abitudini. È learning by doing, è un invito alla partecipazione. Ci ho giocato in maniera diversa rispetto a quello per cui TikTok è stato creato, spingendo gli utenti ad andare un po’ oltre. Nel produrre il primo video, lo scoglio è stato di non pormi in una modalità performativa: non potevo pensare allo spettacolo one shot, ho dovuto sperimentare con pazienza. Si tratta quindi di trovare la propria voce in maniera diversa. Certamente noi artisti in residenza avevamo il grande limite del tempo rispetto a un qualsiasi altro utente. Tutto il primo mese è stato dedicato a scoprire il mezzo e l’identità di Isadora».[/answer]

[question]Il futuro?[/question]

[answer]«Diffondere il linguaggio dell’improvvisazione. Non so se il desiderio di produrre qualcosa di “perfetto” sia una questione culturale che riscontro più in Italia che altrove. Ho trovato amici su TikTok con un’attitudine molto più scanzonata. C’è poco spazio per la formalità. Mi piacerebbe continuare a indagare questo aspetto».[/answer]

L'autore

  • Giulia Penta

    Lontana dal bagnasciuga riccionese d’origine, si laurea in italianistica all'Università di Bologna con una tesi su Alice Ceresa e il nouveau roman. Dal 2015 sostiene il giornalismo d’inchiesta tra le fila dell'associazione DIG. Attualmente si occupa di promozione e comunicazione per Emilia Romagna Teatro.

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