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(foto di Ilaria Scarpa)
(foto di Ilaria Scarpa)

“Entertainment”, dimensione terza della scena

di Francesco Brusa

C’è una verità del sentimento che esiste al di fuori delle relazioni? È una domanda in un certo senso “platonica”, che però attraversa molte delle drammaturgie dell’autore moscovita Ivan Vyrypaev: la volontà di catturare un valore assoluto dell’amore (o dell’odio o della rabbia, per quel che conta) che trascende la condizione umana e in qualche modo la precede, oppure la rende ancora più necessaria – sebbene di una forma indiretta. Forse, è anche la volontà di riportare le emozioni a una loro dimensione “letteralmente” elementare, chimico-biologica, come l’Ossigeno del suo testo più famoso.

Cosa c’è dunque di più elementare, se parliamo di teatro, di due persone che si apprestano ad assistere a uno spettacolo seduti su delle poltroncine rosse? È così che si svolge Entertainment. Una commedia in cui tutto è possibile, portato in scena in Italia nella traduzione di Teodoro Bonci del Bene e per la regia di Gianni Farina di Menoventi. In un allestimento ribaltato, siamo noi spettatori a salire sul palco per osservare i due attori (Tamara Balducci e Francesco Pennacchia) accomodati in platea, che, a loro volta, osservano altri due attori (immaginari o, se si vuole restare sul piano letterale, non esistenti) impegnati in un dialogo appassionato e conflittuale. Ne nasce una coinvolgente pièce di meta-teatro, quasi un “duello” serrato fra la scena e il suo fuori che però non è, in questo caso, l’o-sceno ma, al contrario, il disvelamento di un meccanismo intimo e al contempo universale: lo sporgersi oltre di sé dell’immedesimazione, che vale tanto per dei performer ipotetici (evocati dalle parole di Balducci e Pennacchia), quanto per quelli effettivamente presenti nella platea adibita a palco così come per noi spettatori nel nostro quotidiano. Di qui la domanda forse sottesa a Entertainment: l’immedesimazione può essere considerata, a tutti gli effetti, un sentimento oppure è una dinamica che, in un certo senso, funge da veicolo dei sentimenti? Quello che il testo sembra presentare in prima battuta come una commedia degli equivoci («Quindi lui la ama?» – si chiedono gli attori in carne e ossa a proposito di quelli immaginari – «Ma chi? L’attore o il personaggio?» – proseguono in un continuo gioco di raddoppiamenti) diventa pian piano un collasso, comunque sempre ben ordinato, dei diversi livelli meta-narrativi (Balducci e Pennacchia interpretano ora i loro personaggi di comuni spettatori così come i protagonisti della pièce cui sono andati ad assistere). Si affastellano rimandi ammiccanti ad altri classici del teatro, come il Checov di Tre sorelle. Ma, su tutto, rimane la creazione di questa dimensione terza della scena, che non è né una rottura della quarta parete (lo spettacolo rimane anzi per la sua intera durata all’interno dei confini della rappresentazione) né il disvestimento dei panni recitativi, alla ricerca di un’improbabile verità biografica o documentaria. Così, noi, nel buio del palco, restiamo perfettamente immersi, coinvolti, in quello che ci accade di fronte eppure disorientati rispetto al punto, al luogo, al “corpo” nel quale immedesimarci, tanto sottile (poiché invisibilmente strutturata) diventa la messa in scena.

Entertainment, intrattenimento, d’altronde, ha un significato vicino a “restare tra”, sostare in mezzo al guado. Sul finale, Balducci e Pennacchia rimangono invischiati dentro un loop discorsivo, uno di quegli “anelli impossibili” tanto cari alla poetica dei Menoventi (come si è visto in L’uomo della sabbia o, più recentemente, in Odradek). Letteralmente, in piedi, si intrattengono sulla porta di casa: sono i due protagonisti dello spettacolo immaginario e immaginato che non si vogliono dividere dopo una notte di passione. Qui sta forse una possibile risposta alla ricerca di un assoluto dei sentimenti da parte di Vyrypaev: l’amore non esisterà al di fuori delle relazioni, cionondimeno occupa una posizione impalpabile e intermedia fra di esse così come la drammaturgia e la regia di Entertainment scavano in quello spazio invisibile fra parole e contesto, fra teatro e visione. Un infra-realismo dell’artificio, in cui ogni colpo di scena coincide con l’impensato angolo da cui si guarda.

L'autore

  • Francesco Brusa

    Giornalista e corrispondente, scrive di teatro per Altre Velocità e segue il progetto Planetarium - Osservatorio sul teatro e le nuove generazioni. Collabora inoltre con il think tank Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, occupandosi di reportage relativi all'area est-europea.

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